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Italia Oggi Rassegna Stampa
10.01.2019 'La casa del governo. Una storia russa di utopia e terrore', di Yuri Slezkine
Recensione di Diego Gabutti

Testata: Italia Oggi
Data: 10 gennaio 2019
Pagina: 12
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «La casa del governo. Una storia russa di utopia e terrore»

Riprendiamo da ITALIA OGGI del 21/11/2018, la recensione di Diego Gabutti al libro di Yuri Slezkine "La casa del governo. Una storia russa di utopia e terrore" (Feltrinelli ed.).

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Diego Gabutti

 

Setta millenarista andata al potere senza aver prima imparato a coesistere col mondo reale, il bolscevismo russo ha fatto da apripista agli orrori totalitari del XX (e XXI) secolo, come racconta lo storico russo-americano Yuri Slezkine. Vasto intreccio di destini individuali e di allucinazioni storiche, saga epica e rovinosa, «storia russa di utopia e terrore», La Casa del governo è la cronaca della catastrofe politica che ha distrutto popoli interi e intere generazioni. Del bolscevismo russo oggi non restano che le rovine: Cuba e Pyongyang, il regime putiniano, la Cina del Presidente «Ping» e (molto più in piccolo) la «sinistra-sinistra» italiana. Ma non c’è moderno horror totalitario, da Hitler all’ISIS, di cui il partito leninista non sia stato il trailer. «Gruppo fideistico che s’opponeva radicalmente al mondo corrotto», scrive Slezkine, il partito bolscevico era «dedito agli “abbandonati e perseguitati”, e composto di membri volontari che avevano subito una conversione personale e condividevano un forte senso di selettività, esclusività, austerità etica ed egualitarismo sociale.

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La copertina (Feltrinelli ed.)

Era, secondo la gran parte delle definizioni, una setta». Circondato da monaci fanatici, Lenin era il grande sacerdote di questa religione apocalittica, che prima di conquistare il potere con un colpo di mano si diffuse nei circoli studenteschi e tra quei pochi operai isolati che i bolscevichi avevano elevato alla «coscienza di classe». Preso il potere, la casta sacerdotale impose sacrifici di sangue alla società e riservò a se stessa lo scarso latte e miele rimanente. Tra questi lussi, la costruzione della Casa del Governo a Mosca, «oltre il ponte di pietra, in faccia al Cremlino», e sotto l’Occhio di Stalin. Qui viveva, «mangiando ananas e masticando fagiani», come diceva Majakovskij della borghesia occidentale, la nomenklatura sovietica, avanguardia millenarista del proletariato internazionale. Erano sette millenariste, scrive Slezkine, anche il cristianesimo primitivo, come pure l’Islam storico, le logge cristiane fondamentaliste (fino ai Testimoni di Geova compresi) e quelle mistico-apocalittiche dell’ebraismo secentesco. A differenza del bolscevismo russo, però, che trasformò un golpe in una profezia realizzata, ogni altra setta millenarista, prima di trasformarsi in una chiesa, era andata incontro a una «delusione» che ne aveva attenuato gli annunci radicali e apocalittici: Gesù non era tornato sulla Terra prima che «la generazione presente» si fosse estinta, com’era stato promesso ai seguaci suoi contemporanei, esattamente come l’Islam (pur provandoci, e in parte riuscendovi) non conquistò il mondo e le sette apocalittiche videro passare le date che avevano fissato per la fine del mondo senza che succedesse niente, salvo un umiliante coro di risate pagane. Lenin – che aveva invocato l’apocalisse, una creatura letteraria, il miraggio dei profeti e dei demagoghi – trasformò la rivoluzione russa di febbraio, capitalista e democratica, nel suo contrario esatto: la rivoluzione d’ottobre, totalitaria e genocida. Un regime apocalittico: non s’era mai visto prima nulla di simile. Oltre a inquadrare il bolscevismo in questa vertiginosa prospettiva millenarista, che deve qualcosa a Eric Voegelin, benché l’autore di Ordine e storia e di Hitler e i tedeschi non sia citato neppure una volta, Slezkine mette in scena l’intera età staliniana attraverso le tragiche, labirintiche vicende degli abitanti della Casa del governo, quelli che Leonid Leonov (romanziere realsocialista pentito) definì, a giusto titolo, «una schiera di servitori infernali». Killer e genocidi conclamati, costoro coltivarono la pretesa postuma d’essere ricordati come «vittime di Stalin», quando naturalmente erano loro gli stalinisti, loro i carnefici. Come disse una volta Anna Achmatova: «Dostoevskij pensava che se tu avessi ucciso una vecchia usuraia, avresti avuto i rimorsi di coscienza per tutta la vita, poi l’avresti confessato e t’avrebbero spedito in Siberia. Noi invece sappiamo che è possibile uccidere dieci-quindici persone, e la sera tornare a casa» – la Casa del governo – «e sgridare tua moglie perché ha una brutta acconciatura». Quella di Slezkine è una fitta e terrificante trama storica con centinaia di personaggi votati a un destino insieme tragico e ridicolo. Tragica la sorte dei russi sotto la setta bolscevica, e comica la visione bolscevica del mondo. Accanto alla Casa del Governo, la Park Avenue del jet set bolscevico, s’abbatté la cattedrale di Cristo Salvatore (poi ricostruita) per fare posto al Palazzo (mai costruito) dei Soviet: una piramide alta 495 metri sormontata da una statua benedicente di Lenin, il grande cannibale.

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