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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.09.2019 Le responsabilità italiane dietro Treblinka, il campo della morte per gli ebrei macedoni
Commento di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 settembre 2019
Pagina: 33
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «Ebrei deportati a Treblinka sui binari gestiti dall’Italia»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/09/2019, a pag. 33, con il titolo "Ebrei deportati a Treblinka sui binari gestiti dall’Italia", l'articolo di Antonio Carioti.

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Antonio Carioti

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Michele Sarfatti

Non c’è dubbio che la Repubblica sociale italiana, in quanto Stato satellite del Terzo Reich, abbia attivamente partecipato alla cattura e di conseguenza alla deportazione e allo sterminio degli ebrei che si trovavano sul suo territorio. Più complessa è la questione circa il comportamento verso la Shoah dell’Italia fascista, alleata della Germania, prima del 1943. In Francia e nei Balcani molti civili ebrei in fuga dai nazisti trovarono un rifugio, per quanto precario e incerto, nelle zone di occupazione presidiate dalle truppe italiane. Ma certo non si può dire che il governo di Benito Mussolini si sia opposto al genocidio. Lo confermano due telegrammi che Michele Sarfatti, storico noto per i suoi studi sulla persecuzione razziale, ha pubblicato sul nuovo fascicolo della rivista «Quaderni di storia», edita da Dedalo e diretta da Luciano Canfora. Riguardano la deportazione di alcune migliaia di ebrei dall’attuale Macedonia, allora annessa dalla Bulgaria (alleata della Germania) in seguito allo smembramento della Jugoslavia. Nel marzo 1943 le autorità di Sofia accondiscesero alle richieste tedesche e vennero organizzati tre convogli ferroviari diretti al famigerato campo di sterminio di Treblinka. Il primo di essi passò direttamente dalla Macedonia bulgara alla Serbia occupata dai nazisti. Gli altri due treni invece, per via di danni subiti da quella linea, furono instradati per un percorso alternativo attraverso il Kosovo, che allora era stato aggregato all’Albania italiana, quindi era sotto il controllo di Roma. Qui s’inseriscono i documenti riportati da Sarfatti. Il 20 marzo 1943 l’ambasciatore d’Italia a Sofia, Massimo Magistrati, avvertì il ministero degli Esteri che due convogli con a bordo quattromila ebrei e una scorta di ottanta poliziotti bulgari armati sarebbero passati in Kosovo. Il 5 aprile il sottosegretario Giuseppe Bastianini scrisse a Magistrati di far presente ai bulgari che il permesso di transito accordato ai loro agenti per le due missioni non poteva «costituire un precedente» e che in circostanze analoghe le autorità italiane si sarebbero riservate «di concedere o meno il visto». «Roma — nota Sarfatti — non gradiva affatto la presenza di bulgari armati» in Kosovo e lo fece notare. Nulla da obiettare trovava invece circa il transito di ebrei «diretti in Germania» attraverso un territorio di sua pertinenza. Nel telegramma Bastianini neppure li nominava. Il che significa, prosegue Sarfatti, che «l’Italia fascista collaborò alla deportazione nazista di 4.086 ebrei della Macedonia, arrestati a tale scopo dalla Bulgaria». Va aggiunto che quegli sventurati vennero uccisi dal primo all’ultimo, inclusa Susanna Pardo, che era nata a Milano e che i bulgari sarebbero stati disposti a rilasciare per consentirle di rientrare in Italia con il suo bambino di pochi mesi. Di quelle vittime innocenti sappiamo dunque ben poco. Sappiamo viceversa che le autorità italiane, dalla seconda metà del 1942, erano consapevoli che gli ebrei catturati dai nazisti erano destinati a una sorte terribile. A quel crimine il governo di Mussolini accettò di partecipare, senza sollevare obiezioni. Poteva fare la voce grossa con i bulgari, ma non certo (ammesso che lo desiderasse) con il Terzo Reich, di cui era sempre più succube.

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