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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.02.2022 Ucraina: russi sorpresi dalla resistenza
Cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 febbraio 2022
Pagina: 8
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Kharkiv resiste e spiazza i russi. Tra le vittime anche 14 bambini»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/02/2022, a pag. 8, con il titolo "Kharkiv resiste e spiazza i russi. Tra le vittime anche 14 bambini", il commento di Francesco Battistini.

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Mangiare il mangiabile. Cucinare l'impossibile. All'ora del pentolone fumante, il po' di cibo che resta ancora in frigo, la brodaglia col pane che può farsi solo uno che non ha mai acceso un fornello, il professor Konstantyn Maksim non ha più parole: «S'è rotto il frigo e tante cose comprate nei giorni scorsi andranno a male...». Il prof vive solo da un mese in un appartamentino dietro Maidan. La moglie coi bambini se n'è andata in Polonia. Lui ha 38 anni ed è riservista, non ancora richiamato, insegna letteratura all'università, passa questo lockdown di guerra cercando di non intossicarsi troppo con le catastrofi via Cnn, leggendo buoni libri e mangiando cibo pessimo: «I pessimisti hanno ragione, ma io preferisco ragionare con chi ha torto...». Il coprifuoco totale di 4o ore, che tre milioni di kievini si sono sorbiti fino a questo lunedì mattina, è nulla. E dalle notizie non puoi scampare, ti s'infilano in casa come un Grad russo: è sera e cominciano le esplosioni, quando il sindaco Vitally Klitschko, l'ottimista numero uno di Kiev, va in tv e dice «la città ormai è circondata ed è impossibile evacuare i civili». Noi non possiamo più uscire. Né dalle case, né dalle città. Loro non riescono ancora a entrare. Né nelle strade, né nel destino dell'Ucraina. Giorno quinto dal Ventiquattro Febbraio che ci ha travolti come un Undici Settembre: l'invincibile e supersonica armata dello Zar è l'esercito persiano alle Termopili, bloccato con le fonde dai volonterosi spartani di Kiev, trecento o poco più. Pantano quasi afghano. «Non ci sono russi in città», dicono i governatori-sindaci di Kiev, di Mariupol, di Odessa, di Kharkiv, e per l'Ucraina è la più inaspettata delle sorprese. «Sì, abbiamo morti e ferito", ammette lo stato maggiore russo, e per il Cremlino è il peggior bollettino possibile. Putin loda pubblicamente gli «eroi» dell'offensiva, ma raccontano sia furente: ieri all'alba i suoi tank erano finalmente entrati a Kharkiv
— “da prima città che i russi conquisteranno», aveva lanciato l'allarme Zelensky, un mese fa — e invece i «russi che ci attenderanno coi fiori» (come disse un generale di Mosca agl'inizi della guerra in Donbass) han preparato il funerale. Resistenza popolare, kalashnikov da partigiani, spari sotto casa. «Il controllo di Kharkiv è nostro!», proclama in poche ore Oleg Sinegubov, il governatore: «Il nemico russo è demoralizzato, i loro soldati sono scollegati dai comandi centrali, non hanno più cibo né acqua, né carburante!». Non sarà tutto questo disastro, ma il silenzio di Mosca inquieta: abbiamo perdite, riconosce il generale Igor Konashenkov, «anche se meno delle loro». E tra le 352 vittime civili dall'inizio dell'invasione si contano anche 14 bambini. La battaglia per Kharkiv, conquista fallita, ha un impatto psicologico pesante: tutte le informazioni dei servizi putiniani la davano mal difesa, per nulla pronta, con una linea di trincee da guerra novecentesca e facilmente scavalcabile. Che cosa sta succedendo? Fonti militari europee avvertivano che le truppe ammassate al confine da Putin, dietro i grandi numeri non avessero i supporti di comunicazione, sanità, vettovagliamento sufficienti a reggere un'offensiva del genere, e così a lungo. Quei dubbi si ripropongono. E anche se Putin non ha ancora calato l'asso — l'aviazione —, la campagna via terra sta riempiendo troppi body-bag. Gli ucraini non sono afghani o arabi, non è facile ammazzare russofoni come te, spesso tuoi lontani parenti, e su questo punta Kiev: «Pensa al motivo per cui sei qui— gira sui cellulari dei soldati di Mosca un video d'un generale ucraino, Yevhen Moisiuk —, nessuno qui ti vuole: sei solo uno strumento nelle mani del tuo governo. Deponi le armi e alza le mani. Questo sarà il tuo biglietto di ritorno...». Ieri mattina son suonate le campane, a Kiev e a Leopoli e nelle fortezze assediate. Si sentivano dalla finestra del nostro lockdown di guerra. Ma non chiamavano alla messa della domenica: davano man forte alle sirene, l'allarme missili. I russi stanno provando a prendere le città per sfinimento: attaccano le centrali elettriche della capitale e di Kherkov, piazzano già i cecchini, s'appellano (loro) alle leggi di guerra e denunciano che gli ucraini stanno usando bombe al fosforo. «State attenti», dice il sindaco Klitschko: «I nostri militari continuano a individuare i sabotatori», e qualche sparatoria notturna si sente nei quartieri delle ambasciate. Mosca ha chiamato i ceceni? A Kiev arrivano i loro nemici giurati, i separatisti antirussi dell'Ichkeria, tagliagole uguali. Zelensky ha dato pure il permesso d'aprire le prigioni e far uscire i peggiori, purché «pentiti» e «pronti a morire per la patria»: il feroce Sergei Torbin, che ammazzò una pacifista, o Dmytro Balabukha che sparò a un civile che aspettava il bus. Tutto è perdonato, tutti a combattere.

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