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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.02.2020 La Kabbalah tra passato e futuro
Recensione di Piero Stefani

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 febbraio 2020
Pagina: 8
Autore: Piero Stefani
Titolo: «Il futuro della Kabbalah»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - La Lettura di oggi, 09/02/2020, a pag.8, con il titolo "Il futuro della Kabbalah" ila recensione di Piero Stefani.

Risultato immagini per Piero Stefani
Piero Stefani

Partiamo da due riferimenti esterni, ma non estranei, al libro di Harry Freedman Kabbalah (Bollati Boringhieri). Scena prima: negli anni Trenta del Novecento Roman Vishniac fece straordinari reportage fotografici. Visitò molte comunità ebraiche dell'Europa orientale, dove scattò 16 mila fotografie. Parte di esse fu pubblicata dopo la Shoah con lo struggente titolo Un mondo scomparso (Edizioni e/o, 1984). Ogni immagine è corredata da una didascalia. Una delle foto più rare porta questo commento: «Lo studio della Kabbalah in uno scantinato di Kazimierz, il vecchio ghetto di Cracovia, I mekuballim (coloro che studiano la Kabbalah) apprendono la Dottrina a lume di candela (...). Questa è forse la sola foto esistente dell'antica contemplazione cabalistica». Nella foto si vede una persona anziana: ha la mano sulla fronte, gli occhi immersi in un libro, la luce della candela le illumina il volto. Scena seconda. Nel 1797 Wolfgang Goethe compose la breve ballata Der Zauberlehring («L'apprendista stregone»). In essa si parla di una scopa che l'apprendista seppe mettere in moto, ma non arrestare. Uno dei motivi ispiratori del poeta tedesco fu il cabalistico golem, riferimento oggi ben noto a ogni visitatore di Praga.

Risultato immagini per Harry Freedman Kabbalah (Bollati Boringhieri)
La copertina (Bollati Boringhieri ed.)

II fantoccio muto animato con arti magiche dal grande rabbino Judah Loew, detto il Maharal, stava per sfuggire al controllo del suo padrone, che riuscì a fermarlo solo all'ultimo momento, quando già incombeva la catastrofe. Al fascino dell'idea di una dinamica inarrestabile perché soggetta a modificazioni incontrollabili non si sottrassero neppure Karl Marx ed Friedrich Engels nell'atto di scrivere il Manifesto del partito comunista. II libro di Freedman sembra consapevole sia del fatto che la Kabbalah, giudicata in base al metro esigente di una tradizione rigorosa, rappresenti un mondo scomparso, bruciato da fiamme più alte di quelle delle candele, sia dell'esistenza di un fiume in piena alimentato da sempre nuovi affluenti. Al riguardo la chiusa del libro non mostra incertezze: la Kabbalah ha un futuro, su ciò non ci sono dubbi, anche se si ignora che cosa esso riservi. La foce è ancora lontana e con ogni probabilità nuovi affluenti rimescoleranno di nuovo le acque. La parola kabbalah significa «ricezione» nel senso di una tradizione ricevuta. La corretta etimologia riportata da Freedman attesta che, per una mistica inserita in una tradizione, il ricevere precede il trasmettere; ciò vale non solo, come è scontato, in senso cronologico.

L'origine divina della dottrina sta nella sua assoluta precedenza. Non è un caso che l'oggetto di elezione della speculazione cabalistica sia la creazione, l'atto per definizione più originario tra tutti. Nell'introduzione del libro c'è una frase riportata come sintesi anche nella quarta di copertina, essa inizia così: «L'essenza della Kabbalah consiste nel tentativo di comprendere come la volontà divina abbia concepito e creato l'universo e come riesca a preservarlo». Si può dunque risalire a quanto ci precede e ci costituisce. Ma come è possibile? Nessun essere umano ha, per definizione, assistito all'accoppiamento dei propri genitori. II paragone non è improprio, non per nulla le metafore sessuali (forse, nel complesso, non prese sufficientemente in considerazione da Freedman) sono di casa nella Kabbalah. L'impossibile diviene accessibile perché si è in possesso di alcune chiavi capaci di dischiudere i segreti nascosti nel testo biblico. Se fosse lanciata l'ardua sfida di concentrare in quattro o cinque parole l'immensa tradizione cabalista ebraica si potrebbe proporre questa definizione: «Parlare a quattr'occhi dell'atto creativo». Si comunica in modo riservato quanto c'è di più universale. Quello che riguarda tutto e tutti è dicibile soltanto in un sussurro a due. La creazione è in Dio. L'assillo del cabalista è di investigare i processi intradivini attraverso i quali si è originato il tutto. La trasmissione del sapere cabalistico è riservata, la sua comunicazione per eccellenza sta nell'oralità, eppure il suo punto di partenza sono le lettere. La parola creatrice è assunta non tanto in quanto detta, bensì in quanto scritta. Le lettere e di conseguenza i numeri (in ebraico i numeri si scrivono con le lettere) e le loro permutazioni sono le vie per risalire (o per sprofondare) nell'origine.

Così in tutto un lungo tratto di strada dei testi appartenenti a questa tradizione, felicemente riassunto nel libro, si va dai preamboli del Sefer Yetzirah alle prime manifestazioni propriamente cabalistiche del Sefer Bahir, al monumento centrale dello Zohar, alle riprese abissali ed esiliche della più tarda e drammatica Kabbalah luriana (XVI secolo). Già negli sconcertanti sviluppi messianici derivati da quest'ultima (culminati nel falso messia Shabbatai Zevi) o nel chassidismo, la grammatica subisce modifiche che, in una maniera o in un'altra, la fanno transitare verso l'epoca moderna. Si accennava al ruolo assegnato alle lettere. Riguardando il nostro fiume la maggior confluenza avvenuta nel suo corso registrata da Freedman è segnalata (occasionalmente?) da un cambio di lettere: accanto alla Kabbalah sorse infatti la Cabala. Con il ricorso alla «C» viene indicata la corrente rinascimentale (Pico della Mirandola, Reuchlin, Egidio da Viterbo, Francesco Zorzi) la quale, facendosi forte di una presunta remotissima origine delle dottrine ricevute, riteneva di poter ricavare dalla tradizione cabalistica prove inconfutabili delle verità cristiane (a iniziare dalla Trinità e dall'Incarnazione). Il fiume ricevette acqua pure dall'affluente magico-alchemico-occultistico che affascinò molti, compreso l'imperatore asburgico Rodolfo II che ebbe, più o meno leggendari, incontri con il già citato Maharal di Praga. La corrente scorre lungo i secoli e giunge fino ai giorni nostri. Superate le critiche razionalistiche della scienza del giudaismo, l'interesse per la Kabbalah riemerge nel XX secolo. Ciò avvenne sia nel campo accademico, a iniziare dalle pionieristiche e determinanti ricerche del filosofo Gershom Scholem, sia in quello di una riclaborazione in chiave psicologica dell'antica tradizione. Non si tratta più di andare alla ricerca di segreti cosmologici, l'intento ora è recuperare l'integrità del sé. Prima di giungere a Carl Gustav Jung e di proseguire il viaggio fino alle sponde della New Age e alla pervasiva e discussa diffusione del Kabbalah Centre (con gli immancabili elenchi di star che li hanno frequentati), alcune letture spiritual-psicologiche fiorirono nella Palestina mandataria, soprattutto a opera di rav Abraham Isaac Kook e di Yehuda Ashlag (autore di un influente commento allo Zohar). Di passaggio, proprio questi aspetti meno conosciuti costituiscono alcune delle pagine più istruttive del testo di Freedman. Dal cosmo alla psiche dunque? In parte sì, ma non solo. La Kabbalah (e per certi versi anche la Cabala) fu contraddistinta, in momenti diversi, da forti espressioni messianiche. A quest'ambito appartiene l'espressione, oggi non di rado riproposta, di tiqqun 'olam («riaggiustamento del mondo»). Quello del tiqqun 'olam è un cammino messianico privo della persona del messia. Nella contemporaneità, specie attraverso gli influssi diretti o indiretti del pensiero storico-teologico di rav Kook, il filone è sfociato, in base a metamorfosi inimmaginabili al suo iniziatore Isaac Luna, in visioni nazionalistico-messianiche presenti nell'attuale Israele. Shabbatai Zevi è definito il messia mistico, la sua vicenda fu altamente paradossale: creduto messia da un gran numero di ebrei, finì per convertirsi all'islam, a detta dei suoi seguaci al fine di combattere dall'interno le forze spirituali avverse. La clamorosa vicenda arrecò per molto tempo un colpo durissimo alla credenza in un messia personale. Anche qui la vicenda non è giunta però a conclusione. Il movimento Lubavitch (appartenente alla corrente chassidica Chabad che si richiama già nel suo stesso nome a un aspetto della Kabbalah) ritiene messia rabbi Menahem Mendel Schneerson, morto ultranovantenne nel 1994. Le metamorfosi cabalistiche non sono ancora finite.

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