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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.04.2021 Erdogan? E' peggio di un dittatore
Cronaca di Monica Ricci Sargentini

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 aprile 2021
Pagina: 15
Autore: Monica Ricci Sargentini
Titolo: «In cella per uno slogan. La vita con la paura di donne, curdi e gay»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/04/2021, a pag.15, con il titolo "In cella per uno slogan. La vita con la paura di donne, curdi e gay" il commento di Monica Ricci Sargentini.

Bene ha fatto Mario Draghi a definire "dittatore" Erdogan, che è perfino peggio di un dittatore perché ha trasformato la Turchia in un Paese islamista in cui cade il rispetto per ogni forma di diritto civile.

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Monica Ricci Sargentini

Draghi attacca Erdogan:
Mario Draghi, Recep T. Erdogan


Havin Ozean ha 20 anni e tanta paura. E stato arrestato quattro volte negli ultimi tre mesi, l'ultima dieci giorni fa, e ha ricevuto minacce di morte sui social da quando, lo scorso gennaio, ha preso parte alle manifestazioni contro la nomina del rettore dell'Università del Bosforo ad Istanbul, scelto dal presidente Erdogan. Ci aspetta in un angolo di Istiklal Caddesi, il famoso viale che sfocia in Piazza Tàksim. Sopra la mascherina arcobaleno, due occhi dolci, un po' spauriti. Si guarda intorno mentre ci conduce nella sede dell'Halklann Demokratik Kongresi, una rete di ong vicina al partito filocurdo Hdp: «Qui mi sento al sicuro, ormai vivo come una persona braccata, oggi il mio unico obiettivo è non essere ucciso».

Havin è nato a Denizit, una piccola città dell'Anatolia, da una famiglia curda con cui ha rotto i rapporti: «Mia madre è arrivata a puntarmi contro un coltello perché ero gay, mio fratello mi ha picchiato e per mio padre non esisto più. Se loro mi avessero appoggiato oggi sarei molto più forte». Arrivato a Istanbul per studiare economia, ora è indagato per incitamento alla sedizione e gli è stato confiscato il passaporto. «La polizia ci ha localizzato attraverso il mio account twitter, alle sei di mattina gli agenti hanno fatto irruzione in casa, ci hanno picchiati Ci hanno minacciato di stupro — spiega muovendo le mani nervosamente —, un poliziotto ci canzonava "come lo vuoi il manganello bagnato o asciutto?". Volevo piangere ma non potevo». Orali suo sogno è raggiungere un Paese accogliente: «II Canada, l'Olanda o la Francia. Un giorno, però, tornerò, quando d sarà la libertà». Ma se c'è chi pensa di partire, c'è anche chi resta nono- stante il clima sempre più soffocante che avvolge la Turchia in tema di diritti umani. A pochi passi da Gezi Park, dove nel 2013 si accese una delle proteste più potenti contro il governo di Erdogan, c'è la sede di Mor Vati, una ong che da 30 anni si batte per diritti delle donne offrendo loro una casa rifugio, l'unica non governativa in Turchia, e un centro di solidarietà che aiuta centinaia di turche ogni anno. Qui l'uscita dalla Convenzione di Istanbul, decisa da Erdogan lo scorso 20 marzo, è stata sentita come un colpo letale: «La Convenzione era la nostra rete di sicurezza nella lotta alla violenza contro le donne. Lo Stato, firmandola, si era impegnato ad agire — dice Elif Ege, 33 anni, che lavora a Mor Van dal 2019 - e noi potevamo reclamare la sua applicazione. Ora la difesa delle donne aggredite è più difficile. E come se avessero aperto la porta agli abusi». Selime Buyukgoze, 46 anni, fa volontariato nell'ong dal 2011: «Quando Erdogan ha firmato il decreto abbiamo ricevuto telefonate di donne che ci chiedevano: "Quindi ora è lecito picchiarci?". E abbiamo sentito dei poliziotti dire che non avevamo più appigli legali. Questa decisione ha rotto gli argini della violenza». Lo sa bene Pelin Bu, una studentessa di 23 anni, che è stata arrestata per aver partecipato alla marcia femminista dell'8 marzo a Istanbul. «Mi hanno incriminato, con altre 17 donne, per aver gridato "Corri Erdogan corri le donne stanno arrivando" e "Chi non salta è Tayyip".

Slogan che sono stati usati nelle manifestazioni per anni ma che ora vengono considerati un insulto al presidente. Io ero nello striscione che guidava il corteo, avevamo le mascherine ma sono riusciti a riconoscerei. Hanno deciso che chi saltava era colpevole». Femminista e deputata del partito filocurdo Hdp, Filiz Kerestecioglu è tra i politici per cui la procura generale della Cassazione ha chiesto l'interdizione dall'attività politica per cinque anni. Lei, sessantenne, giacchetta rosa, capelli ricci e un'aria combattiva, non è spaventata. «E dal 2015 che criminalizzano l'Hdp, hanno destituito i nostri sindaci, messo in galera in nostri leader, ora vogliono dissolvere il partito. Ci chiamano terroristi ma noi non ci arrenderemo. Non possono toglierci la speranza». Avvocata, co-autrice del documentario «Le donne esistono» di cui ha scritto anche la musica, Kerestecioglu prepara la battaglia in Parlamento sulla Convenzione di Istanbul: «Erdogan non poteva decidere dl uscire dal trattato, è la Grande Assemblea Nazionale che deve votare un atto del genere. Sono anni che noi donne combattiamo, continueremo a lottare e loro lo sanno».

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