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Rassegna Stampa
29.05.2007 Parisi finge di non saperlo, ma l'Onu lo conferma: Hezbollah si sta riarmando
un articolo di Emanuele Ottolenghi

Testata:
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: «Parisi tentenna su Hezbollah»
Dal RIFORMISTA del 29 maggio 2007:

In una dichiarazione rilasciata la settimana scorsa alla trasmissione Omnibus su La7, il ministro della Difesa Arturo Parisi ha affermato senza mezzi termini che nel sud del Libano, dove l’Italia è impegnata con la missione Unifil, non è in corso un riarmo di Hezbollah. Secondo il ministro, il riarmo «non risulta o almeno non in termini tali da modificare la linea di condotta dell’Onu». Parisi va oltre, affermando come «l’efficacia dell’azione della missione Unifil garantisce una tregua che dura da un anno». Nonostante la violenza in corso nel Nord del Libano, Parisi afferma che «la situazione nel Libano del sud non deriva dagli Hezbollah ma da soggetti provenienti dall’estero e presenti nei campi palestinesi riconducibili sia ai sunniti che agli sciiti».
Il ministro della Difesa è una persona seria. Finora ha anche dimostrato competenza e professionalità. Stupiscono dunque queste dichiarazioni, perché sono in completa e palese contraddizione con informazioni, analisi, intelligence e valutazioni dei quali contenuti il ministro deve essere a conoscenza.
Ne citiamo uno sopra tutti gli altri, il recente rapporto (7 maggio 2007) del segretario generale dell’Onu Ban-Ki-Moon sull’attuazione della risoluzione Onu 1559 - che esige il disarmo delle milizie in Libano, la dice lunga sul riarmo di Hezbollah. Moon scrive nel rapporto: «Ho ricevuto informazioni da Israele sul traffico d’armi. Tali informazioni sono dettagliate e sostanziali, come descritto nel mio recente rapporto. In più, ho ricevuto rapporti da altri stati membri che dettagliano il trasferimento illegale di armi. Secondo tali rapporti, alcune armi prodotte fuori dalle regioni arrivano attraverso paesi terzi e sono portate clandestinamente in Libano attraverso il confine siro-libanese». Inoltre, Ban-ki-Moon ricorda una serie puntuale di violazioni riportate dai notiziari internazionali, denunciate dal governo libanese, registrate e documentate dal governo israeliano, dall’Unifil e da paesi terzi, e in alcuni casi persino ammesse da Hezbollah. Al punto dall’aver inviato un team di esperti per verificare la situazione. Non lo sa forse il ministro?
Del resto, i rifornimenti d’armi per Hezbollah sono documentati in decine di articoli, testimonianze e documenti pubblici rinvenibili su internet. Possibile che al ministro non siano pervenuti nemmeno dati disponibili al grande pubblico, visto il ruolo privilegiato dell’Italia in Libano, quale contingente più grande e al comando dell’Unifil?
Altrettanto opaca è l’affermazione riguardante «i soggetti provenienti dall’estero», la cui identità, ricondotta «sia ai sunniti che agli sciiti» ci piacerebbe chiarire un po’ meglio. Il Libano in fondo confina soltanto con due paesi, Israele e la Siria. Difficile ricondurre Israele a «sciiti e sunniti»: resta la Siria, che ha ottimi motivi per riarmare Hezbollah per conto dell’Iran. Del resto, per chiara ammissione delle stesse Nazioni Unite, le uniche infrazioni riguardanti il traffico d’armi delle risoluzioni Onu 1559, 1680 e 1701 provengono dalla Siria. Visti gli scontri in corso tra esercito libanese e l’organizzazione palestinese Fatah-al-Islam nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, nel nord del paese, vien da chiedersi chi ci sia dietro a questa violenza, visto che le loro armi non possono essere arrivate da Israele e quindi evidentemente devono venire dalla Siria.
Non solamente la vicinanza geografica con il confine siriano, il consistente contingente di miliziani stranieri nelle file palestinesi e la presenza di intelligence siriano indicano come i guai di Nahr el-Bared arrivino probabilmente dalla Siria. La Siria ha ottime ragioni per fomentare caos e violenza in Libano. Per la Siria rimane un obiettivo primario impedire il tribunale internazionale sull’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri, anche se dovesse costare al Libano una guerra civile. E una guerra potrebbe essere in definitiva l’unico mezzo per spodestare un governo, quello di Fouad Seniora, determinato a far approvare il tribunale dal parlamento, dove ancora gode della maggioranza.
I giochi politici sono sempre più tesi in Libano, con il presidente del parlamento, il filosiriano Nabih Berri, deciso a non convocare l’assemblea per evitare il voto sul tribunale ma con il parlamento da convocare a fine estate per l’elezione del nuovo presidente. Il Libano insomma, tra violenza destinata a creare difficoltà al governo e riarmo delle forze d’opposizione, sta scivolando verso una crisi costituzionale sempre più grave e forse persino un nuovo conflitto interno.
Vista la situazione si capisce come il ministro abbia sostenuto una tesi difficilmente difendibile: a nessuno piace fare funeste ambasciate. Ma il ministro Parisi potrebbe essere più sincero nei confronti del pubblico, a meno che lui stesso sia così poco informato da non aver tenuto conto nemmeno del recente summenzionato rapporto del segretario generale. Oppure il ministro preferisce non creare problemi al suo collega, il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che a dispetto di quanto sta facendo la Siria per destabilizzare il Libano, probabilmente andrà presto a Damasco per incontrare il dittatore siriano Bashar al-Assad. «A dirgliele», secondo quanto avrebbe detto D’Alema alla sua controparte israeliana in una recente telefonata in cui D’Alema l’informava del suo prossimo viaggio. A far finta di niente, diremmo noi, se D’Alema farà a Damasco come Parisi ha fatto a Omnibus.


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