venerdi 29 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.05.2022 Davos di fronte all'Ucraina
Due commenti di Federico Fubini

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 maggio 2022
Pagina: 3
Autore: Federico Fubini
Titolo: «L’offensiva ucraina al forum di Davos: 'Adesso dateci armi più potenti' - La critica di Stoltenberg: 'La globalizzazione ci ha illuso, la sicurezza vale più del commercio'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/05/2022, a pag. 3, con il titolo "L’offensiva ucraina al forum di Davos: 'Adesso dateci armi più potenti' ", l'analisi di Federico Fubini; dello stesso autore, a pag. 5, il commento dal titolo "La critica di Stoltenberg: 'La globalizzazione ci ha illuso, la sicurezza vale più del commercio' ".

Ecco gli articoli:

"L’offensiva ucraina al forum di Davos: 'Adesso dateci armi più potenti' "

Immagine correlata
Federico Fubini


Volodymyr Zelensky

Se c’è un’operazione politica in corso a Davos, che riapre dopo due anni e mezzo, non è di nessuna delle tradizionali grandi potenze del World Economic Forum. Non è degli Stati Uniti, che non ha mandato quasi nessuno del livello politico dell’amministrazione (eccetto l’inviato sul clima John Kerry). Non è della Cina — ha seguito la scelta degli americani — né di Gran Bretagna o Francia, i cui leader non appariranno fra le montagne svizzere. L’operazione politica, questa settimana, è dell’Ucraina. Mentre la delegazione russa è stata messa al bando, Kiev manda a Davos il primo ministro Denis Shmyhal, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba, tre vicepremier, sei parlamentari, il vertice della società nazionale del gas, quello di un colosso dell’acciaio, una lunga serie di consiglieri politici del governo e il sindaco di Kiev Vitaliy Klichko. E naturalmente il presidente Volodymyr Zelensky, che ha dato in collegamento il discorso di maggiore impatto della settimana di Davos. Tanto attivismo ha due obiettivi: spingere gli europei a rafforzare le sanzioni e soprattutto convincere gli europei e gli americani a fornire non solo più armi ma armi diverse, offensive. Dice sulle ipotesi di una trattativa di pace Yuriy Vitrenko, amministratore delegato della società nazionale dell’energia di Kiev Naftogaz e uomo fra i più vicini a Zelensky: «Il punto molto chiaro al momento è che non vediamo nessuna opportunità di un compromesso non a causa nostra, ma perché Vladimir Putin non è pronto a negoziare». Vitrenko dice qualcosa che lo stesso Zelensky ripete spesso in privato: «Il presidente russo capisce solo la forza, dunque dobbiamo mostrare più forza militare e solo allora Putin sarà pronto a venire al tavolo negoziale». Questo stesso messaggio a Davos viene ripetuto con molti dettagli dai parlamentari ai membri del Congresso americano, perché spingano l’amministrazione a fornire più armi. Dice la parlamentare di Kiev Yulia Klimenko, ex vice-ministro dell’Economia: «Noi ucraini possiamo vincere questa guerra, possiamo spingere indietro i russi fino al loro confine perché sono demotivati. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono le armi: più armi pesanti, per aprire varchi nelle linee nemiche e poter avanzare nel Donbass». Klimenko fornisce la lista che lei stessa sta presentando ai parlamentari americani a Davos: «Jet da combattimento e artiglieria pesante come sistemi missilistici a lancio multiplo, non più solo armi puramente difensive — dice Klimenko —. Non capiremmo se gli Stati Uniti e l’Europa rifiutassero». In particolare, Kiev sta chiedendo a Washington aerei da guerra di modello F16. Escluso per questa parlamentare invece è lo scenario che, senza dirlo, molti europei a Davos sperano: un compromesso territoriale nell’Est dell’Ucraina che metta fine alla guerra tra non troppo tempo. «Non possiamo accettare compromessi sui nostri confini — dice Klimenko —. Un accordo del genere non supererebbe l’esame del parlamento di Kiev e violerebbe la costituzione». Non meno deciso a chiedere più sanzioni contro Mosca in questi giorni a Davos è stato il premier ucraino Shmyhal. Ai suoi interlocutori, ha spiegato che nelle armi russe abbandonate sul terreno l’esercito ucraino ha trovato semiconduttori prelevati da lavatrici e frigoriferi. Il premier ha presentato a Davos questi indizi come evidenza che le sanzioni contro Mosca funzionano, dunque vanno rafforzate. L’idea è quella ripetuta spesso in privato da Zelensky e espressa da Vitrenko: mostrare a Putin più forza militare per farlo trattare. Sarebbe questo il consiglio che stanno fornendo agli ucraini alcuni oligarchi russi ansiosi di vedere la fine della guerra e, soprattutto, delle sanzioni contro di loro. Il primo fra questi sarebbe Roman Abramovich, ma l’ex patron del Chelsea non sembra essere l’unico. Di certo serpeggia quasi dell’irritazione nella delegazione ucraina a Davos, per i dubbi che gli europei e gli americani non nascondono all’idea di fornire a Kiev armi offensive. Commenta un esponente di Kiev: «Non siamo dei pazzi, non cercheremo mai di invadere la Russia sul suo territorio, non vogliamo arrivare a Mosca».

"La critica di Stoltenberg: 'La globalizzazione ci ha illuso, la sicurezza vale più del commercio' "

Nato e Crimea, cos'ha detto davvero Stoltenberg: un caso di isteria  mediatica - il Mitte
Jens Stoltenberg

Negli ultimi trent’anni, quasi tutti i leader che si erano alternati nella hall del Centro Congressi di Davos avevano un unico messaggio. Veniva da Tony Blair o Barack Obama così come dal leader cinese Xi Jinping o dal direttore di turno del Fondo monetario internazionale. Ciascuno lo presentava secondo il proprio stile alla platea dei grandi investitori, ma tornava sempre fuori un punto comune: bisogna aprire le frontiere quanto più possibile agli scambi, perché la dipendenza commerciale dei Paesi gli uni dagli altri avrebbe portato pace insieme alla crescita economica. Che qualcosa sia cambiato nelle leggi non scritte del World Economic Forum — quelle della globalizzazione post-1989 — si è avvertito ieri quando sul palco è salito Jens Stoltenberg. Ex premier norvegese, qualche mese fa ha congelato la propria nomina a governatore della Norges Bank perché la Nato gli ha chiesto di restare segretario generale per un anno in più. Era scoppiata la guerra in Ucraina e l’Alleanza atlantica non voleva aprire scontri interni per sostituirlo. In pochi giorni Stoltenberg ha messo da parte un ruolo di leadership in economia per uno di rilevanza geopolitica. E ieri a Davos ha espresso una visione in linea con questa scelta: «Molti di noi qui e io stesso abbiamo lavorato intensamente per un’economia globalizzata. Il libero commercio ci ha portato prosperità e ricchezza — ha detto —. Ma una parte di questo commercio, alcune interazioni con regimi autoritari, minano la nostra sicurezza. Le relazioni economiche con quei sistemi politici possono creare vulnerabilità». Tutti in sala hanno pensato a quello che fin qui è il primo passaggio a vuoto nella risposta occidentale a Mosca: l’incapacità dell’Unione europea, dopo tre mesi di guerra, di ridurre le entrate della Russia dal gas e dal petrolio. Putin usa fino in fondo l’arma dell’energia. «La libertà è più importante del libero commercio — ha avvertito Stoltenberg —. Proteggere i nostri valori è più importante che fare profitti». Ma il segretario generale della Nato non pensava solo alla dipendenza dei Paesi europei dal gas di Mosca. E lo ha messo in chiaro quando ha iniziato a parlare della Cina e al ruolo delle aziende di Stato di Pechino nelle aste per la gestione delle reti di telecomunicazioni in 5G di ultima generazione di vari Paesi occidentali. «Quelle reti sono fondamentali, sono una questione vitale di sicurezza», ha avvertito. Il norvegese è stato invece più comprensivo verso la Turchia, con cui si prepara a negoziare perché tolga il veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Ursula von der Leyen, per parte propria, si è detta aperta all’uso delle riserve congelate della Banca di Russia per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Poi ha presidente della Commissione ha accusato: «La Russia usa il blocco dell’esportazione di grano ucraino come un’arma, bisogna trovare il modo di scardinarlo».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT