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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.08.2020 Iran: perché mostrare una certa dissidenza fa comodo al regime
La vecchia tecnica di Farian Sabahi

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 agosto 2020
Pagina: 15
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «'Faccio cantare le donne: perseguitato nel mio Iran'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/08/2020, a pag. 15, con il titolo 'Faccio cantare le donne: perseguitato nel mio Iran' il commento di Farian Sabahi.

La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti 'persiani': presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non troppo liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa.
Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore propagandando l'immagine di un Iran moderato, lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Per alcuni anni ha scritto sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee. Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi.
Oggi torna al Corriere: un contributo estemporaneo o l'inizio di una nuova collaborazione duratura?
Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.

Ecco l'articolo:

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Farian Sabahi

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Mehdi Rajabian

 

“Sto lavorando a un progetto in cui le donne iraniane cantano, e per questo motivo rischio di tomare in cella per la terza volta», spiega il musicista trentenne Mehdi Rajabian, esponente di punta della scena underground della Repubblica islamica, dove alle donne è vietato cantare in pubblico dalla rivoluzione del 1979. Mehdi è stato arrestato più volte per attività musicali illecite. «Vivo da anni tra il carcere, l'aula di tribunale, agli arresti domidliari oppure ricoverato in ospedale. La musica è la nostra unica arma». La formazione di questo musicista è nell'ambito della musica tradizionale: suona il setar — un liuto persiano — con melodie che si mescolano alla poesia. In questi giorni Mehdi è libero su cauzione in attesa di processo. E stato arrestato tre volte. La prima nel 2013: dirige da sette anni la casa discografica Barg Music che promuove cantanti sotto censura e donne a cui è proibito esibirsi in Iran davanti a un pubblico maschile. Viene arrestato con l'accusa di insultare i valori dell'islam e di fare propaganda anti-regime. Finisce nel famigerato carcere di Evin, a Teheran. I pasdaran gli confiscano album e hard disk, chiudono la casa di discografica. Viene torturato e trascorre tre mesi in isolamento. Mehdi torna in prigione una seconda volta con l'accusa di aver prodotto arte illegale. Nel mirino della magistratura c'è l'album «Middle Eastern», prodotto dalla sede turca di Sony Music e legato all'esperienza in carcere: «L'idea mi è venuta condividendo la cella con i pirati somali, passavano il tempo a cantare musica tradizionale, ho capito che la musica è un linguaggio comune. Così, ho dato avvio al progetto Middle Eastern con un centinaio di artisti in dodici Paesi della regione tra cui Siria, Yemen, Giordania, Libano e Iraq. Mehdi resta in carcere 3 anni. Ricorre allo sciopero della fame. II suo caso attira l'attenzione internazionale. È grazie ad Amnesty International e all'organizzazione Freemuse, ma anche a celebrità come Johnny Depp, Peter Gabriel e Ai Weiwei che toma libero. Oggi Mehdi vive a Sari, il capoluogo del Mazandaran, a 30 km dal Mar Caspio, a nord della capitale Teheran. Passa la giornata in una piccola stanza, senza poter produrre musica. In queste settimane rischia di tornare in cella perché uno dei suoi progetti è su Internet: «Sono stato di nuovo arrestato e rilasciato su cauzione. La magistratura della Repubblica islamica mi vieta di produrre musica e mi ha messo sotto accusa perché nel mio progetto ho inserito donne che ballano. Non ho paura di tornare in carcere. Il mio solo pensiero è la libertà dell'arte. Anche a costo di tornare in isolamento. Dopotutto il significato del mio strumento, il setar, è solitudine».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

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