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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.07.2022 Guerra in Ucraina e identità europea
Analisi di Maurizio Ferrera

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 luglio 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Ferrera
Titolo: «L’identità (più forte) della Ue»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/07/2022, a pag.1, con il titolo "L’identità (più forte) della Ue" il commento di Maurizio Ferrera.

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Maurizio Ferrera

European Union gateway

Nei giorni scorsi il governo lettone ha annunciato la demolizione di decine di monumenti dedicati alle glorie dell’Unione Sovietica. È già successo in molti altri Paesi, a partire naturalmente dall’Ucraina. Ed è il culmine di un processo iniziato subito dopo il crollo dell’Urss. L’«operazione speciale» che Putin ha voluto per denazificare l’Ucraina ha in realtà accelerato la de-sovietizzazione di molte ex-repubbliche che appartenevano all’impero creato da Stalin. Sta così chiaramente fallendo il grande progetto Russkiy Mir (letteralmente, mondo russo): l’idea di riunificare tutte le comunità slave di lingua russa, accomunate da un nucleo «eterno» di valori, tradizioni e religione, antitetico a quello dell’Occidente. A poco sono serviti i sussidi e la propaganda di Mosca o la creazione di una Unione economica euro-asiatica. Appena hanno potuto, i «compatrioti» degli altri Paesi russofoni hanno stretto accordi di associazione con la Ue. E siccome tutto è lecito per difendere il Russkiy Mir, nel 2014 Putin non ha esitato a invadere la Crimea proprio perché l’Ucraina voleva firmare (come poi ha fatto) uno di questi accordi. Un progetto che doveva «irradiare» la civiltà russa si è così trasformato in una sequenza di aggressioni armate. Il magnetismo esercitato dall’Europa ha molto a che fare con la speranza di prosperità economica.

Ma la maggioranza dei cittadini delle ex repubbliche sovietiche è anche interessata a due tipi di garanzie. S icurezza dalle minacce esterne, innanzitutto: e infatti auspicano la protezione dell’ombrello Nato. E in secondo luogo libertà e tolleranza: desiderano poter godere di quei diritti civili che sono invece disprezzati e spesso derisi dai leader russi e dalle gerarchie ortodosse. Accettando la richiesta di adesione dell’Ucraina e della Moldavia (indirettamente anche della Georgia) i leader europei hanno saputo dare una veloce risposta alle aspirazioni di questi Paesi. I problemi incontrati dopo l’allargamento a Est (pensiamo ai casi della Polonia e in particolare dell’Ungheria) suggeriscono prudenza nei negoziati. È tuttavia altrettanto rischioso prolungare troppo il «limbo» della sala d’attesa: il Russkiy Mir è fallito sul piano politico-culturale, ma non (ancora) su quello militare e Putin potrebbe aggredire ancora. Enrico Letta prima e successivamente il presidente francese Macron hanno proposto di istituire una nuova «confederazione» o «comunità» (termine preferibile) che comprenda i Paesi Ue e i nuovi candidati. Lo scopo sarebbe quello di avviare subito qualche politica comune. L’iniziativa potrebbe inizialmente prendere la forma del G20, ossia un’organizzazione intergovernativa al di fuori delle strutture Ue. L’agenda non dovrebbe limitarsi alle questioni economico-finanziarie, ma estendersi anche alla sicurezza. Qualcuno ha già proposto un’etichetta: E40. Si tratta della sigla di quella «strada europea» che collega Calais all’Ucraina (per proseguire poi verso l’Asia). Se il numero 40 fosse inteso in senso letterale, ci sarebbero 13 posti liberi oltre ai 27 Paesi Ue: 9 per quelli che sono già candidati (Georgia compresa) e 4 per altri eventualmente interessati, a partire auspicabilmente dal Regno Unito. Fra gli effetti non voluti della guerra ucraina, c’è stato il ricompattamento della Nato e della Unione europea, consolidando la svolta solidarista già impressa dalla pandemia Covid. In buona parte, si è realizzata una delle speranze dei «padri fondatori»: l’integrazione economica, punteggiata da momenti di crisi, avrebbe creato una irreversibile «solidarietà di fatto» tra Paesi. Uno di questi «padri», Jean Monnet, disse però nel corso di una intervista: «Se dovessi ricominciare da capo, inizierei dalla cultura». Il principale paradosso della Ue riguarda oggi proprio questo aspetto. In gran parte del mondo, i valori del modello europeo (incluso il processo stesso di integrazione) costituiscono una possente calamita politico-culturale. All’interno dell’Unione, spesso prevale invece la difesa delle specificità e delle sovranità nazionali. La solidarietà di fatto è tollerata, ma solo come eccezione temporanea. Questa guerra ha trasformato l’Europa in una entità geopolitica che deve prendere in mano il proprio destino, anche sul piano militare. È ora che i Paesi membri cambino la propria auto-percezione: non «stanno nella Ue», ma «sono la Ue». Fanno parte integrante di un attore collettivo per cui, in certi ambiti e momenti, l’unità deve prevalere sulla diversità. La storia ci mette in guardia contro i progetti egemonici. Il «mondo Ue» ha bisogno tuttavia di rafforzare oggi la propria auto-consapevolezza. Per proteggere se stesso e per contribuire con più efficacia a stabilizzare un ordine internazionale sempre più fragile.

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