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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.05.2023 "Putin rischia crepe interne"
Commento di Federico Fubini

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 maggio 2023
Pagina: 20
Autore: Federico Fubini
Titolo: «L’insofferenza di Prigozhin, gli oligarchi sotto pressione: «Putin rischia crepe interne»»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/05/2023, a pag. 20, con il titolo "L’insofferenza di Prigozhin, gli oligarchi sotto pressione: «Putin rischia crepe interne»", l'analisi di Federico Fubini.

Immagine correlata
Federico Fubini

Via le sanzioni alla madre del fondatore del gruppo Wagner
Evgeny Prigozhin

Immaginate il dittatore di un regime in guerra che non vince sul campo da un anno, che non recluta nuovi soldati per timore di una rivolta, che minaccia l’arresto dei suoi funzionari se si dimettono, mentre le élite diventano sempre più scettiche nei suoi confronti. In più, il suo governo si affida a una banda di mercenari il cui leader insulta il ministro della Difesa, il comandante dell’esercito e probabilmente il dittatore stesso. Scommettereste sul futuro di un regime del genere? Perché quello di Vladimir Putin è così. Dall’estate scorsa ha solo dovuto cedere terreno in Ucraina, mentre l’offensiva su Bakhmut è sostanzialmente fallita malgrado i costi enormi in vite umane e materiale bellico. Quanto alla nuova mobilitazione, continua a slittare perché il Cremlino teme un’ondata di pubblica ostilità verso la guerra e verso Putin stesso. Intanto si è scoperto che sul campo l’esercito sta mandando mezzi corrazzati degli anni ’50, in mancanza di meglio. È in questo quadro che da settimane si stanno susseguendo scricchiolii nella verticale del potere russo. A fine marzo qualcuno ha intercettato due oligarchi, Iosif Prigozhin e Farkhad Akhmedov, quindi ha diffuso i loro scambi. I due dicono che la leadership russa è fatta di «stupidi scarafaggi» che stanno «distruggendo il futuro». L’aspetto interessante è che ai due non è successo niente: non sono volati da una finestra, né sono stati avvelenati o incarcerati. Il regime ha finto di credere che quella registrazione fosse falsa, forse perché adesso non ha l’energia per avviare una purga nelle élite. Non sfugge neanche al Cremlino che gli oligarchi russi restano passivamente leali, ma non condividono il miraggio imperiale di Putin. Miliardari come Alexei Mordashov di Severstal o Mikhail Fridman di Alfa-Bank continuano a collaborare con il regime e con l’apparato militare-industriale, complici fino in fondo, ma solo per opportunismo e per denaro. Metterebbero fine alla guerra domani, se potessero, perché danneggia i loro interessi; e lo fanno capire ai loro interlocutori occidentali. Il loro cinismo verso Putin ormai è così evidente che negli Stati Uniti si inizia a riflettere su come incrinare il rapporto fra il dittatore e i suoi oligarchi. Una delle proposte allo studio riguarda le sanzioni: potrebbero essere sospese agli oligarchi che si schierano per il ritiro delle truppe e versano all’Ucraina il 75% del proprio patrimonio congelato. Probabilmente neanche questo basterà a spostare gli equilibri, eppure a Mosca la presa del potere sembra meno solida di un anno fa. Questa settimana si è saputo che alti burocrati, esponenti dei servizi segreti e due governatori regionali sono stati minacciati di arresto qualora si fossero dimessi: non proprio una prova di forza, quando un regime deve garantirsi la fedeltà con questi mezzi. Infine è scoppiato il caso Evgeny Prigozhin (omonimo, non parente dell’oligarca intercettato). Il fondatore della Wagner, la milizia irregolare che assedia Bakhmut, ha insultato e trattato pubblicamente da incompetenti il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il comandante dell’esercito Valery Gerasimov. Ancora una volta nessuno ha reagito. Quindi Prigozhin è parso alzare il tiro: «Come si fa a vincere una guerra — si è chiesto su Telegram — quando viene fuori che il nonno è una totale testa di c.?». Sergey Radchenko, storico e politologo russo-britannico della Johns Hopkins University, non ha dubbi sul significato della battuta: «nonno», fa osservare, è il termine con il quale l’opposizione si riferisce a Putin; Prigozhin non poteva ignorarlo. Anche qui l’aspetto notevole è la totale assenza di reazione da parte del Cremlino, che ha bisogno della Wagner. «Assistiamo a una disorganizzazione delle forze armate, che rivela come qualcosa stia funzionando in modo profondamente sbagliato nello Stato», nota Radchenko. «Da fuori non sappiamo cosa, ma si notano il malessere e i segni di un quadro destabilizzante». Non tutti gli osservatori concordano, in realtà. Dmitri Alperovitch, del think tank di Washington Silverado Policy Accelerator, nel 2021 è stato il primo a prevedere l’aggressione all’Ucraina. Ora pensa che la presa di Putin sul potere resti salda. «Creare divisioni fra i collaboratori è tipico di un dittatore. Ma non ci sono segnali che i servizi di sicurezza o l’esercito siano contro di lui: la sua posizione è sicura e il Cremlino oggi scommette su una guerra lunga». Eppure neanche Alperovitch esclude quello che definisce un «cigno nero»: una controffensiva ucraina che tagli fuori la Crimea dal resto dell’occupazione russa. Perché un dittatore che attinge il suo prestigio dall’uso della forza può perderlo quando l’uso della forza, alla fine, lo umilia.

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