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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2023 Raphaël Gluksmann: Parigi e Berlino aiutano Putin
Intervista di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 dicembre 2023
Pagina: 13
Autore: Stefano Montefiori
Titolo: «Non è Orbán il vero problema sul poco sostegno all’Ucraina: troppi governi già pensano di tornare ai patti con Putin»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/12/2023, a pag. 13, con il titolo "Non è Orbán il vero problema sul poco sostegno all’Ucraina: troppi governi già pensano di tornare ai patti con Putin", l'intervista di Stefano Montefiori a Raphaël Glucksmann.

Stefano Montefiori - Unifrance
Stefano Montefiori

Raphaël Glucksmann
Raphaël Glucksmann

Uscendo dalla stanza a Bruxelles Viktor Orbán ha permesso l’inizio dei negoziati per l’adesione dell’Ucraina alla Ue, ma poi ha bloccato aiuti a Kiev per 50 miliardi. L’Europa è appesa al ricatto del premier ungherese?
«Sì, ma purtroppo la mossa di Orbán è solo l’ultimo atto di una situazione drammatica della quale sono responsabili i leader dei grandi Paesi europei, Francia in testa. Siamo sul bordo del precipizio».

Raphaël Glucksmann, 44 anni, deputato di sinistra a Strasburgo e capolista di una lista Place Publique/Ps che secondo i sondaggi potrebbe essere la sorpresa delle prossime elezioni europee, punta il dito su chi lo ha deluso: non riponeva speranze sull’«apprendista autocrate ungherese», ma sui governi dei grandi Paesi dell’Unione sì.

Che cosa sta succedendo in Europa? Perché, secondo lei, «dobbiamo cogliere la gravità del momento»?
«All’inizio della guerra Putin aveva fatto due scommesse: la prima era che lo Stato ucraino sarebbe crollato, e quella scommessa l’ha perduta; poi ha puntato sul fatto che le società occidentali e le democrazie europee fossero incapaci di fornire uno sforzo di medio-lungo termine per aiutare Kiev. E al di là dei proclami, tutti i dati sulle consegne di armi all’Ucraina mostrano che Putin sta vincendo questa seconda scommessa».

A Bruxelles il presidente francese Macron si è difeso dicendo che la Francia sta facendo il massimo per armare l’Ucraina ma deve anche salvaguardare il proprio arsenale per la difesa nazionale. È convincente?
«Nell’estate 2022 Macron ha detto che bisognava passare a una “economia di guerra”. Da allora, non c’è un contratto a lungo termine che sia stato concluso con l’industria della difesa. I soli progressi concreti sono venuti da Commissione e Europarlamento, cioè quelle istituzioni europee che di solito accusiamo di burocrazia e scarsa efficacia».

Se i singoli Paesi tentennano, qual è invece il merito di Bruxelles?
«Per esempio la direttiva Asap approvata a tempo di record per le munizioni da inviare in Ucraina. Solo che il commissario Thierry Breton, appena la settimana scorsa a Strasburgo, ci ha detto che arriveremo a produrre un milione di munizioni, sì, ma solo 300 mila andranno all’Ucraina».

Come mai?
«Perché stiamo continuando a vendere armi agli Emirati arabi uniti, all’Arabia saudita, all’Africa del Sud prima che all’Ucraina. Il problema non sono le capacità produttive, industriali, ma l’atteggiamento business as usual. Non abbiamo ancora capito l’importanza del momento che stiamo attraversando».

L’Europa si sta stancando?
«Sì, e i suoi leader non riescono a capire che dobbiamo aiutare gli ucraini non solo perché è giusto, perché resistono eroicamente a un’aggressione, perché sono una democrazia attaccata da un regime illiberale. Dobbiamo aiutare l’Ucraina perché è nel nostro interesse, perché tutta l’architettura della sicurezza in Europa crollerebbe assieme all’Ucraina. Basta ascoltare quello che dicono apertamente gli stessi russi. Se il vicepresidente della Duma, Piotr Tolstoï, dice che “la guerra è la nostra ideologia nazionale”, significa che il punto della questione non è certo il Donbass, o la Crimea. L’obiettivo siamo noi, le democrazie».

Negli Stati Uniti, ma anche in Europa, sembra diffondersi l’idea di un ritorno allo status quo precedente, magari cedendo appunto il Donbass a Putin. E il presidente ucraino Zelensky comincia a essere visto come un massimalista che intralcia i negoziati.
«Zelensky appena eletto puntava a un compromesso con i russi, è diventato un presidente di guerra solo perché Putin ha deciso di invadere. Ma la tentazione di restare a metà del guado, di non abbandonare l’Ucraina ma neanche darle davvero i mezzi per vincere, si vede anche da un’altra cosa».

Quale?
«I beni russi congelati in Europa ammontano a 200 miliardi. Il Parlamento europeo chiede che vengano trasferiti all’Ucraina, ma Parigi e Berlino sostengono che è impossibile dal punto di vista giuridico. La Commissione propone allora che vengano dati all’Ucraina almeno i nove miliardi di interessi, ma anche qui i governi si oppongono».

Perché?
«Forse perché i singoli governi si illudono di poter tornare all’era del cancelliere Schröder e dei patti col tiranno russo. Ecco perché Orbán può tenere in scacco tutto il continente: lui e Putin hanno colto perfettamente il clima che si respira in Europa. Manca una leadership politica e Macron, che avrebbe potuto prenderla ponendosi come il leader della resistenza europea a Putin, ha preferito rinunciare, tra ambiguità e ambivalenze. Bisogna dare più poteri all’Europa e creare una difesa comune, perché tutto il continente non rimanga ostaggio di una nazione di 10 milioni di abitanti, e perché si provi davvero a fermare Putin. Il Donbass non sarà mai abbastanza».

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