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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.07.2020 L'opinione di Yair Lapid: in Occidente si dovrebbe imparare da lui come si fa opposizione in modo onesto
Il suo intervento sul Corriere della Sera

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 luglio 2020
Pagina: 28
Autore: Yair Lapid
Titolo: «No alle annessioni in Israele ma le sanzioni sono un errore»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/07/2020, a pag.28, con il titolo "No alle annessioni in Israele ma le sanzioni sono un errore", l'intervento di Yair Lapid leader del partito israeliano di opposizione Yesh Atid.

A destra: la mappa di Israele/Palestina secondo il piano Trump

Capo dell'opposizione in Israele e leader del partito Yesh Atid, Yair Lapid esprime alcune posizioni discutibili (per esempio quella di "due popoli due stati") ma almeno tre quarti del suo intervento è pienamente condivisibile da chiunque guardi a Israele con obiettività e assenza di pregiudizio. L'opinione pubblica e i media mainstream occidentali dovrebbero imparare dal modo di fare opposizione di Lapid.

Ecco l'articolo:

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Yair Lapid

Caro direttore, l'annessione unilaterale di zone della Cisgiordania è una cattiva idea. Tra l'altro, non rientra nemmeno nel piano proposto da Donald Trump. Ho lavorato personalmente con gli americani sul progetto in questione, e lo conosco da cima a fondo. L'annessione unilaterale sconfessa in tutto e per tutto il principio ispiratore del piano di Trump. Netanyahu si è limitato a selezionare due pagine dell'intera proposta, quelle che servono ai suoi scopi, e fa di tutto per farle approvare. Si direbbe quasi un programma economico che prevede unicamente spese, senza tener conto minimamente di dove si dovranno reperire le risorse. Secondo il piano originale, estendere la sovranità israeliana alla valle del Giordano e ai principali insediamenti dovrebbe far parte di un iter destinato a culminare nella creazione di due Stati, che vivranno affiancati: uno Stato palestinese smilitarizzato e uno Stato israeliano non più sottoposto alle minacce del terrorismo islamico. In un certo senso, il presidente Trump è riuscito in un'impresa che i suoi predecessori avevano ripetutamente mancato. Nel gennaio di quest'anno ha invitato Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca per una cerimonia ufficiale e l'ha convinto a riprendere in considerazione la soluzione dei due Stati. Da allora Netanyahu si sforza in ogni modo di fare marcia indietro: di qui le sue pressioni per l'annessione unilaterale di quei territori.

I palestinesi respingono l'annessione perché respingono anche il piano di Trump. Io respingo l'annessione perché sono favorevole alle sue motivazioni di fondo, ovvero che la soluzione dei due Stati resta l'unica soluzione realistica al conflitto. La reazione europea alla possibilità di un'annessione si è tradotta in un'aspra protesta. Sono state dette molte cose, e non tutte lusinghiere nei nostri confronti. Ma lo accetto. Gli amici hanno il diritto, e spesso il dovere, di manifestare le proprie opinioni, e questo è quanto ho espresso di persona ai leader e ai diplomatici europei con i quali mi sono confrontato sull'argomento. Tuttavia, due sono le contestazioni che trovo inaccettabili. La prima è il tentativo di convogliare questo problema nell'area più vasta delle proteste globali contro il razzismo, innescate dalla tragica morte di George Floyd. Coloro che partecipano alle proteste per reclamare giustizia hanno però il dovere di attenersi ai fatti: il conflitto israelo-palestinese è una storia del tutto diversa. Israele non mette in campo i controlli di sicurezza perché è uno Stato poliziesco o per attuare una qualche versione di colonialismo moderno: l'unico e reale motivo è che in mancanza di una ferrea sicurezza in quest'area, noi israeliani saremmo tutti sterminati. Le organizzazioni terroristiche dell'Islam radicale non hanno mai fatto mistero della loro volontà di cancellare Israele dalla faccia della Terra, e noi non possiamo dubitare della loro sincerità. Il confronto tra le vittime del razzismo e i sostenitori del terrorismo è un insulto alla lotta contro il razzismo. Nell'ultima occasione in cui ci siamo ritirati da parte dei territori occupati — dalla Striscia di Gaza nel 2005 — la reazione palestinese si è tradotta nel lancio di oltre quindicimila razzi contro i nostri cittadini.

Ci tengo a ribadirlo, io sostengo la separazione dai palestinesi in due Stati distinti, ma nessuno ha il diritto di chiederci di rinunciare a proteggere il nostro popolo, lasciandolo in balia di coloro che hanno giurato di ucciderci. Presupposto fondamentale alla creazione di uno Stato palestinese sarà il suo impegno a stabilire relazioni pacifiche e a controllare il terrorismo islamico all'interno dei suoi confini. E questa la nostra richiesta principale: l'onere della prova spetta ai palestinesi. La seconda iniziativa che trovo intollerabile è la minaccia di sanzioni. Israele non è l'Iran, né la Corea del Nord. n semplice tentativo di classificarci tra quei Paesi appare demenziale: la Corea del Nord è il più vasto campo di prigionia del mondo intero, l'Iran il più grande esportatore di terrorismo. Israele, invece, è un piccolo Paese democratico che lotta perla sua sopravvivenza in circostanze incredibilmente difficili. L'idea che sette milioni di ebrei possano rappresentare un regime oppressivo in una regione popolata da un miliardo di musulmani, molti dei quali vogliono il nostro annientamento, risulta completamente assurda. Le sanzioni porteranno a una reazione diametralmente opposta alle intenzioni europee. I palestinesi diranno, e non per la prima volta, che non c'è motivo di tornare al tavolo dei negoziati perché sarà il mondo a occuparsene, applicando pressioni su Israele. L'impatto economico sarà limitato, perché Stati Uniti e gran parte dell'Asia non aderiranno alle sanzioni, e l'Europa resterà tagliata fuori, nell'impossibilità di esercitare una qualsiasi influenza sul conflitto. Peggio ancora, le sanzioni andranno a rafforzare l'estrema destra israeliana, che da molto tempo ormai va dicendo che non bisogna ascoltare i nostri amici in giro per il mondo, perché non abbiamo amici in giro per il mondo. Il loro mantra preferito è un versetto del Libro dei Numeri 23:9, che recita: «Ecco, è un popolo che dimora solo e non è contato nel numero delle nazioni». E, questa, una visione del mondo xenofobica e pericolosa, e mi auguro che l'Europa non intenda rafforzarla. Israele ascolta volentieri l'Europa, perché l'Europa sa fornire proposte intelligenti. Siamo partner commerciali delle nazioni europee e ne condividiamo i valori. Israele vede nell'Europa, e nell'Italia, un importante attore globale con forti legami con il Medio Oriente. Proprio perché respingo l'annessione unilaterale dei territori, mi adopero affinché il pubblico israeliano ascolti i messaggi lanciati dall'Europa, e lo faccio regolarmente. Coloro che ci minacciano di sanzioni non solo perderanno l'occasione di esercitare la loro influenza sul conflitto, ma dimostrano inoltre di non averne una chiara comprensione.
(Traduzione di Rita Baldassarre)

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