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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.06.2020 Il parco olimpico di Berlino tra storia e memoria
Commento di Paolo Valentino

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 giugno 2020
Pagina: 30
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «A Berlino la storia urla»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/06/2020, a pag.30 con il titolo "A Berlino la storia urla" il commento di Paolo Valentino.

Olympiapark Berlin - Berlin.de
Il parco olimpico di Berlino


Ama dire Renzo Piano che se dai luoghi di ogni città la storia parla, a Berlino si mette a urlare. Ed è la ragione per la quale, mentre dall’America al Regno Unito impazza la nuova iconoclastia contro le statue simbolo di un passato razzista e coloniale, forse dovremmo prendere esempio dai tedeschi, che della Vergangenheitsbewältigung, l’elaborazione del passato, hanno fatto una disciplina rigorosa e severa. Doveva essere un semplice lavoro di manutenzione, legato alla costruzione di un museo dello Sport nell’area dell’Olympiapark. È invece diventata una lacerante, ma civile polemica sulla memoria nazista, simile alla Historikerstreit che negli anni Ottanta divise gli storici tedeschi sul tema dell’unicità dell’Olocausto. Questa volta sono di scena architetti e urbanisti. Pomo della discordia è il monumentale complesso del parco olimpico, voluto da Hitler per le Olimpiadi del 1936 e giunto com’era e dov’era (sia pur con qualche svastica in meno) fino ai nostri giorni: un Gesamtkunstwerk, opera d’arte complessiva della volontà di autorappresentazione del regime nazionalsocialista. Ha aperto il fuoco Peter Strieder, ex senatore socialdemocratico allo Sviluppo urbanistico del Land di Berlino. In un articolo su «Die Zeit» ha chiesto la rimozione delle sculture ariane di Arno Brecher, dei bassorilievi, degli affreschi e delle iscrizioni incise sulla pietra inneggianti al nazismo, che adornano il parco. «In luoghi come questo — secondo Strieder — la propaganda hitleriana continua con il sostegno finanziario della Sovrintendenza e nessuno dice nulla. Ma nel momento in cui l’estrema destra radicale torna ad alzare la testa in Germania, dobbiamo guardare in modo diverso all’eredità del Terzo Reich». Strieder ammette che tra il 1996 e il 2004, quando era zar dell’edilizia pubblica berlinese e supervisionò la ristrutturazione dell’Olympiastadion in vista dei Mondiali del 2006, non prestò sufficiente attenzione alla «contaminazione storica» del sito. L’unica precauzione presa al tempo fu l’istallazione di un percorso informativo, con pannelli e foto, che spiegava superficialmente la storia del parco. Oggi è diverso. L’emergere di una trama eversiva neonazista violenta e omicida, la presenza in Parlamento di un partito come AfD, i cui leader definiscono il nazismo «una cacca d’uccello su mille anni di gloriosa storia tedesca» e «monumento alla vergogna» il Memoriale dell’Olocausto, spingono Strieder a chiedere tabula rasa. La sua uscita ha avuto l’effetto di una bomba. Il primo a rispondergli è stato Hans Kollhoff, il più celebre architetto berlinese, che ha firmato alcuni tra i progetti più emblematici nella ricostruzione seguita al crollo del Muro e alla riunificazione. «Per favore non toccate quelle sculture — ha scritto sempre su “Die Zeit” —. L’area olimpica non dev’essere ripulita dalle tracce dell’era nazionalsocialista. Chi è nato dopo non fa il minimo sforzo per informarsi e confrontarsi con questo periodo. Non si esorcizza il nazismo mettendo da parte i suoi monumenti». In un animato dibattito televisivo la storica dell’arte Gabi Dolff-Bonekaemper ha messo in guardia Strieder: «Se rimuoviamo ciò che è offensivo, nulla offende più. E questo non è un bene per nessuno». Ci sono pochi dubbi che l’Olympiapark sia un luogo dove il tempo si è fermato. Hitler e Goebbels lo vollero come immensa asse visuale dell’ideologia nazionalsocialista. Sull’alta qualità dell’architettura parla la medaglia d’oro che il Comitato olimpico conferì all’opera nel 1936. In primis lo stadio, dove Jesse Owens umiliò Hitler venuto a vedere la vittoria dei campioni ariani e dove in una notte di luglio del 2006 noi italiani fummo il popolo più felice della Terra. Anche se oggi le tribune sono interamente coperte, intorno alla pista di atletica corre ancora l’anello con il binario in ferro voluto da Leni Riefenstahl, per farvi scorrere le macchine da presa con cui girò l’epopea di Olympia, atto di nascita della cinematografia sportiva. Progettato da Werner March sotto la supervisione di Albert Speer, il parco olimpico è grande 12 ettari e si sviluppa intorno al Maifeld, l’immenso campo di maggio dove un anno dopo le Olimpiadi 700 mila soldati e figuranti sfilarono in onore di Benito Mussolini, venuto a celebrare l’Asse. La tribuna del Führer, sovrastata dal parallelepipedo della torre con l’orologio, la Führerturm, è ancora là: distrutta alla fine della guerra, venne ricostruita in copia conforme nel 1960 come se nulla fosse successo, il che la dice lunga sulla voglia di rimozione della Germania negli anni Cinquanta. Sul muro alla base, i versi di Hölderlin scolpiti nella pietra: «Vivi in alto o Patria/ e non contare i morti/ Per te, cara/ non uno di più è caduto». Intonsa è anche la Waldbühne, il teatro all’aperto che Goebbels volle a strapiombo, sul modello di quello greco di Epidauro, per dedicarlo alla lirica. Ancora oggi ospita i più bei concerti dell’estate berlinese, dai Filarmonici ai Rolling Stones. E poi la piscina, la Scuola dello sport, i lunghi viali che ancora portano i nomi imbarazzanti di scienziati e campioni celebrati dai nazisti e sono disseminati di sculture, bassorilievi e affreschi. Dove la proposta di Strieder non funziona è nella sua mancanza di coerenza. «Il dissenso si limita a sculture e nomi delle strade come parte per il tutto e perde la prospettiva dell’intero complesso. Allora perché non propone di smantellare tutto?», dice con studiata provocazione l’architetto Volkwin Marg, che vinse il concorso per la ristrutturazione dello stadio in vista dei Mondiali di calcio. E aggiunge: «Strieder vede nelle sculture il pericolo di un catalizzatore del crescente fumo mistico diffuso dai neonazisti odierni, i suoi oppositori invece vedono nell’arena del Reich lo Zeitgeist degli anni Trenta, incarnato nella tendenza internazionale del neoclassicismo, che non fu inventato, ma strumentalizzato dai nazisti per la loro propaganda». La soluzione? Per Marg è semplice. Invece di indulgere in una iconoclastia che rimanda a Bisanzio o al calvinismo, bisognerebbe lasciare così com’è il complesso e «investire in un centro di documentazione, ospitato nella Langemarckhalle», l’edificio sotto la tribuna del Führer, che spieghi cosa fu quel luogo, quale ruolo ebbe nel nazismo, i crimini che servì a coprire il mito baluginante del regime che vince. Lo faranno? Una cosa è certa: la polemica sul passato che non passa è destinata a continuare. Civilmente. È il karma, ma anche il mantra di Berlino. Dove la storia urla. Ma i conti con la memoria della vergogna si fanno sul serio.

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