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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.09.2020 Usa verso le elezioni: chi informa correttamente e chi non lo fa
Cronaca di Guido Olimpio, due commenti disinformanti di Massimo Gaggi

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 settembre 2020
Pagina: 14
Autore: Guido Olimpio - Massimo Gaggi
Titolo: «Trump fa capire di avere l’arma segreta - E Bob Woodward da eroe diventa accusato: 'Se sapeva da 6 mesi perché non ha parlato?' - Trump-militari: il peso di una rottura»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/09/2020, a pag.14 con il titolo "Trump fa capire di avere l’arma segreta" il commento di Guido Olimpio; con i titoli "E Bob Woodward da eroe diventa accusato: 'Se sapeva da 6 mesi perché non ha parlato?' ", "Trump-militari: il peso di una rottura", due commenti di Massimo Gaggi.

A destra: Donald Trump

Mentre Guido Olimpio riporta i fatti correttamente, dando la possibilità al lettore del più venduto quotidiano d'Italia di informarsi in modo equilibrato, continua la serie di attacchi contro Donald Trump da parte di Massimo Gaggi. Ormai quasi ogni giorno Gaggi scrive contro Trump, demonizzando il Presidente americano e non consentendo a chi legge di formarsi un'idea sulle elezioni imminenti che non sia viziata da pregiudizio.

Ecco gli articoli:

Guido Olimpio: "Trump fa capire di avere l’arma segreta"

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Guido Olimpio

Sono la sua passione, ma non solo. Mezzi eccezionali che possono cambiare gli equilibri. Donald Trump, nei colloqui con Bob Woodward per il libro «Rage» (rabbia, ndr ), ha indicato l’esistenza di un nuovo sistema nucleare di cui nessuno ha mai sentito parlare. «Ho costruito un sistema nucleare... un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo qualcosa che non si è mai visto e sentito. Abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo. Non c’è nessuno... quello che abbiamo è incredibile», ha rivelato Trump al giornalista. E il reporter, attraverso le sue fonti, ha avuto un paio di conferme. Il «segreto» ha subito messo in moto la catena delle interpretazioni, gli specialisti hanno formulato delle ipotesi. Interessanti quelle apparse sul blog «The War Zone», dove hanno provato a rispondere agli interrogativi. Al primo posto — scrivono Joseph Trevithick e Tyler Rogoway — c’è la testata W93 che dovrebbe dotare il missile intercontinentale Trident D5, ospitato sui sommergibili, una delle componenti fondamentali dell’arsenale. La pensa così anche un altro esperto che tuttavia ritiene sia stato sviluppato nel periodo 2018-2019. Poi ci sono progetti per il bombardiere con caratteristiche Stealth B 21 Raider, l’ordigno nucleare B61-12, un nuovo vettore a lungo raggio installato nei silos e un’arma — sempre atomica — ipersonica. I «candidati» non mancano, così come abbondano i fondi per accrescere il potenziale in teatri sempre più complessi, da Occidente a Oriente. C’è anche la possibilità di qualcosa di davvero top secret, anche se a questo punto c’è stata una piccola breccia. Una super arma sconosciuta, qualcosa passato sotto pochi «occhi», tra questi quelli del presidente, magari in termini generici. Forse si è fatto sfuggire il dettaglio oppure ha voluto farlo in modo deliberato per rafforzare un messaggio abituale della sua comunicazione: con me l’America sarà di nuovo grande ed avrà apparati sempre più poderosi. Nelle sue schermaglie pubbliche, con gli interventi su Twitter, «The Donald» ha spesso esaltato le capacità del Pentagono e messo in guardia gli avversari sulle conseguenze. Gli esempi sono numerosi. Ha citato l’enorme potenziale per ammonire il nord coreano Kim, leader con il quale ha un rapporto fatto di tensioni e di gesti amichevoli. Ha postato foto dopo un fallito test iraniano non escludendo che all’origine ci fosse un sabotaggio, magari un atto di guerra cyber dell’intelligence statunitense. Ha avvertito, sempre con foto, il generale iraniano Qasem Soleimani poi ucciso da un raid di un drone americano a Bagdad. Show verbali — però collegati a fatti reali — che si sono specchiati in quelli dei concorrenti. Vladimir Putin non è stato da meno, con i riferimenti ad una mezza dozzina di progetti: il super drone, il missile da crociera Burevestnik, la testata Avangard, un nuovo sottomarino ed altro ancora. I cinesi, invece, hanno insistito sulle contromisure per spazzare via le portaerei e proprio il leader di Pyongyang fa sfilare ad ogni parata le sue produzioni belliche ed ha condotto un’infinita serie di test. Provocazioni alla quale una volta il capo della Casa Bianca ha risposto con la celebre frase: «Il mio bottone nucleare è più grande del tuo». Un’ultima annotazione riguarda Woodward. Nella biografia dedicata a George Bush jr raccontò di un altro piano segreto, un sofisticato sistema integrato di intelligence/forze speciali/velivoli per dare la caccia ai militanti in Iraq e portato avanti dalla Task Force 77.

Massimo Gaggi: "E Bob Woodward da eroe diventa accusato: 'Se sapeva da 6 mesi perché non ha parlato?' "
Quando mai uno scrittore anticipa il libro che sta scrivendo, soprattutto quando si tratta una intervista? E' questo che Gaggi gli rimprovera, dimostrando di essere anche un solenne ignorante per quanto riguarda l'editoria, cosa oltremodo grave se viene pubblicata sul Corriere della Sera.
Il Corriere è oggi il quotidiano più ostile a Trump, pubblica tutti i pettegolezzi -si vedano i pezzi di Gaggi- per danneggiarne l'immagine.

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Massimo Gaggi

L’arma nucleare segreta della quale il presidente non avrebbe mai dovuto parlare, la necessità di impegnarsi contro il razzismo liquidata da Trump con una battuta, i servizi segreti per i quali Vladimir Putin potrebbe avere in mano qualcosa per condizionare il leader americano, i suoi giudizi sprezzanti sui generali «fighette» che si preoccupano più del rispetto delle alleanze che delle relazioni commerciali, con l’ex ministro della Difesa, James Mattis, che lo liquida con un giudizio perentorio: «Trump è inadatto al ruolo che ricopre e non ha una bussola morale». Rage, il nuovo libro di Bob Woodward sulla Casa Bianca anticipato due giorni fa alla stampa Usa, sta mettendo in seria difficoltà un presidente che, pure, ha collaborato al lavoro del giornalista del Watergate, dandogli ben 18 interviste dal dicembre 2019 al giugno scorso. La questione più rilevante, quella riferita ieri dal Corriere, riguarda l’ammissione di Trump di aver saputo fin dalla fine di gennaio della gravità dell’epidemia e di aver tenuto all’oscuro gli americani, anzi minimizzando, «per non creare panico». Le registrazioni dei colloqui, soprattutto quello del 7 febbraio, inchiodano Trump alle sue responsabilità: avesse agito con più vigore per tempo mettendo in guardia i cittadini e imponendo l’uso delle mascherine, ci sarebbero state meno vittime. Ma anche l’«eroe» della storia, il giornalista che l’ha stanato, non vive giorni da marcia trionfale. Anzi, la pubblicazione delle anticipazioni gli ha procurato qualche livido: molti, soprattutto suoi colleghi, gli hanno chiesto perché, se già sei mesi fa sapeva che Trump stava mentendo su «questioni di vita e di morte», non ha denunciato la cosa subito. Non sono solo mugugni di colleghi più o meno invidiosi: a considerare discutibile sul piano etico il comportamento di Woodward ci sono anche autorità come David Boardman, preside della facoltà di giornalismo della Temple University, mentre la discussione sul caso è viva anche sulle pagine del suo giornale, il Washington Post. Il reporter che quasi mezzo secolo fa costrinse alle dimissioni il presidente Nixon con l’inchiesta (realizzata insieme a Carl Bernstein) sul Watergate, si difende sostenendo che solo a maggio si è reso conto delle gravità delle cose che Trump gli aveva confessato a febbraio: in inverno Bob, abituato a un Trump che straparla, non aveva capito che stavolta il presidente aveva informazioni di fonti certe e autorevoli. Ma, soprattutto, Woodward rivendica il suo diritto di «scrivere la storia». Non partecipa più alla produzione dell’informazione quotidiana, ma vuole offrire ai lettori «il quadro più completo possibile della realtà. E glielo dò molto prima delle elezioni in modo da dare loro il tempo di farsi un giudizio: è il meglio che mi sento di fare». Il ragionamento non è infondato, ma non convince molti sul fronte progressista: Woodward doveva denunciare quando ha saputo. Paradossalmente questo ritardo viene sfruttato anche da Trump per cercare di uscire dall’angolo nel quale il libro l’ha cacciato: «Se avevo detto cose così gravi perché non farlo venire fuori subito?».

Massimo Gaggi: "Trump-militari: il peso di una rottura"

Un generale scelto come ministro dell’Interno e poi come capo di gabinetto alla Casa Bianca. Un generale alla guida del Consiglio per la sicurezza nazionale. Un generale capo del Pentagono, anche se il ministro della Difesa dovrebbe essere un civile, come argine al potere dei militari. All’inizio quello di Trump più che un governo sembrava una caserma. L’idillio coi militari non è durato a lungo: tutti licenziati o spinti a dimettersi. Conservatore e nazionalista, Trump ha, però, continuato a esaltare le forze armate nella sua retorica pubblica. La realtà, però, era diversa. Il rapporto dei militari con la Casa Bianca è diventato sempre più difficile. Tre le ragioni: 1) La mancanza di disciplina e gli atteggiamenti ondivaghi di Trump in un settore delicato che richiede indirizzi chiari e stabilità. Certezze che il presidente non ha mai dato, tra sortite a sorpresa su Putin, gli alleati, la Nato, l’abbandono dei curdi, fino alle velate minacce di licenziamento anche del nuovo ministro della Difesa, Esper (ne storpia il nome e, dopo aver detto che resterà al suo posto, aggiunge che non c’è nessuno che lui non abbia pensato, prima o poi, di licenziare). 2) La sua incapacità di capire che le questioni razziali, per lui poco rilevanti, lo sono, invece, per un esercito che deve mantenere la compattezza di truppe fortemente multietniche, con molti soldati neri e ispanici. 3) I tentativi di Trump di coinvolgere i vertici militari in eventi di sapore elettorale e di usare l’esercito contro le proteste razziali nelle città, laddove storicamente le forze armate Usa hanno sempre difeso la loro apoliticità e il loro ruolo di difesa dalle minacce esterne, lasciando quelle interne a polizia e Guardia nazionale. In pochi giorni è esploso tutto in modo spettacolare: Trump nega di aver usato parole irriguardose nei confronti di veterani e caduti in guerra, ma pochi, tra i militari, gli credono. Ha chiamato i generali «fighette» che pensano solo al rispetto delle alleanze (la fedeltà alla Nato), ignorando le conseguenze commerciali (le odiate auto tedesche che arrivano negli Usa). E l’altro giorno ha pubblicamente accusato i vertici nominati da lui di pensare solo a fare guerre e ad arricchire le industrie belliche. Un rapporto deteriorato oltre il recuperabile che può pesare sul voto (le famiglie dei militari) e anche sul dopo, se si creeranno scenari da crisi istituzionale.

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