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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.09.2019 Sergio Luzzatto: basta vittimismo, le sue tesi sono estreme
Recensione di Pierluigi Battista, che però scrive di 'linciaggio' e paragona lo storico a Ariel Toaff e Hannah Arendt

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 settembre 2019
Pagina: 24
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Il nodo dell’unicità ebraica»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/09/2019 a pag.24 con il titolo "Il nodo dell’unicità ebraica" il commento di Pierluigi Battista.

Sergio Luzzatto non è nuovo a esprimere tesi controcorrente a forza, anche a costo di perdere di vista il contesto storico complessivo. Ricordiamo, per esempio, la posizione estrema che nel libro "Partigia" aveva espresso su Primo Levi e la Resistenza. Ora Luzzatto eviti almeno di farsi passare per vittima se viene criticato per quello che scrive. Il nuovo libro sulla storia ebraica, intitolato "Un popolo come gli altri", è ancora più ideologico dei precedenti e, come sottolinea il Corriere della Sera, sottovaluta l'odio diffuso contro Israele, che ha in gran parte sostituito oggi l'antisemitismo tradizionale che è culminato nella Shoah.

Pierluigi Battista, che firma la recensione, ricorda opportunamente i trascorsi di Luzzatto ma cita Ariel Toaff come vittima di attacchi violenti dopo un libro in cui si soffermava sui presunti sacrifici rituali degli ebrei in occasione di Pesach: il rapimento e conseguente uccisione di bambini cristiani per impastare le azzime! Tesi immediatamente ripresa da tutti i peggiori siti e personaggi antisemiti. Battista scrive che per gli attacchi Toaff avrebbe dovuto lasciare l'università, quando in realtà er già in pensione e lo stesso padre Elio Toaff, ex rabbino capo di Roma, lo criticò aspramente, con delle espressioni fortissime. A proposito di presunti "lnciaggi", Battista cita anche il caso di Hannah Arendt, che ne avrebbe subito uno dopo il libro sul processo Eichmann "La banaità del male". Un testo che ha contribuito a sminuire e fraintendere quello che la Shoah è stata, ovviamente citatissimo da opinionisti a sostegno della tesi che di Shoah se ne parla e scrive fin troppo. Non dimentichiamo che la tesi di Arendt consisteva anche in una critica totale contro Ben Gurion per aver voluto il processo a Eichmann a Gerusalemme e non in Germania.

Ecco l'articolo:

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Pierluigi Battista


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Sergio Luzzatto

Peccato che in Italia (ma anche altrove) il dibattito intellettuale si sia così rinsecchito e incattivito da preferire la scomunica alla libera discussione, altrimenti i saggi e gli articoli raccolti da Sergio Luzzatto in Un popolo come gli altri. Gli ebrei, l’eccezione, la storia, in libreria dal 12 settembre per la casa editrice Donzelli, potrebbero suscitare vivaci repliche, contestazioni, tentativi di confutazione, ma sempre basati su argomenti, tesi contrapposte, osservazioni specifiche. Invece, come è ampiamente dimostrato nelle pagine di questo libro che riesumano alcune polemiche smodate del recente passato di cui Luzzatto è stato protagonista e vittima, si sfodera con grande facilità l’arma impropria dell’anatema, dell’isolamento del reprobo, della caccia all’eretico. Luzzatto racconta delle reazioni violente a un suo libro, Partigia (Mondadori), su Primo Levi: insulti, processi alle intenzioni, linciaggi, come se sfiorare temi controversi fosse la profanazione di un tabù. Mai un’aperta battaglia di documenti contro documenti, interpretazioni contro interpretazioni, in una disputa anche feroce ma leale. I lettori del «Corriere della Sera» conoscono inoltre con quanta virulenza e con quanta violenza venne fatto il vuoto attorno ad Ariel Toaff per un libro che poi l’autore è stato costretto a ripudiare per non perdere ogni aggancio con la cattedra universitaria. Lo sguardo di Luzzatto, ovviamente, si sofferma sulle vicende della grande storia ebraica, sul surplus di sensibilità che ogni esplorazione di questa storia comporta, perché sembra impossibile affrontarle come se si avesse come oggetto di studio «un popolo come gli altri», come appunto recita il titolo.

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Ariel Toaff, Hannah Arendt

C’è una frase di Luzzatto, per esempio, destinata ad esacerbare la discussione: «L’intera dinamica della Shoah viene consegnata a una dimensione astorica, o addirittura trascendente». Ma se non bastasse questa frase che è già aspra, urticante, dolorosa, eccone la conclusione: «con un vantaggio netto per gli eredi dei carnefici, e anche — in un qualche dolorosissimo modo — per gli eredi delle vittime». Luzzatto è intellettualmente incline alle affermazioni nette, poco aperte alle mediazioni e alle sfumature. È fortemente attaccato a una tesi. E la tesi che porta con accanimento avanti da anni è che lo Stato di Israele sia macchiato sin dalle origini da una tentazione etnicista, in cui l’integralismo religioso («lo Stato degli ebrei») si alimenta con la sacralizzazione della Shoah, la grande tragedia storica che l’Israele di David Ben Gurion, prima ancora delle componenti di destra, avrebbe voluto porre come base di perenne legittimazione di una creatura esclusivamente politica come lo Stato. Per quanto appoggiata ad alcuni scritti di Amos Oz, si tratta di una tesi estrema e ingenerosa, perché se c’è qualcosa di unico e di imparagonabile nella storia dello Stato di Israele è la pervicace, violenta, indiscussa negazione del suo diritto alla stessa esistenza decretata dai nemici. Ma è, appunto, una tesi che merita di essere contestata e, se si è in grado di farlo con argomenti forti, molto indebolita con le armi della discussione e non quelle del linciaggio: un linciaggio, su cui peraltro Luzzatto sorvola, che colpì brutalmente Hannah Arendt con il suo Eichmann a Gerusalemme. Ma Luzzatto, nelle sue considerazioni sulla storia dei «ghetti» italiani, o sulle manifestazioni dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo, sulle implicazioni culturali che hanno fomentato nei secoli la grande persecuzione antiebraica fino alla catastrofe apocalittica della Shoah, in realtà mostra una tenacia e un’attenzione che non è solo quella dello storico chino sui documenti. È soprattutto la ricerca di un filo che possa spiegare il destino di un popolo che non riesce ad essere «un popolo come gli altri» per scoprirne motivazioni profonde, anche inconsapevoli. Rifiutando gli assunti anch’essi spesso inconsapevoli che incardinano la maggioranza degli studi collocati nella «Jewish History»: «Il postulato — riconosciuto o sottaciuto — per il quale esiste, all’interno della storia universale, una storia ebraica a sé stante, quintessenziale, quasi metafisica, che va distinta dalla storia di tutte le altre culture del mondo, di tutti gli altri popoli della terra». E poi, continua e conclude Luzzatto, «il potere della storia non potrà mai essere tanto forte come il potere della letteratura. Ma anche lo scrivere di storia non è forse un modo per tenere insieme i vivi e i morti, la presenza e l’assenza». Come se Luzzatto cadesse in una considerazione sentimentale, «tenere insieme i vivi e i morti», che un po’ smentisce la freddezza analitica dello storico che parla attraverso lo spassionato esame dei documenti reperiti e disponibili, il demolitore dei miti sacri della storia ebraica tramandata trova però la radice di una pietas alimentata dalle innominabili persecuzioni subite da un popolo che gli «altri» non vogliono trattate come qualunque altro popolo. Una forma di immedesimazione simpatetica che addolcisce la rigidità dello storico. Non fosse che per questo, occorrerebbe dismettere l’atteggiamento arcigno dello scomunicatore che sostituisce l’argomentazione con l’anatema, che uccide ogni discussione e vuole conservare della storia soltanto il mito incontaminato.

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