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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.03.2022 Cari amici russi, è ora che il Paese si ribelli al tiranno
Analisi di Jonathan Littell

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 marzo 2022
Pagina: 18
Autore: Jonathan Littell
Titolo: «Jonathan Littell: 'Cari amici russi, è ora che il Paese si ribelli al tiranno'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di ieri, 27/03/2022, a pag. 18, l'articolo di Jonathan Littell dal titolo "Jonathan Littell: 'Cari amici russi, è ora che il Paese si ribelli al tiranno' ".

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Jonathan Littell

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Vladimir Putin

Cari amici russi: amici di lunga data, alcuni di voi, altri più recenti, e altri ancora che non conosco personalmente, amici nella mente e nello spirito. Anche voi state attraversando un momento drammatico. Come la vita di ogni singolo ucraino, anche la vostra, che mai è stata semplice, è oggi radicalmente sconvolta. Molti di voi sono in fuga dalla Russia. E molti di voi mi hanno confessato di provare sensi di colpa e di vergogna per quello che il vostro Paese sta facendo al suo vicino. Per quello che sta facendo all’Ucraina in nome vostro. Alcuni di voi, gli attivisti, sono avvezzi a sentire sulla nuca la clava di ferro del potere, e già si preparano alla mazzata finale. Ho scritto ad Aleksandr Cherkasov, un vecchio amico di Memorial. «Te lo farò sapere più tardi», mi ha risposto Sasha con il suo tipico piglio laconico. «In questo momento, dopo la perquisizione, stiamo annaspando tra le macerie, computer distrutti, casseforti sventrate». Altri ancora, i protagonisti del mondo culturale, artisti, critici, scrittori, siete rimasti pietrificati davanti al collasso repentino del vostro fragile mondo. Vergogna e colpevolezza Nessuno di voi è schierato con Putin e il suo regime di ladri e fascisti, è vero, per la maggior parte li odiate. Ma siamo sinceri: tranne che per pochissimi — quelli che lavorano per Memorial, Novaya Gazeta, Ekho Moskvy, Meduza, l’organizzazione di Navalny e uno sparuto manipolo di attivisti — quanti di voi hanno mai alzato un dito per opporsi al regime? Salvo forse sfilare di tanto in tanto per le strade, quando si organizzava qualche manifestazione? Potrebbe darsi, allora, che i vostri sensi di vergogna e colpevolezza non siano altro che un concetto astratto? O forse nascono dalla vostra stessa apatia, dalla vostra lunga indifferenza a quanto accade attorno a voi, e dalla vostra complicità passiva, che oggi avvertite come una fitta dolorosa nel corpo e nell’anima? I vostri errori Non è sempre stato così. C’è stato un periodo, negli anni Novanta, quando avete goduto di una certa libertà e di uno spiraglio di democrazia: caotica, certo, talvolta sanguinaria, ma vera. E invece il 1991 si è rivelato la fotocopia del 1917. Può fare vittime a milioni, il tiranno, eppure, per qualche motivo, per voi resta sempre la scelta più sicura. Come si spiega? È vero, ci sono stati molti errori. Anziché assaltare gli archivi del Kgb per far emergere i suoi segreti alla luce del giorno, come i tedeschi dell’Est hanno fatto con la Stasi, vi siete distratti davanti alla statua di Dzerzinskij e avete permesso al Kgb di restarsene acquattato nell’ombra per riorganizzarsi, ricostituirsi e riprendersi la Russia. Quando vi è stata presentata la scelta tra il saccheggio del Paese e il ritorno dei comunisti, non avete pensato di battervi per imporre una terza opzione, ma avete chinato il capo davanti alle razzie. Nel 1998 la vostra economia era al collasso, e quell’anno segnò la fine delle manifestazioni di piazza per reclamare giustizia sociale e per condannare la guerra in Cecenia. Assicurare la vostra sopravvivenza: da allora non avete pensato ad altro. I massacri in Cecenia Poi è arrivato Putin. Giovane, spavaldo, aggressivo, ha giurato di annientare i terroristi e di rilanciare l’economia del Paese. In pochi gli avete creduto, ma avete comunque votato per lui, o vi siete astenuti. A quel punto Putin ha deciso di radere al suolo la Cecenia per la seconda volta, e quasi tutti voi avete chiuso gli occhi e voltato le spalle. Ricordo benissimo quegli anni. Ero in Cecenia, tra i volontari che si prodigavano per recare aiuto alle innumerevoli vittime dell’«operazione anti terrorismo» voluta da Putin, tra le macerie di Groznyi, Katyr-Yurt, Itum-Kale e altre città. Di tanto in tanto tornavo a Mosca per riprender fiato, e ritrovavo gli amici alle feste. Si beveva, si ballava, e talvolta provavo a raccontarvi qualcosa degli orrori che avevo visto laggiù, i civili torturati, i bambini massacrati, i soldati che restituivano alle famiglie i corpi dei caduti in cambio di soldi, e voi mi dicevate: «Jonathan, siamo stanchi di sentir parlare della tua Cecenia». Ricordo ancora distintamente quelle parole. E allora andavo su tutte le furie: «Ragazzi, non è la mia Cecenia, è la vostra Cecenia. È il vostro maledetto Paese, non il mio. Io sono solo uno stupido forestiero qui tra voi. È il vostro governo che bombarda le vostre città e stermina i vostri concittadini». Ma niente, era troppo complicato, troppo doloroso, non volevate sentirne parlare. Soldi e buoni impieghi Poi è arrivato il boom economico del primo decennio del nuovo millennio, alimentato dal rialzo dei prezzi del greggio e dalla strategia di Putin, che lasciò fluire verso la classe media parte delle risorse sottratte al Paese. Molti di voi hanno fatto soldi, alcuni di voi molti soldi, e persino i meno abbienti si sono assicurati appartamenti nuovi e impieghi ben retribuiti. I prezzi salivano, ma perché allarmarsi, Mosca era diventata la capitale dalle mille luci sfolgoranti, chic, movimentata e divertente. Yuri Shchekochikhin, Anna Politkovskaya, Aleksandr Litvinenko, e altri ancora: molti di voi hanno espresso sgomento e orrore, ma tutto è finito lì. Quando Putin, dopo due mandati, ha passato la presidenza al primo ministro per prenderne il posto, ve ne siete accorti appena, a quanto mi risulta. Quando la Russia, pochi mesi dopo l’inizio della presidenza di Medvedev, ha invaso la Georgia, gran parte di voi ha preferito ignorare il conflitto o ha tenuto la bocca chiusa. Negli anni successivi, quanti di voi ho incontrato sulle piste da sci di Gudauri, a spasso sui sentieri attorno a Kazbegi, oppure a godersi i caffè e i bagni turchi a Tbilisi, mentre il vostro esercito stringeva nella sua morsa una parte del Paese? Non che noi, qui in Occidente, abbiamo mosso un dito, devo ammetterlo. Qualche lamentela, qualche sanzione. Ma che cos’erano mai quelle banali violazioni della legge internazionale davanti alla fame globale di petrolio e gas, e alla possibilità di accedere al mercato interno della Russia? Arresti a migliaia Alla fine del 2011, però, voi, i miei amici russi, vi siete finalmente svegliati. Quando Putin ancora una volta si è scambiato le poltrone con Medvedev, sistemandosi nuovamente sul seggio presidenziale, molti di voi hanno visto in quella mossa l’ennesima mascalzonata, e siete scesi in piazza a protestare. Navalny si è fatto conoscere nel Paese e per sei mesi avete affollato le strade, facendo tremare il regime, scuotendolo dalla base. Ma la reazione non si è fatta attendere. Immediatamente, il regime ha organizzato le sue contromanifestazioni, per poi passare a leggi via via più repressive che hanno affollato le carceri. Siete stati arrestati a migliaia. Alcuni si sono visti infliggere lunghe pene detentive. Ma il resto ha rinunciato ed è tornato a casa. «Che altro avremmo potuto fare?» è la frase che ho sentito ripetere tante volte, e che ripetete ancora adesso. «Lo Stato è fortissimo, noi siamo deboli». L’esempio di piazza Maidan Ebbene, guardate gli ucraini. Guardate quello che hanno saputo fare loro, due anni dopo di voi. Hanno occupato piazza Maidan, infuriati contro un presidente filorusso che aveva tradito la promessa di avvicinarli all’Europa, e non se ne sono più andati. Hanno eretto una tendopoli, interamente autogestita, pronti a tutto per difenderla. Quando è arrivata la polizia per disperderli, si sono opposti con la forza, imbracciando bastoni e spranghe di ferro e lanciando bombe molotov. Alla fine, la polizia ha aperto il fuoco. Ma invece di scappare, la folla di Maidan è passata all’attacco. Ci sono state molte vittime, ma gli ucraini hanno vinto. Yanukovich è stato costretto alla fuga e il popolo ha riconquistato la democrazia, il diritto di scegliersi i governanti e di mandarli a casa se non mantengono gli impegni presi. La Crimea invasa A Putin, la storia di piazza Maidan non è mai andata giù. Un pessimo esempio. Allora ha deciso di occupare la Crimea, approfittando del momento di incertezza generale. Alcuni di voi hanno protestato, ma invano. Tanti, invece, erano entusiasti. Il 91 per cento della popolazione russa si è dichiarato favorevole all’annessione, se non ricordo male. «Fantastico! La Crimea è nostra!», esultavano i vostri connazionali, improvvisamente ebbri di gloria imperiale. Non parlo delle popolazioni più povere, negli angoli più sperduti e dimenticati del Paese, dove alla politica altro non si chiede che vodka e patate, ma di alcuni di voi, i miei amici, e per di più gli amici personali. Parlo di scrittori, editori, intellettuali. Lo stesso si è ripetuto con il Donbass. Novorossia. La Nuova Russia. Contatti interrotti Di colpo, ecco emergere un nuovo mito, e alcuni di voi, che fino ad allora avevano disprezzato Putin e la sua claque, si sono ricreduti e hanno cominciato a venerarlo. Non so ancora perché, ma in brevissimo tempo i nostri contatti si sono interrotti. In quanto agli altri, quelli di voi che mi sono rimasti fedeli, avete preferito tacere. «Non mi interesso di politica», dicevate. Per poi passare a discutere di letteratura, film, cataloghi Ikea, o andare a godervi i nuovissimi parchi che il sindaco di Mosca ha regalato ai suoi concittadini dal 2012 in poi, con i loro divani accoglienti e il wi-fi gratuito e i caffè alla moda, frequentati dagli anticonformisti. Sì, il Donbass era lontano, mentre Mosca era in ascesa, sempre più gettonata. La Siria e i terroristi La Siria, ve ne siete accorti di sfuggita. Ad ogni modo, si trattava di terroristi, o no? L’Isis, o come diavolo si chiama. Persino il mio editore di Mosca, che ha pubblicato il mio libro sulla Siria, lo ha poi criticato in un’intervista, sostenendo che io non avevo capito nulla di quello che stava accadendo laggiù. Gli unici russi sbarcati in Siria sono stati i militari, e costoro, nel 2015, hanno cominciato a bombardare migliaia di civili in una sorta di addestramento per la guerra successiva, quella vera. Putin si accanirà su di voi Molti di voi, ne sono certo, conoscono le celebri parole del pastore protestante tedesco Martin Niemöller: «Per primi, rastrellarono i socialisti, e io non dissi niente perché non ero socialista. Poi fermarono i sindacalisti, e io non dissi niente perché non ero sindacalista. Poi catturarono gli ebrei, e io non dissi niente, perché non ero ebreo. Poi vennero a prelevarmi, e non era rimasto nessuno a protestare per me». Quanti di voi hanno protestato per i ceceni, per i siriani o per gli ucraini? Alcuni di voi l’hanno fatto. Ma tanti, troppi, hanno taciuto. Alcuni, è vero, stanno protestando in questo momento, come Dmitry Glukhovsky, Mikhail Shishkin, Mikhail Zygar, Maksim Osipov e altri ancora. Molti fanno sentire la loro voce dall’estero, pochissimi dall’interno del Paese, come Marina Ovsyannikova, che non ha esitato davanti al rischio di andare a raggiungere Navalny nel Gulag. Riguardo agli altri, voi conoscete a fondo il vostro Paese, meglio di chiunque straniero. Pertanto sono convinto che siete ben consapevoli di questo: quando Putin avrà finito con gli ucraini — e peggio ancora, se non riuscirà a massacrarli tutti, come pare assai probabile — si accanirà su di voi. Che cosa vi aspetta Mi rivolgo a voi, amici miei: a coloro che hanno avuto il coraggio di scendere in strada a protestare, spesso individualmente, e hanno ricevuto per adesso solo pene leggere, sappiate che ben presto ne riceverete di ben più pesanti. Alle migliaia di cittadini russi che hanno firmato petizioni, o espresso la propria condanna del regime sulle reti social (fosse anche solo con un quadratino nero su Instagram), o parlato in privato con i colleghi di lavoro: già sapete come andrà a finire. I giorni in cui eravate privati della libertà per dieci anni, o anche venticinque, per una barzelletta, non sono tramontati nel lontano passato, anzi, si profilano ancor più minacciosi nel futuro immediato. E allora chi potrà protestare per voi, se non resterà più nessuno? Se si è scaltri e coraggiosi Gli ucraini, oggi ancor più che nel 2014, incarnano un esempio terrificante per il regime di Putin: stanno dimostrando che è possibile opporsi a lui con le armi in pugno. Se si è scaltri, motivati e coraggiosi, Putin può essere fermato, malgrado la sua schiacciante superiorità di mezzi e uomini. Si direbbe che quasi nessuno in tutta la Russia sia al corrente di quanto sta accadendo, pare anzi che nessuno sappia che si sta combattendo una vera guerra ai vostri confini. Ma voi, amici miei, voi sapete benissimo di che si tratta realmente. Voi leggete i notiziari esteri su internet, voi tutti avete amici o parenti. E anche Putin sa che voi sapete. Fate attenzione. Scappate o sarete schiacciati Sappiamo da che parte soffia il vento. I giorni della bella vita in cambio del vostro silenzio sono finiti. Le vostre elezioni sono una farsa, le vostre leggi, a parte quelle repressive, non valgono la carta sulla quale sono scritte, le vostre ultime fonti di informazione indipendenti sono sparite, la vostra economia sta precipitando nel baratro più in fretta del tempo che mi occorre per scrivere queste righe, non potete più utilizzare le vostre carte di credito per comprare un biglietto aereo per fuggire dal Paese, ammesso che ci siano ancora voli consentiti. Oggi Putin non si accontenta più del vostro silenzio, ma reclama da voi anche consenso e complicità. E se non volete sottomettervi, cercate scampo nella fuga, in qualunque modo possibile, o resterete schiacciati. Altre possibilità? Dubito che ve ne siano. Una possibilità c’è Eppure ne resta ancora una. Quella di rovesciare finalmente questo regime. È probabile che ci vorrà meno di quello che immaginate, nella situazione attuale. Riflettete. La scintilla non verrà da voi. Con la catastrofe economica che sta per travolgere la Russia, l’innesco verrà dalle province, dalle città minori: quando i prezzi schizzano verso l’alto e gli stipendi non vengono più corrisposti, tutti coloro che hanno votato per Putin in questi lunghi anni, perché prometteva pane e pace, scenderanno nelle strade. Putin lo sa, e teme gli intellettuali e il ceto medio di Mosca e di San Pietroburgo: vale a dire voi, cari amici. Ma se ogni città manifesta per proprio conto, come già accaduto a varie riprese, non gli sarà difficile spegnere le ribellioni con la forza, una ad una. L’oppurtunità internet Occorrerà coordinare le mosse, organizzarsi. Le folle dovranno trasformarsi in masse. Avete tra le mani questo strumento magico e straordinario chiamato Internet, che il regime può tentare di bloccare, ma che continuerà a funzionare, e che si potrà far funzionare in qualsiasi circostanza. L’organizzazione di Navalny è stata smantellata, ma altre potranno vedere la luce, più informali, meno centralizzate. Siete numerosissimi, siete milioni di cittadini. La polizia di Mosca può tener testa a trentamila persone nelle strade, forse a centomila. Ma se si trova davanti trecentomila manifestanti, sarà sopraffatta. Dovrà far intervenire l’esercito, ma questo esercito sarà disposto a combattere per Putin, alla resa dei conti? Dopo quello che è stato costretto a fare in Ucraina, dopo il trattamento che gli è stato riservato? Un modo per farcela I rischi saranno immensi, ovviamente. In Siria, e oggi in Ucraina, Putin vuole mostrarvi con l’esempio quello che accade a un popolo che osa sfidare il suo khozein, e osa non solo chiedere la libertà, ma lotta per conquistarsela. Se non farete nulla, anche in quel caso le perdite saranno dolorose. E lo sapete. Vostro figlio azzarderà una battuta in una chat dei video giochi, e sarà arrestato. Vostra figlia esprimerà la sua indignazione su Internet, e sarà arrestata. Un vostro caro amico farà uno sbaglio e morirà in una squallida cella sotto i bastoni della polizia. È quanto sta accadendo ormai da anni, e continuerà ad accadere, e sempre più spesso, su scala sempre più vasta. Non avete altra scelta. Se non vi muovete, sapete già come andrà a finire. Adesso è il momento della vostra piazza Maidan. Siate audaci e scaltri, pianificate la vostra strategia, e trovate un modo per farcela.

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