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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.06.2020 La Libia di Erdogan
Commento di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 giugno 2020
Pagina: 50
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Ankara in Libia vincitrice immaginaria»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - La Lettura di oggi, 07/06/2020, a pag. 50 con il titolo "Ankara in Libia vincitrice immaginaria", il commento di Lorenzo Cremonesi.

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Lorenzo Cremonesi



La Turchia di Erdogan rinforza l'asse con la Libia

Erdogan gli ha dato a più riprese del «dittatore golpista», del «criminale di guerra inaffidabile e incapace». Khalifa Haftar l'ha accusato di essere un «frustrato», un jihadista «ammalato di mire neo-ottomane», un «fallito colonizzatore della Libia che non tornerà mai più turca». Il culmine della contesa tra il presidente turco e l'uomo forte della Cirenaica è coinciso a metà gennaio con il fallito incontro a Mosca tra quest'ultimo e il presidente russo Vladimir Putin. Un evento che getta luce su quanto il conflitto libico sia complicato dalle tante sfaccettature internazionali degli attori coinvolti. Avvenne cinque giorni prima della conferenza sulla Libia organizzata dall'Unione Europea a Berlino il 19 gennaio. Il leader russo era deciso a sostenere militarmente Haftar, come aveva scelto sin dall'inizio della violenta offensiva lanciata da quest'ultimo il 4 aprile 2019 contro le milizie schierate con il governo «di accordo nazionale» del premier Fayez Sarraj a Tripoli, sostenuto dalla Turchia. Putin era certo che avrebbe convinto il suo protetto a riaprire il dialogo politico. Se fosse riuscito, la diplomazia russa avrebbe strappato un forte vantaggio a quella europea con poca spesa e il minimo impegno bellico. Ma Haftar non si mosse e abbandonò Mosca senza firmare alcun memorandum che potesse costringerlo a porre fine ai blitz militari. «Il fallimento dell'incontro di Mosca è stato molto utile. Dimostrare quanto Haftar non sia credibile e meriti una dura punizione da parte nostra», tuonò soddisfatto Erdogan. Da allora la Turchia ha intensificato gli aiuti militari al fronte di Sarraj. Un'alleanza che sta nei fatti garantendo le vittorie delle milizie di Tripoli e Misurata, sostenute dai droni e carri armati di Ankara, oltre che dai mercenari siriani reclutati e addestrati dall'esercito turco, quindi inviati in Libia per volontà diretta di Erdogan. Secondo l'Osservatorio per i Diritti umani, potrebbero contare ormai oltre 10 mila uomini. In seguito ai memorandum firmati tra Erdogan e Sarraj lo scorso fine novembre, l'autoproclamato Esercito nazionale libico di Haftar è stato costretto ad abbandonare le zone costiere occidentali sino al confine tunisino, allentando così l'assedio su Tripoli. e Ma il colpo più grave è stato inferto il 18 maggio, quando le sue brigate hanno ceduto al-Watiya, la sua più importante base aerea in Tripolitana. Da allora una quindicina di vecchi caccia Mig-29 e bombardieri Su-24 dell'era sovietica sono atterrati nella base di Jufra, nel sud della Cirenaica. Secondo gli osservatori più attenti, saranno condotti da piloti poco affidabili reclutati in Egitto e tra i gruppi mercenari africani. Insomma, paiono rappresentare un problema minore per le forze ben equipaggiate da Ankara. Per ora il loro compito più importante è stato garantire la ritirata verso la Cirenaica di alcune centinaia di mercenari della compagnia russa Wagner, che si trovavano tra al-Watiya e Bani Walid, a sud di Tripoli. Se nelle prossime settimane le milizie pro-Sarraj dovessero dunque riuscire a riconquistare anche la città di Tarhouna, nel cuore delle regioni controllate dalle tribù fedeli all'ex regime di Gheddafi (una settantina di chilometri a sud della capitale), nei fatti Haftar avrebbe perso l'intera Tripolitania e sarebbe tornato al punto di partenza. Molto più debole e screditato di prima. «A Bengasi e Tobruk cresce il malcontento. Haftar sta perdendo il sostegno delle tribù in Cirenaica, è minacciato in casa sua», spiegano a «la Lettura» fonti a Bengasi. Conseguenza immediata delle débâcle di Haftar appare l'evidente crescita dell'egemonia di Ankara nella regione. «La Turchia qui mantiene profonde radici storiche che risalgono ai quattro secoli di dominazione ottomana che hanno preceduto l'invasione italiana del 1911. Il Gran Mufti di Tripoli a Istanbul è di casa. Migliaia di nuclei familiari libici hanno parenti stretti in Turchia, come dimostrano i voli sempre pieni della Turkish Airlines e delle compagnie libiche dalla capitale, da Misurata e da Bengasi. I legami economici tra i due Paesi sono strettissimi e destinati a crescere dopo gli ultimi accordi tra Sarraj ed Erdogan sulle acque territoriali», spiega Arturo Varvelli, tra i massimi esperti di Libia e direttore dell'ufficio di Roma dell'European Council on Foreign Relations. A suo dire, la sfida tra Erdogan e Haftar riassume la dimensione molto più profonda dei confronti politico-culturali che scuotono il Medio Oriente sunnita contemporaneo: lo scontro tra dittature militari laiche discendenti, in diverse declinazioni, dal nasserismo post-coloniale e i regimi religiosi nella sfera dei Fratelli Musulmani. «Haftar, già ai tempi del golpe militare in Egitto del generale Abdel Fattah al Sisi per defenestrare il governo del presidente religioso Mohammed Morsi nel luglio 2013, comprese che anche in Libia poteva cavalcare il crescente malcontento popolare contro gli abusi e i soprusi del fronte jihadista. Non a caso al Sisi decise subito di aiutarlo contro i Fratelli Musulmani, che avevano voluto Morsi, stavano con numerose milizie libiche ed erano alleati della Turchia di Erdogan. In sintesi: Haftar fu il paladino della classe militare laica favorevole al forte Stato centralizzato e pronta a cercare alleanze con i vecchi gheddafiani, Erdogan invece dello Stato legato alla moschea», aggiunge Varvelli. Da qui anche le difficoltà cui andrà incontro l'Europa nel cercare di riconquistare il terreno perduto in Libia. «L'anno scorso — conclude lo studioso — Sarraj aveva chiesto aiuto prima di tutti all'Europa e in particolare all'Italia per combattere Haftar, che allora era rifornito soprattutto da Russia, Egitto ed Emirati. Di fronte alle nostre risposte evasive, e comunque visto che nessun partner europeo sarebbe mai intervenuto militarmente, per lui la scelta turca è stata inevitabile». Oggi la missione europea Inni (lanciata il 31 marzo con lo scopo primario di far rispettare l'embargo Onu sulle armi in Libia) appare largamente pregiudicata. Anche l'Egitto ridimensiona le sue aspirazioni e sembra accontentarsi di accordi limitati in Cirenaica, che gli garantiscano il controllo del confine desertico con la Libia. A sua volta Mosca non esercita su Haftar quell'influenza che Ankara ha su Sarraj. Al momento Erdogan si presenta come possibile vincitore. Forse.

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