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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.08.2021 Afghanistan: il dramma dei bambini
Cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 agosto 2021
Pagina: 2
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Kabul, il dramma dei bambini»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2021, a pag.2, con il titolo "Kabul, il dramma dei bambini", il commento di Lorenzo Cremonesi.

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Lorenzo Cremonesi

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Le madri cercano di porgere i loro bambini ai soldati oltre il filo spinato

In genere i soldati fanno paura al bambini. Specie se parlano una lingua straniera, sono armati, corazzati col giubbotto antiproiettile, con l'elmetto e gli occhiali da sole. Ma non in questi giorni di terrore e caos a Kabul. Le immagini che arrivano dal perimetro dell'aeroporto parlano da sole. Bambine e bambini spinti dai genitori verso l'alto, sui muri di cemento grigio che contornano la zona dell'aeroporto, porgono le manine ai militari americani affacciati sugli spalti protetti dal filo spinato, le loro sono coperte con guanti rinforzati. C'è come un attimo di perplessità. Dal basso, le mamme urlano, piangono. A fianco uomini si accapigliano per cercare di raggiungere gli accessi alle piste. Dominano polvere, rumore di gente che scappa, echeggiano spari. Poi i soldati si sporgono e li prendono delicatamente per passarli dall'altra parte del muro a qualcuno che potrebbe essere un parente, un conoscente. Alle spalle, verso la città, c'è il passato che pare un buco nero. Dall'altra, guardando agli aerei cargo che atterrano e decollano in continuazione, si prospetta un futuro di speranza, comunque di fuga certa dall'incubo talebano. Accade in queste ore convulse e terribili. L'esodo biblico continua. I comandi Usa hanno fatto alzare in volo i jet su Kabul, confermano di avere sul terreno circa 5.500 soldati per tenere in sicurezza la pista e che sino a ieri sera i partiti erano oltre 8.000, in grande maggioranza cittadini americani e della coalizione internazionale. II presidente Biden sostiene che, se dopo il 31 agosto si troveranno ancora statunitensi nel Paese, le truppe resteranno all'aeroporto, superando il termine della loro presenza in Afghanistan, annunciato in precedenza. Tuttavia, non usciranno dall'area delle piste. Chiunque intende partire deve arrivare al perimetro dell'aeroporto coni suoi mezzi. Eppure, proprio qui sta la notizia grave delle ultime ore. I talebani non sembrano affatto mantenere le promesse. Tutt'altro. Avevano mandato le loro pattuglie avanzate alle porte del terminal sostenendo che avrebbero impedito alle bande di ladri di attaccare la gente e aiutare il processo delle partenze. In realtà, filtrano e schedano tutti quelli che arrivano, quindi brutalmente li cacciano indietro. L'ennesimo tradimento. Più volte hanno sparato, anche verso la folla. I morti confermati sono almeno dodici, ma potrebbero essere molti di più. «Gli stranieri, specie americani, mostrano il passaporto e partono. Però noi afghani siamo bloccati, fermati, rimandati a casa. Ci trattano con durezza estrema, offendono le donne, picchiano i bambini che scappano. Per loro noi siamo spie, collaborazionisti. Ora cl conoscono e verranno a prenderci più avanti nelle nostre case», ci raccontava ieri sera Fania, una studentessa 23enne che aveva ricevuto il diritto di passaggio dagli americani per raggiungere il promesso sposo in Louisiana. «Ho provato due volte. Adesso mi arrendo. Troppo pericoloso tentare ancora», dice piangendo.

La stessa storia ci viene raccontata da sette afghani che da anni collaboravano con il contingente italiano. «Per favore governo di Roma, esercito italiano: aiutateci! Ho lavorato 19 anni per i vostri soldati. Dovete salvarmi. I talebani dicono che ci perdonano, non ci puniranno per avere collaborato con voi. Ma è una menzogna. In verità, ci danno la caccia. Cercano me e i miei sette dipendenti della Ciano International. Ci tortureranno e uccideranno tutti», implora disperato il 45enne Akhtar Mohammad Stuman. Con lui abbiamo parlato per telefono ieri mattina mentre era nel suo nascondiglio tra le montagne che dominano la conca arsa di Kabul. «I talebani usano i posti di blocco per individuarci. E noi siamo in una situazione Catch 22, necessitiamo delle credenziali Usa per passare, ma se le mostriamo siamo spacciati», spiega. Non sa che fare. «Ho bisogno che gli italiani mi mandino subito l'invito per salire sui vostri aerei. Ma servirà solo a mia moglie e ai nostri quattro figli piccoli. Io dovrò arrivare in modo segreto», aggiunge. Akhtar è un veterano. Nel 2003 iniziò a lavorare per Ciano a Kabul. Una società ben nota a chiunque abbia frequentato le basi delle missioni italiane all'estero. Dal Libano, all'Iraq, all'Africa, all'ex Jugoslavia, Ciano si occupa di provvedere cibo per le mense, organizza i bar, le pizzerie, i circoli ricreativi. «Ho cominciato pulendo i pavimenti e sono diventato il manager per tutte le vostre basi in Afghanistan, da Kabul a Herat», dice. Un volto noto. A Kabul stava al bar del comando unificato. A Herat lo si vedeva spesso in pizzeria. Sorridente, collaborativo, sino a poco fa era un privilegiato, con un ottimo salario che gli ha permesso di acquistare una bella villa alla periferia della capitale e guidare un potente Land Rover.

Ma oggi è un braccato, un profugo che di notte donne sotto un albero vicino ad una pozza d'acqua e di giorno cerca di caricare il suo portatile tra le abitazioni sulla strada che porta verso il Pakistan. Ci manda anche tre video di appelli. Uno è ripreso dalle telecamere di casa. Si vede una pattuglia talebana che giunge di fronte alla porta. «Ieri sono venuti alla mia villa. Sono ricercato. Hanno chiesto a mia figlia più giovane dove fosso>. Da Mazar-i-Sharif manda un video anche il 33enne Mohammed Zarif, assunto da Ciano due anni fa, egualmente spaventato. Sua moglie aveva un negozio di vestiti da donna ispirati alla moda occidentale e una palestra femminile. «I talebani sono arrivati impugnando la pistola, hanno devastato il negozio e mi hanno costretta a chiudere subito la palestra», dice lei, in un video inviato alle autorità italiane. Ieri hanno preso la loro auto cercando di raggiungere Kabul. Non è possibile arrivare all'aeroporto. I nomi dei 7 lavoratori della Ciano con le loro famiglie (in tutto 43 persone con tanti bambini piccoli) sono anche pervenuti a Stefano Pontecorvo, il diplomatico italiano «prestato» alla Nato incaricato di regolare i visti per collaboratori afghani e garantire il loro esodo. Al suo fianco un nucleo di 25 militari italiani aiuta a compilare le liste e facilitare l'approccio agli aerei mandati da Roma. «Le autorità italiane sono informate, speriamo riescano a farli decollare», dice il manager italiano della Ciano, Roberto Bruni. Ma nulla è certo. Col trascorrere delle ore il controllo talebano si fa sempre più stretto. E le vie di fuga dall'aeroporto paiono meno accessibili.

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