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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.05.2020 Morto misteriosamente (mica tanto...) il giovane poeta arabo che criticava l'islam
Cronaca ambigua e omissiva di Helmut Falloni

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 maggio 2020
Pagina: 38
Autore: Helmut Falloni
Titolo: «Morto il poeta adolescente che criticò i musulmani»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/05/2020, a pag.38, con il titolo "Morto il poeta adolescente che criticò i musulmani", la cronaca di Helmut Falloni.

La cronaca di Falloni è ambigua e omette di sottolineare il coraggio del giovane poeta arabo, palestinese di origine, Yahya Hassan. A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca: che ci sia un legame tra le critiche all'islam da parte del poeta e la sua morte a 24 anni? L'articolo del Corriere non aiuta a fare chiarezza...

Ecco l'articolo:

Danish poet Yahya Hassan dead at 24 - The Local
Yahya Hassan

Mamma rompe piatti per le scale. Intanto al Jazeera trasmette bulldozer ipercinetici e membra arrabbiate. La striscia di Gaza sotto il sole. Le bandiere che vengono bruciate. Se un sionista non riconosce la nostra esistenza. Se poi davvero esistiamo. Quando singhiozziamo angoscia e dolore...». E una parte della poesia Infanzia di Yahya Hassan (tradotta e pubblicata da Rizzoli nel 2014), il poeta danese di origine palestinese che il 29 aprile è stato trovato morto (ancora non si conoscono le cause, anche se la polizia al momento esclude un atto criminale) nel suo appartamento nella difficile periferia di Aarhus, la città danese più popolata dopo Copenaghen. Avrebbe compiuto 25 anni il 19 maggio, ma il suo nome fece scalpore nel 2013 con la prima raccolta di poesie, che lo portò al centro della scena letteraria mondiale. II suo editore ha ricordato le vendite di quel volume, che portava come titolo il nome del poeta: 120 mila copie. La raccolta di poesia più venduta di tutti i tempi in Danimarca, tradotta in venti lingue. Nel 2019 è uscito il secondo volume, Yahya Hassan 2, con le poesie scritte, come usava fare, tutte in stampatello, quasi a usare metaforicamente il maiuscolo per urlare, per dare più forza al lamento, che è quello di un popolo che non sa con chi riconoscersi. I suoi versi — detta molto sinteticamente — descrivono la vita di un giovane immigrato musulmano che si sente tradito dalla sua patria e da quella di adozione, e si portano dietro e dentro una violenza a volte soffocata (ma pur sempre percepibile), altre volte manifesta. La sua è la storia di un bambino la cui famiglia palestinese si trasferisce in Danimarca da un campo profughi libanese. E stato aggredito e minacciato di morte per i suoi versi. Ha vissuto sotto scorta. E passato da un istituto di correzione a un reparto di psichiatria. Si era anche iscritto a un partito politico nel 2015, il danese Nationalpartiet, ma fu espulso perché sorpreso alla guida dell'automobile sotto effetto di droghe. Lo hanno definito il bad boy della poesia, paragonato addirittura a Walt Whitman ed a Eminem. Quando leggeva le sue poesie, Hassan somigliava a un rapper che calca il ritmo della parola, senza enfatizzare però, in un flusso continuo, quasi senza pause. La sua poesia è l'urlo dei musulmani ingannati e abbandonati dal mondo. Incarna una generazione senza futuro, senza progetti, perché «Allah li aveva per noi».

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lettere@corriere.it

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