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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.09.2019 Marocco: il caso di 'sospetto aborto' che mette in pericolo i diritti
Cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 settembre 2019
Pagina: 13
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «La cronista critica accusata di aborto. Così un processo scuote il Marocco»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/09/2019, a pag. 13, con il titolo "La cronista critica accusata di aborto. Così un processo scuote il Marocco", il commento di Francesco Battistini.

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Francesco Battistini

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Mohammed VI, re del Marocco

L’hanno arrestata dal ginecologo, assieme al fidanzato. Sei agenti in borghese. Un breve confronto col medico e l’infermiera, poi tutti dentro. Per adulterio, visto che la coppia non era sposata. Per procurato aborto, poiché è ciò che si pratica in cliniche come quella. Ma dopo due settimane, e ieri che a Rabat è cominciato il processo, s’è capito subito che importa poco se la giornalista fosse davvero lì per interrompere una gravidanza. Men che meno, se abbia fatto sesso fuori dal matrimonio. Hajar Raissouni, 28 anni, voce critica del quotidiano indipendente Akhbar al-Yaoum, che da mesi raccontava le proteste contro il governo sulle montagne del Rif, rischia fino a due anni per reati che le impediranno di continuare a scrivere. Guarda caso, come il suo direttore che se n’è già presi dodici per un’accusa di molestie sessuali, una detenzione che l’Onu ha definito illegittima. O come un suo collega incarcerato per terrorismo. O un reporter investigativo, incastrato da una storia di corna. Stampa sotto tiro Colleghi dello stesso giornale sono già stati condannati, sempre per vicende personali «I nostri diritti sono in pericolo!», hanno gridato poche decine di manifestanti davanti al tribunale di Rabat, mentre s’apriva l’udienza contro Hajar e il suo compagno, Rifaat al-Amin, un professore universitario sudanese. La libertà di parola di Hajar vale quanto la libertà del suo corpo. Il silenzio cui è stata ridotta è un bavaglio a tutto il Marocco. Non c’è flagranza. Non c’è confessione. I due negano d’aver voluto abortire e anzi sostengono d’essere stati nella clinica per salvare Hajar da pericolose emorragie.

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Hajar Raissouni

Dopo l’arresto, la giornalista ha subìto ispezioni corporali e la sua cartella clinica è stata resa pubblica. Il pm dice che l’ambulatorio era sotto sorveglianza e la reporter è incappata suo malgrado in un controllo. Comunque sia, ce n’è abbastanza perché il processo diventi il simbolo d’uno scontento generale. «L’eccezione marocchina», come l’ha definita lo scrittore Tahar Ben Jelloun, ha finora evitato al Paese le rivolte arabe e quel che sta succedendo nella vicina Algeria. Difficile attaccare un re come Mohammed VI, che si proclama diretto discendente del Profeta. Ma proprio il movimento di protesta Hirak che la giornalista seguiva nel Nord povero e berbero, assieme a timide contestazioni che si ripetono ormai dal 2016, fa pensare che il regime sia preoccupato e stia cercando una punizione esemplare. Lo zio di Hajar, islamista, è un noto oppositore. E Reporters sans Frontières fa notare come il Marocco utilizzi spesso accuse che poco c’entrano coi reati di stampa, per tappare la bocca ai media. La questione tocca anche il diritto di famiglia, da poco riformato: l’aborto resta un crimine, in Marocco, idem i rapporti extraconiugali. Questo, dicono le femministe, anche se si praticano 800 aborti clandestini al giorno. E nessuno finisca mai in galera. «Il vero aborto è quello della giustizia!», hanno gridato a Rabat. E questa democrazia, forse, è ancora nella culla.

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