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Rassegna Stampa
14.11.2008 A 16 ha ucciso per sbaglio, ha 23 anni e aspetta di essere impiccato
storia dell'iraniano Reza Alinejad

Testata:
Autore: Anna Mazzone
Titolo: «Storia di Reza Alinejad che morirà in Iran con un cappio al collo»

Da Il RIFORMISTA del 14 novembre 2008:

Reza Alinejad, classe 1985, aveva poco più di 17 anni quando fu arrestato. Ora ne ha 23. Ha passato gli ultimi sei anni della sua giovane vita nel carcere Adel Abad a Shiraz, in Iran. Sulla sua testa incombe una condanna a morte. Reza è uno dei 132 minori detenuti nelle carceri iraniane e prossimi ad essere uccisi per impiccagione. Il 31 ottobre scorso è stato giustiziato il settimo ragazzo dall'inizio dell'anno. Secondo le Nazioni Unite è da considerare «bambino» una persona «al di sotto dei 18 anni». Un bambino non può essere condannato a morte e su questo siamo tutti d'accordo, compreso l'Iran, e infatti il governo di Teheran ha firmato una convenzione internazionale che vieta l'esecuzione di qualsiasi detenuto che abbia commesso un reato prima di aver compiuto la maggiore età.
Ma quell'impegno viene puntualmente e tragicamente disatteso dal governo degli Ayatollah. Reza Alinejad ed il suo migliore amico, Hadi Abedini, stavano mangiando in un locale su una strada affollata, come due adolescenti qualsiasi. All'improvviso vennero avvicinati da due uomini. Volarono parole grosse e dagli insulti in un lampo si passò alle mani. I due, che si rivelarono in seguito esperti di arti marziali, cominciarono a picchiare duramente sia Reza che Hadi. Ferite alla testa, al volto, al torace. Reza aveva un coltello. In un gesto disperato si coprì il volto con il braccio per proteggersi dai colpi. Con la mano teneva ben stretto il suo coltello per difendersi. Un gesto fatale che a breve potrebbe costargli la vita. Nella lotta quel coltello, infatti, ferì uno dei due aggressori alla carotide. Un colpo netto, preciso, che uccise l'uomo all'istante. Reza Alinejad fu arrestato immediatamente e iniziò il lungo viatico del suo calvario giudiziario.
«Reza Alinejad potrebbe essere ucciso molto presto, forse anche tra due settimane». Dice al Riformista il suo avvocato difensore, Mohammad Mostafaie, che segue i casi disperati di 25 minori condannati a morte e che si batte affinchè possano avere salva la vita. «Sono molto preoccupato. In sei anni la famiglia di Reza è riuscita a portare più volte il caso in tribunale per una revisione - ci spiega Mostafaie -. Molti testimoni hanno assistito all'omicidio involontario e hanno tutti affermato che il ragazzo è stato aggredito e ha tentato di difendersi. Non doveva essere condannato a morte per due motivi: in primo luogo perchè si tratta di un omicidio di auto-difesa, e quindi del tutto inintenzionale, e in secondo luogo perchè il diritto internazionale non permette di condannare a morte dei minori».
Il tempo stringe. Solo due settimane fa un altro detenuto è stato impiccato «Sì, è così - ci dice Mostafaie passando la cornetta a sua moglie che mastica meglio l'inglese, mentre lui preferisce il persiano - Reza è davvero a un passo dal morire. L'Ayatollah Shahrudi, a capo del tribunale che sta esaminando le richieste della sua famiglia per una revisione della sentenza, ha deciso di lasciare nelle mani dei parenti dell'uomo ucciso il suo destino». Secondo la legge iraniana, infatti, i condannati a morte possono avere salva la vita solo se la famiglia della vittima li «perdona».
Generalmente, però, il perdono non arriva, a meno che non si raggiunga un accordo monetario e venga eseguita una cosiddetta "blood money transaction", in lingua persiana una "qesas". Per Reza Alinejad la cifra dello scambio perdono-vita è di 100.000 dollari americani. Una tombola per la sua famiglia. Qualora entro poche ore questi soldi non vengano versati, i parenti della vittima negheranno la "qesas" e il ragazzo verrà ucciso all'età di 23 anni. Il mondo, impotente, potrebbe dunque a breve assistere all'ennesima impiccagione di un ragazzo in Iran.

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