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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2021 Albert Bourla, un ebreo greco a capo di Pfizer
Lo intervista Federico Fubini

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 aprile 2021
Pagina: 10
Autore: Federico Fubini
Titolo: «Il capo di Pfizer: possibile tornare alla normalità in autunno»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/04/2021, a pag. 10, con il titolo 'Il capo di Pfizer: possibile tornare alla normalità in autunno', l'intervista di Federico Fubini a Albert Bourla.

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Federico Fubini

Normalcy can come back in the autumn», Pfizer's CEO Albert Bourla says-  Corriere.it
Albert Bourla

Albert Bourla porta un grosso anello con una pietra nera alla mano sinistra, gesticola, sorride. «Non sono Zorba, ma sono un vero greco», dice il presidente e Ceo di Pfizer in un'intervista al Corriere e a altri tre quotidiani europei «Come parlo, come mi comporto: tutto questo credo abbia fatto una differenza. Dicevo le cose apertamente, rumorosamente, come fanno i greci. Mi ha aiutato». Albert Bourla incarna la più grande speranza esista al mondo di uscire dalla peggiore pandemia dell'ultimo secolo. Neanche lui se lo sarebbe aspettato quando nel 1993, piccolo veterinario di Salonicco, entrò in Pfizer per un lavoro sulla salute animale in Grecia. Già sembrava improbabile che fosse lì. I suoi genitori erano fra i pochissimi sopravvissuti all'occupazione nazista fra gli ebrei sefarditi di Salonicco. Sua madre fu portata via da un parente non ebreo, che corruppe un ufficiale minuti prima del plotone di esecuzione. Suo padre si trovava per caso fuori dal ghetto quando tutti furono presi e deportati. Oggi Bourla parla di continuo con Ugur Sahin, il medico di origine turca, musulmano, con il quale ha sviluppato il vaccino Covid di maggiore impatto. «E un messaggio meraviglioso. Siamo amici. ci siamo messi a lavorare Insieme perché dovevamo salvare il mondo».

Pfizer ha rifiutato i sussidi del governo Usa, ma è arrivata per prima all'autorizzazione dl un vaccino per Covid-19. Come avete ratto? «Ho cercato di proteggere i nostri scienziati dalla burocrazia che i sussidi portano con sé. Quando prendi soldi dal governo, ci sono obblighi ed è giusto. Io non lo volevo. Volevo che i nostri scienziati avessero risorse, dato che gli stavo chiedendo di rendere possibile l'impossibile. Non potevo chiedere loro di fare in nove mesi qualcosa che richiede dieci anni, se dovevano preoccuparsi dei soldi. Quindi, abbiamo messo a rischio due miliardi. Avessimo fallito, Pfizer avrebbe sofferto ma non saremmo affondati. Avremmo avuto problemi molto più grandi: non noi, Il mondo. Dunque non volevo neanche pensare al fallimento».

Quando torneremo alla normalità? «Noi stiamo programmando di aumentare drasticamente le forniture di vaccini in Europa nelle prossime settimane. In questo trimestre consegneremo oltre quattro volte in più rispetto al primo trimestre: 250 milioni di dosi, dopo averne date 62 fino a marzo. E siamo in discussioni per fare di più. Certo, c'è sempre la possibilità che qualcosa vada storto, come si vede dai problemi che stanno avendo altre aziende. Qualche questione può sempre sorgere, quando hai a che fare con la manifattura complicatissima di prodotti biologici. Ma sono ottimista, perché finora abbiamo prodotto tantissimo ed è andata bene quasi al 100%».

Ma un ritorno alla normalità in autunno è realistico? «Credo di sì. Lo vediamo da Israele. Certo Israele è piccolo, con movimenti in entrata e uscita limitati. Ma lì siamo riusciti a dimostrare al mondo che c'è speranza. Quello era il senso dello studio sui dati israeliani. Sapevamo che l'euforia dopo i primi vaccini sarebbe venuta meno quando, mese dopo mese, la gente vede che la vita non cambia molto. Ma in Israele si vedono i veri effetti: quando vaccini una parte importante della popolazione, diventa possibile tomare quasi alla vita di prima».

Ha un calendario mese per mese delle forniture all'Unione europea nel 2021? «Certo. Abbiamo una pianificazione rigorosa, ne parliamo con Bruxelles ogni settimana. Credo siano soddisfatti, come noi, perché finora siamo sempre stati in anticipo sulla tabella di marcia. Nel nostro stabilimento di Puurs, in Belgio, entro maggio programmiamo di raggiungere il ritmo di circa 100 milioni di dosi prodotte al mese. Con miglioramenti significativi a seguire nei prossimi mesi».

Come spiega che l'Europa sia indietro rispetto agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna? «Guardi, Yerba del vicino è sempre la più verde. Se vede i dati, non credo sia indietro rispetto a altri grandi Paesi complessi. Fornire le dosi per 447 milioni di persone e somministrarle è una missione colossale. Per parte nostra, funziona. Tutti i 27 Paesi stanno ricevendo quanto richiesto, spediamo in molti centri ogni settimana. Le dosi arrivano con una precisione del 99,9%. Il problema è che la Ue è grande e non tutti i fornitori sono riusciti a consegnare quanto promesso. Questo ha creato problemi. Ma ora stiamo tutti accelerando e credo che entro un paio di mesi non ci sarà più un problema di disponibilità. La luce in fondo al tunnel diventerà sempre più intensa».

Dopo AstraZeneca, Johnson e Johnson incontra problemi. Potete compensare voi? «Se ce ne danno l'opportunità, Pfizer e BioNTech sono pronte a fornire all'Europa centinaia di milioni di dosi in più nel 2022 e 2023, fatte nella Ue. La nostra rete può produrre più di tre miliardi di dosi l'anno prossimo».

La Commissione parla di un accordo con voi per 1,8 miliardi di dosi nel 2022 e 2023. «Stiamo negoziando con la Commissione e con molti altri Paesi nel mondo su contratti pluriannuali di fornitura di vaccini Covid nel 2022 e 2023. Vogliamo essere dei partner nel lungo periodo delle autorità sanitarie di tutto il mondo nella lotta a questa pandemia».

Lei parla con Bruxelles o anche coni leader nazionali? «Con entrambi. Parlo molto spesso con la Commissione al livello più alto e anche con Ursula von der Leyen, che ora ha il controllo della situazione. Non ho mal visto un leader che conosce tanti dettagli sul Covid come lei. Ma parlo anche con diversi capi di governo. Sono preoccupati per i cittadini, vogliono il meglio per i loro Paesi. In questo momento, la collaborazione di Pfizer con l'Europa è eccellente».

Cosa si sa della possibilità che i vaccinati siano portatori sani ma infettivi? «Nei nostri studi vediamo che l'effetto di prevenzione dei vaccini è molto alto. Ne abbiamo conferma nei dati da Israele, che ha usato solo il nostro vaccino su milioni di persone e riporta un'efficacia dei 9796: anche più alta che nel nostro studio. I dati israeliani danno anche un'efficacia al 90% negli asintomatici. È la prova che il nostro vaccino controlla anche le infezioni. In più all'85% il campione israeliano è di rasi della variante inglese, la più trasmissibile. Il vaccino l'ha fermata».

Cosa avete capito dell'efficacia del vostro prodotto su varianti aggressive come quella sudafricana? «Abbiamo uno studio su 46 mila individui. Nel campione 800 erano in Sudafrica, ma l'efficacia è stata al 100%. Per ora non vediamo indizi che le varianti conosciute producano perdita della protezione dal nostro vaccino».

Le somministrazioni sono sicure? «Continuiamo ad aggiornare i dati, con centinaia di milioni di somministrazioni. E non è riportato nessun problema serio».

Alcuni pensano che siamo di fronte a una pandemia permanente, con nuove varianti che sorgono prima che tutti siano vaccinati dalle vecchie. Cosa ne pensa? «Non lo sappiamo. E' una possibilità? Si. Credo che lo scenario più probabile sia quello in cui arriviamo a una situazione endemica. Ma penso pienamente controllabile. E non sono ottimista a causa del mio temperamento mediterraneo. Ho i dati. So che abbiamo uno degli strumenti più potenti mai stati creati in medicina, un vaccino con almeno il 95% di efficacia. Con l'RNA messaggero (mRNA, ndr), noi abbiamo una tecnologia che si può adeguare rapidamente se compare una variante. Con altre tecnologie lo si fa nel giro di mesi. Con mItNA è tutto altamente digitalizzato, per quello gli errori umani sono rari. E sapendo che possiamo riprendere rapidamente controllo delle varianti e abbiamo un'efficacia al 95%, credo questa diventerà come un'influenza. Ci vaccineremo e vivremo le nostre vite».

I progressi su mRNA segneranno una trasformazione anche per altre malattie? «Sì. Non è la prima volta che abbiamo una svolta tecnologica nella scienza che dimostra effetti drasticamente positivi. Ma questa è una di quelle. Credo che saremo in grado di usarla al meglio. Oggi la potenza dello mRNA è chiara. Può essere usata per altri vaccini e c'è ricerca crescente su altre malattie, in particolare i tumori e malattie con cause genetiche».

Cosa può dire' della vostra partnership con BioNTech e della ripartizione dei ricavi? «Quando abbiamo iniziato a discutere con loro, avevamo una cosa chiara in mente: non era una questione di business, ma di salvare il mondo. Sapevamo che dovevamo fare tutto il possibile per produrre un vaccino. Quando abbiamo iniziato a lavorare con loro, non avevamo un contratto. Ho parlato con Ugur Sahin e ci siamo detti: se aspettiamo di avere un accordo prima di lavorare, perderemo tempo. È bastata una stretta di mano — su Zoom — e siamo partiti. Dopo tre settimane abbiamo firmato una lettera di intenti di due o tre pagine, invece di un contratto di mille che queste partnership di solito comportano».

E l'accordo di ripartizione del ricavi? «È una partnership fifty fifty». Pfizer consegna le sue dosi a migliaia di centri in tutta la Ue. Questo spiega il prezzo elevato del vostro prodotto? «Non conosco i prezzi delle altre aziende, ma ci sono fughe di notizie che ho visto anch'io. E vedo alcuni prezzi più bassi, come altri più alti dei nostri. Noi abbiamo bisogno di alcuni principi di equità, per cui nei Paesi ad alto reddito c'è un prezzo che è il costo di un pasto. È un prezzo sotto a quelli di qualsiasi vaccino abitua le, anche se questo non solo salva vite, ma permette di riaprire l'economia. L'impatto benefico dei vaccini si misura in migliaia di miliardi e noi li diamo al costo di un pasto. Nei Paesi a medio reddito, stiamo dando il vaccino a quasi la metà di quel prezzo. E nei Paesi a basso reddito a prezzo di costo. Cerchiamo di fare in modo che tutti abbiano accesso, e non solo perché è giusto: in una pandemia sei protetto tanto quanto il tuo vicino. Se le persone in Africa non ricevono abbastanza vaccini, l'Africa diventa il bacino dove il virus continuerà a produrre gran parte delle varianti».

Dopo quanto tempo le prime dosi smettono di essere efficaci? «Abbiamo i primi risultati a sei mesi dalla vaccinazione: la protezione è ancora alta. Non come nei primi mesi, ma molto al di sopra dell'80%. È una buona notizia. Sembra che fare un richiamo sarà necessario, ma vanno visti i dati e ora li abbiamo solo sui sei mesti".

Teme che un giorno il vaccino diventi un bene pubblico globale senza alcun brevetto? «Non sono preoccupato. Il vaccino diventerà un bene pubblico globale perché avremo pro dotto abbastanza dosi. C'è sempre un po' di retorica. Ma non è vero che i diritti di proprietà intellettuale ostacolano la produzione. L'intralcio è che ci siamo mossi alla velocità della luce. Non c'era nulla, abbiamo dovuto iniziare da zero, accettando il rischio di fallimento. È stato un miracolo».

Lei viene da Salonicco ed è ebreo. Oggi è a capo di una multinazionale e sta collaborando con scienziati turchi musulmani in Germania. Che lezione ne trae? «È un messaggio meraviglioso al mondo».

Che cosa? «Che un ebreo greco e dei turchi musulmani, immigrati in Paesi diversi, collaborino senza nemmeno un contratto, solo per salvare il mondo. Il fatto di essere un immigrato penso sia la caratteristica più importante. In Pfizer con i miei figli abbiamo vissuto in 8 città diverse di 5 Paesi. Questo ci ha dato il regalo più bello: essere esposto a culture diverse».

Lei guida una grande azienda Usa. In Europa la sua carriera sarebbe stata possibile? «È la domanda più difficile. Sono stato eletto amministratore delegato da un consiglio di amministrazione che conosceva le mie umili origini da un piccolo Paese. Sapevano che parlo con il mio accento pesante e che in inglese sparo qua e là parole sbagliate. Eppure mi hanno scelto, in una delle più grandi corporation… Quando me l'hanno detto, sapete cosa ho risposto? "Only in America"».

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