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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.02.2022 Da Navalny alla Navaja Gazeta: quei russi che condannano l'aggressione di Putin
Cronaca di Marco Imarisio, intervento di Dmitrij Muratov

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 febbraio 2022
Pagina: 20
Autore: Marco Imarisio - Dmitrij Muratov
Titolo: «'Ciao sono Navalny'. La protesta in codice - 'Per noi russi è una catastrofe. La guerra va fermata'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/02/2022, a pag.20 con il titolo "'Ciao sono Navalny'. La protesta in codice" il commento di Marco Imarisio; a pag. 22, l'intervento di Dmitrij Muratov dal titolo 'Per noi russi è una catastrofe. La guerra va fermata'.

Ecco gli articoli:

Marco Imarisio: "'Ciao sono Navalny'. La protesta in codice"

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Marco Imarisio

“Privet, eto Navalnyi”. La protesta un e diventata un sussurro che i ragazzi si passano con sorrisi complici da un tavolo all'altro. Piazza Pushkin è come fosse chiusa da una fila di blindati che comincia già sulla via Tverskaya e da decine di poliziotti in tenuta anti sommossa che si aggirano tra aiuole, fontane e uscita della metropolitana chiedendo «cosa ci fate qui?» a ogni gruppo che superi le due unità. Ai i.800 arresti di giovedì in tutta la Russia, 70o solo qui, sono seguite le condanne immediate degli attivisti più noti, nella capitale e a San Pietroburgo. Eppure, sono tornati. E lo faranno anche nel fine settimana, domenica sarebbe anche il settimo anniversario della morte del deputato liberale Boris Nemtsov, critico feroce di Vladimir Putin, assassinato poco distante da qui, sul ponte più vicino al Cremlino. Hanno scelto come punto di ritrovo il McDonald's di fronte al parco. Il primo mai aperto in Russia. All'inaugurazione, 31 gennaio ego, in piena Perestrojka, oltre trentamila moscoviti, formarono un serpentone lungo cinque chilometri per mangiare il primo prodotto occidentale della loro vita, trasformando quel locale in un simbolo. Ma per loro è solo un porto franco, pago, mi siedo, sono un cliente e non un agente sovversivo. Ai tempi di Gorbaciov, loro non erano ancora nati. Sono tutti giovani, studenti dell'università. «Ogni tanto usciamo, e stiamo fermi, senza dire niente, senza fare nulla», spiega una laureanda in Lettere, che per ragioni evidenti acconsente a farsi chiamare Olga, un nome come un altro. «Loro ci vedono, e sanno chi siamo, e cosa pensiamo. Non è una cosa enorme, ma oggi è tutto quel che possiamo fare». Qualcuno ha provato a cambiare luogo, camminando fi no all'ambasciata ucraina. E andata male. Un'altra sessantina di arresti. Quando rientrano, si passano quelle poche parole, declinate in sigla, «Ciao sono Navalny», a rimarcare una comune appartenenza, il legame con l'attivista più temuto dal governo russo, che ancora pochi giorni fa dal tribunale dove viene processato ha cominciato cosa il suo breve messaggio. Alcuni aprono i giacconi per mostrare i coperchi in cartone delle scatole di scarpe trasformati in piccoli cartelloni, quelli che giovedì sera sono costati l'arresto ai loro compagni. Si intravede la scritta Net vojne, no alla guerra. Nello scarto tra la determinazione dei loro piccoli gesti e le conseguenze che potrebbero affrontare, arresto, maltrattamenti, in qualche caso la condanna, senz'altro una schedatura che negherebbe loro un futuro decente, c'è il senso della loro missione, dare voce a un dissenso che non può esprimersi in alcun modo. Due anni fa, quando ancora si poteva alzare la voce, li avevano chiamati «Generazione N», come Navalny, che hanno conosciuto e seguito via Instagram, del quale ogni tanto, nelle vie laterali, chiedono in coro la libertà, dopo aver fatto bene attenzione che non ci sia qualche divisa nei dintorni. Gli adulti che passano accanto esibiscono indifferenza e qualche sguardo di rimprovero. «Non posso credere che la gente si beva questa propaganda sulla giustizia da riportare in Ucraina» dice sconsolato uno studente. «Come se ti dicessero che la cosa migliore per grattarti l'orecchio sinistro e avvolgerti,la testa con il braccio destro». E la Russia di internet opposta a quella della televisione, generazioni diverse, mondi inconciliabili e sbilanciati, vince il secondo a mani basse. Non è un caso che ieri il governo abbia annunciato limitazioni all'uso di Facebook. Nick Clegg, l'ex leader lib-dem inglese diventato presidente per gli affari globali di Meta, la società di Mark Zuckerberg, ha spiegato le ragioni di questa decisione. «Ieri le autorità russe ci hanno ordinato di fermare il fact-checking indipendente sul contenuto postato su Facebook di quattro organizzazioni media controllate dallo Stato. Abbiamo rifiutato. Il risultato è stato l'annuncio della restrizione del servizio». Da una parte, ragazzi che tra loro si salutano chiamandosi «bro», fratello in inglese, che sono cresciuti sentendosi cittadini del mondo. Dall'altra chi sogna il ritorno agli Zar. Anche per questo, la metà dei giovani sotto i 25 anni sogna di andare via, e più scende l'età più sale la percentuale di quelli che vorrebbero emigrare, sotto i 21 anni sale fino al 6o per cento, secondo le poche società di sondaggi indipendenti. All'uscita del McDonald's, uno studente di cinema fa sfoggio di erudizione consigliando agli amici di recuperare il vecchio documentario del grande regista Mikhail Romm sulla nascita del nazismo. «Mi sento offeso e impotente» aggiunge. Giovedì è sfuggito per un soffio all'arresto, inseguito da due poliziotti. Adesso è di nuovo qui. Sono gocce in un mare vasto, e sorvegliato in modo ossessivo. Ma anche questa è Russia.

Dmitrij Muratov: 'Per noi russi è una catastrofe. La guerra va fermata'

RUSSIA Dmitrij Muratov, heir of Sakharov, awarded Nobel for Peace
Dmitrij Muratov

Il comitato editoriale della «Navaja Gazeta» riconosce che la guerra è una follia. La redazione della «Navaja» non riconosce l'Ucraina come nemico e l'ucraino come lingua del nemico. Ed è proprio per questo che pubblichiamo in due lingue — russo e ucraino — una parte di testi rilevanti nel nostro numero cartaceo del venerdì. Uno di questi materiali è l'articolo di Dmitrij Muratov

La guerra è un crimine. L'Ucraina non è il nemico. La Russia pagherà un prezzo enorme per la scelta fatta da Putin. Mentre le bombe cadevano sull'Ucraina nelle prime ore del 24 febbraio, nella metropolitana di Mosca la gente andava al lavoro particolarmente cupa in volto. Non esultava per la guerra improvvisa.

(...) La guerra con l'Ucraina è impensabile. II Paese uscirà con perdite enormi dalla realtà surreale che ci ha offerto Putin. L'odio reciproco avvelenerà le relazioni della Russia con tutti i suoi vicini, dividerà le famiglie, distruggerà le amicizie e la porterà sull'orlo della guerra civile. II sangue dei civili inermi finirà sulle mani dell'aggressore. I cittadini di un Paese sono sempre responsabili delle azioni del loro governo, perché questo Paese è della nostra gente, non il loro, dei funzionari. Ma come è stato possibile fare la guerra? Non ne abbiamo ancora una chiara comprensione. Condivido un'ipotesi: gli occupanti del Cremlino si sono nutriti della loro stessa propaganda per troppo tempo. Del culto della violenza, sbattendo tamburi di latta e lanciando slogan ripetitivi, ostentando una diplomazia immatura.

(...) A differenza delle precedenti campagne ibride, nessuno ha nascosto i preparativi per la guerra. Già a dicembre e gennaio i media e i governi occidentali fornivano precisi scenari di attacco. Gli scettici consideravano tali rapporti allarmistici — anche noi abbiamo fatto del nostro meglio per evitare il panico. Alla fine, perla guerra, non era necessaria alcuna giustificazione.

(...) Secondo i sociologi del Centro di ricerca statale sull'opinione pubblica russa (Vciom), il 73% dei cittadini russi ha sostenuto il riconoscimento dell'indipendenza del «Ldpr» (la Repubblica popolare di Doneck e Lugansk, ndr), mentre le stime dei ricercatori indipendenti indicano che queste cifre sono notevolmente più modeste. Ma nessuno ha fatto un sondaggio per sapere se i lussi vogliono la guerra. E mi rifiuto di credere che i russi potino accogliere in massai bombardamenti su Kiev. Dopo tutto, anche se crediamo al Vciom, circa 39 milioni di cittadini russi non volevano alcuna annessione. Mentre veniva presa la «decisione fatidica» questi cittadini non erano rappresentati da un solo deputato della Duma o da un solo funzionario. Nessuno di loro ha osato opporsi al presidente Putin o ha chiesto se vogliamo vivere in un Paese in guerra. Questo deve essere preso sul serio: di fatto, non siamo considerati cittadini nel nostro stesso Paese, né siamo persone che hanno diritto alla normale dignità umana. Bancarotta economica, isolamento del Paese in stile iraniano e colpa morale sono inclusi. Se la propaganda ha creato una guerra, i fatti potranno opporsi ad essa. Noi giornalisti non siamo soldati, siamo disarmati, ma lavoreremo sul campo affinché la società ricordi che la guerra è terribile.

(...) non nasconderemo nulla. Probabilmente ci toccherà fare il nostro lavoro sotto censura militare. Nessuno proteggerà l'Ucraina, solo gli ucraini potranno farlo. Nessuno potrà fermare la nostra catastrofe nazionale, tranne i russi che hanno detto «No alla guerra». La redazione della Novaja Gazeta è contro la guerra. Noi abbiamo fatto questa scelta. Fatela anche voi, per quanto difficile possa essere.

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