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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.04.2022 Finlandia, Svezia e il sostegno incerto dell'Ue
Analisi di Paolo Mieli

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 aprile 2022
Pagina: 1
Autore: Paolo Mieli
Titolo: «Il sostegno incerto»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/04/2022, a pag. 1, con il titolo "Il sostegno incerto" l'analisi di Paolo Mieli.

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Paolo Mieli

Rapporti con l'Unione Europea - Agenzia per la coesione territoriale

La premier finlandese Sanna Marin annuncia che chiederà l'ingresso del proprio Paese nella Nato in tempi brevi. Poche settimane. Stessa cosa farà la svedese Magdalena Andersson. Due donne. Socialdemocratiche. Fino a pochi giorni fa simbolo di una rinascita della sinistra in Europa. Entrambe hanno il consenso dei rispettivi Parlamenti. Parlamenti da sempre devoti, fino a ieri, a una sorta di religione della neutralità. Il braccio destro di Putin, Dmitry Medvedev, reagisce con minacciosa brutalità puntando l'indice contro Marin, Andersson e forse qualcun altro: «Dimenticatevi lo status denuclearizzato». Traduzione: siamo pronti ad attaccare anche voi; a portare la guerra anche In casa vostra. Cè un'Europa — oltre a Finlandia e Svezia, Repubbliche baltiche, Norvegia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia — che assiste al martirio della costa del mare d'Azov nella crescente convinzione che il terrore inflitto dai russi non si fermerà alle frontiere ucraine. Guardano con apprensione, questi Paesi, anche a quel che si produce nel centro dell'Europa. Era parso agli inizi che i Paesi dell'Europa unita tenessero a mostrarsi all'altezza della situazione. Ora che non c'era da fare i conti con soldati inviati dall'America, avrebbero mostrato di cosa erano capaci. Approfittando dell'occasione per accelerare i tempi di costituzione degli Stati Uniti d'Europa. E per dar vita ad un piccolo ma efficiente esercito europeo. Quantomeno un embrione. Ma giorno dopo giorno l'entusiasmo dei Paesi più importanti d'Europa sembra essersi attenuato. E si ha persino la percezione che il sostegno alla causa di Zelensky non sia più quello dell'inizio.

La Germania litiga con Kiev per lo sgarbo subito dal presidente Steinmeier (considerato eccessivamente filorusso per essere ricevuto in pompa magna nel Paese a cui quei suoi ex amici infliggono lutti non di poco conto); Macron, dopo una serie di infruttuose telefonate con il capo del Cremlino, si occupa delle proprie elezioni; l'Italia dà mostra di sé come il Paese più permeabile (ampiamente permeato) da forme sofisticate di cultura tolstojana; la Spagna non è pervenuta. Gli unici che si sono fatti vivi con parole adeguate sono stati la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola (con un tempismo da statista), la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (stavolta all'altezza del ruolo), Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri, con parole a tal punto impegnative che gli sono state addirittura rinfacciate in molte capitali del Continente. Rinfacciate anche perché l'Europa centrale appare nel complesso rassegnata al sacrificio ucraino. Qualcuno auspica quasi apertamente che tutto avvenga in tempi brevi. Un sentimento che appare solo in parte ispirato a un senso di pietà per chi è destinato a soccombere. Molta attenzione dell'Europa che conta va legittimamente anche al prezzo del gas. Lo sdegno per quella che si configura come una serie interminabile di crimini di guerra appare in via di attenuazione. Talvolta ha un che di rituale. L'impegno a mandare armi in aiuto alla resistenza ucraina c'è ancora ma — forse anche per la diffusa considerazione del monito di papa Francesco — non sembra di assistere a una gara di velocità. Forse era prevedibile che il primo Paese a reagire a questa gestione meno concitata del dossier ucraino, sarebbe stata la Finlandia. La quale Finlandia ha un ricordo tutto suo di quel che accadde all'inizio della Seconda guerra mondiale. Stiamo parlando di quel che si produsse nelle settimane successive all'accordo Molotov-Ribbentrop (fine agosto 1939).

Ai primi di settembre la Germania hitleriana invase la PoIonia e diede inizio alla guerra. Quindici giorni dopo — come previsto dalle clausole segrete del trattato tra i ministri degli Esteri tedesco e sovietico — l'Urss aggredì anch'essa la Polonia. Poi toccò a Estonia, Lettonia e Lituania. Successivamente fu la volta della Finlandia. Ma qui i russi ritrovarono un comandante militare, Carl Gustaf Emil Mannerheim che li aveva già sconfitti nel primo dopoguerra. Nel suo libro di memorie Nikita Chruscev, testimone diretto, ha scritto che Stalin nel '39 si aspettava di vincere in tempi rapidi e pensava che la Finlandia si sarebbe liquefatta in pochissimi giorni. La consueta illusione dei despoti quando si avventurano in una guerra. Invece gli uomini di Mannerheim inchiodarono i russi per oltre tre mesi infliggendo loro qualche umiliazione e costringendo il dittatore georgiano a destituire in tutta fretta alcuni importanti capi militari. Ad un certo punto si sperò, a Helsinki, in un appoggio da Francia e Gran Bretagna. Aiuto che però non giunse mai. I sovietici lasciarono sul campo un numero di morti superiore tre o quattro volte a quello degli aggrediti. E subirono un'onta militare che, secondo molti storici, fu all'origine, un anno dopo, della decisione hitleriana di attaccare l'Urss (22 giugno 1941). Ma è agli atti una lettera a Benito Mussolini (8 marzo 1940) nella quale il Führer assolve in buona sostanza le truppe di Stalin sostenendo che in una battaglia combattuta a 30/40 gradi sottozero nessuno avrebbe potuto vincere in tempi più rapidi. In ogni caso i finlandesi ne guadagnarono in prestigio. Prestigio che fruttò loro, a guerra finita, la riconquista dell'indipendenza. Accompagnata da un'iperneutralità (ribattezzata «finlandizzazione») che però garantì loro relativa autonomia e sopravvivenza. Può essere che ora siano imprudenti nel chiedere di essere ammessi nella Nato. Però forse ancora più avventato sarebbe, in caso di attacco dalla Russia, mettersi nelle mani dell'Europa.

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