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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.12.2023 Al cinema “one life” un film da non perdere e un libro da leggere
Commento di Stefania Ulivi

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 dicembre 2023
Pagina: 55
Autore: Stefania Ulivi
Titolo: «Al cinema “one life” un film da non perdere e un libro da leggere»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/12/2023, a pag. 55  l'articolo di Stefania Ulivi dal titolo "Ho riscoperto le mie origini nel film sui bambini ebrei".


Stefania Ulivi
 
Libro e film sono disponibili in italiano
Libro e film sono disponibili in italiano

«C’è qualcuno in questo studio che deve la vita a Nicholas Winton?». Si alzarono tutti alla domanda di Esther Rantzen, conduttrice del popolarissimo show That’s Life. Rimasero seduti solo in due, Winton e la moglie: gli altri erano alcuni dei 669 bambini ebrei che cinquant’anni prima, nel 1939, il giovane broker londinese era riuscito a salvare a Praga all’indomani dell’invasione nazista della Cecoslovacchia. La vicenda rimasta misconosciuta fino alla sorpresa della Bbc, è diventata un film, One life di James Hawes, in sala dal 21 dicembre con Eagle Pictures. A interpretare lo Schindler britannico, in un continuo andirivieni nel tempo, sono Johnny Flynn e Anthony Hopkins. Helena Bonham è la madre Babette nelle scene ambientate nel 1939. «Conoscevo il video commovente di Winton a That’s life, sapevo che era rimasto per mezzo secolo in silenzio, convinto di non aver fatto nulla di speciale. Appena ho saputo del film ho voluto esserne parte. Mi sento legata a quest’uomo geniale», spiega al Corriere. Non dice per dire. Con Babette Winton, Helena Bonham Carter ha molto in comune, non solo il fatto di aver abitato nello stesso quartiere londinese. «Le nostre famiglie sono di origini ebraiche. Loro si chiamavano Wertheim, fino al 1937, Babe e il marito erano ebrei tedeschi, di Norimberga, profughi. Fecero battezzare il figlio Nicky. Lei capì subito cosa stava succedendo a Praga e si attivò per aiutare il figlio nell’opera di salvataggio, pur sapendo quanto fosse rischiosa. Mia madre — continua l’attrice — era un’ebrea austriaca. Suo nonno, Eduardo Propper de Callejón, diplomatico spagnolo, fu riconosciuto tra i Giusti per aver aiutato molti ebrei a fuggire da Parigi nel ‘40 disobbedendo al suo governo». E anche sua nonna paterna, Violet Bonham Carter, figlia del primo ministro Herbert Asquith, ne aiutò molti, e fece pressioni sul governo britannico a favore dei rifugiati, tanto da finire nella lista nera di Hitler dei nemici del nazismo. «Questa storia è nel mio Dna. Ho cercato di sapere il più possibile di Babette. Ho incontrato la figlia di Winton, Barbara, che ha scritto il libro da cui è tratto il film — pubblicato da noi da Garzanti, ndr —. Ho visto sue foto, era più alta di me. Ma più che la somiglianza fisica abbiamo cercato il legame interiore. Era una donna intelligente, aveva studiato, era frustrata per non avere avuto una carriera, a Londra era lei stessa una rifugiata». Quello che l’ha colpita, racconta, è stato anche il rapporto con il figlio. «Fuori dagli schemi, molto dinamico. Non si vedono spesso sullo schermo madre e figlio lavorare insieme, meno che mai per uno scopo così importante. Lei fa da segretaria a Nicky, lui si muove a Praga in quei giorni drammatici, lei gli fa da spalla a Londra. Si attiva per raccogliere i soldi, va a litigare con i funzionari del governo che mettono bastoni burocratici tra le gambe, gli ricorda i veri valori: educazione, gentilezza e rispetto per gli altri. Il titolo viene dal Talmud: chiunque salva una vita, salva il mondo intero». Un messaggio quanto mai attuale, dice Bonham Carter. «Le persone possono fare la differenza. Winton era un agnostico, lo avrebbe fatto per chiunque. Deve esserci un modo per rimanere umani quando sembra non esserci più speranza. 85 anni dopo questa storia vale tanto, sta succedendo di nuovo. Abbiamo girato nel mezzo della guerra in Ucraina, il film esce in questo momento terribile in Israele e a Gaza. C’è stato molto silenzio sull’Olocausto, non dobbiamo smettere di parlarne». Non lavorava con Hopkins dai tempi di Casa Howard. «Non abbiamo scene insieme, le mie sono con Flynn. Il passaggio tra loro due è perfetto: sono grandi attori, modesti. Un giorno Anthony mi ha detto: “Sono così felice di poter lavorare ancora”. Lui??». Degno di Nicholas Winton.

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