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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.08.2019 Lettura: bel titolo, un pasticcio sconclusionato il testo
Analisi di Marco Ventura

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 agosto 2019
Pagina: 11
Autore: Marco Ventura
Titolo: «Musulmani che credono nella libertà»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA/LETTURA di oggi, 25/08/2019, a pag.11, con il titolo " Musulmani che credono nella libertà" il commento di Marco Ventura


Risultati immagini per Abdullahi Ahmed An-Na’im

Abdullahi Ahmed An-Na’im

Un bel titolo, uno si aspetta di leggere le opinioni di musulmani che credono nella laicità, nelle libertà civili, ce ne sono, peccato che interessino poco ai nostri media, bene, Lettura ce ne offre la possibilità.
Invece.. il tema c'è tutto, ma è talmente ingarbugliato da risultare incomprensibile, un'insalata di storia/politica/fede che impedisce di capire dove l'autore vuole andare a parare. Non mettiamo in dubbio le buone intenzioni, ci permettiamo una domanda a due illutre firme del Corriere, Barbara Stefanelli e Antonio Troiano, provate a leggerlo e poi, sinceramente, diteci se abbiamo torto. 
IC pubblica gli interventi di intellettuali musulmani, laici e coraggiosi, soprattutto se vivono ancora in paesi islamici, ma ciò che scrivono è comprensibile, riga dopo riga.

Ecco l'articolo:

Nello storico libro uscito nel 2008 per Harvard University Press, An-Na’im non ha dubbi. Non solo uno Stato laico è compatibile con l’islam: esso è la forma contemporanea di organizzazione del potere più desiderabile per una comunità islamica. Musulmano, cittadino sudanese e americano, professore all’Emory University di Atlanta, l’oggi ultrasettantenne Abdullahi Ahmed An-Na’im va controcorrente. Il suo Islam and the Secular State matura dopo l’11 settembre. Già allora, come oggi dopo la primavera araba del 2011 e la vicenda dell’Isis, islam e laicità sono per lo più ritenuti incompatibili. In Occidente, la laicità è una conquista liberaldemocratica, compagna dello Stato di diritto, della separazione dei poteri e dei diritti umani: conquista di civiltà, conquista «nostra», non «loro», non dei musulma-ni, incapaci di darselo, uno Stato laico, e persino di integrarsi in esso. Speculare la posizione dominante tra i musulmani, per cui la laicità non è un principio universale, ma un costrutto occidentale, cristiano, funzionale a un progetto neocoloniale nemico dell’islam. La tesi dell’incompatibilità tra islam e laicità è oggi condivisa da molti occidentali non musulmani da una parte e da tanti musulmani, occidentali e non, dall’altra. Non mancano tuttavia tesi ed esperienze opposte. Dopo la fine dell’Impero ottomano e la fondazione della Turchia kemalista, costituzionalmente laica, nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale le élite politiche dei neonati Stati postcoloniali aderiscono a un progetto di laicità sui generis, al contempo legato alle tradizioni islamiche dei Paesi eppure tributario di volta in volta — nella logica della guerra fredda — della separazione tra Stato e Chiesa francese e americana, di per sé non antireligiosa, o di quella sovietica e maoista, il cui ateismo cede davanti all’imperativo della solidarietà anticapitalista. È la storia dell’Egitto di Nasser e del Sudan di Nimeiry. Nel decennio tra la sconfitta araba nella guerra dei Sei giorni e la presa del potere khomeinista nel 1979, decolla la teologia politica islamica, frutto del fallimento nell’importazione della modernità laica. Bisogna scommettere sul radicamento socio-culturale nell’islam e sul recepimento costituzionale dei princìpi della sharia, come avviene con l’emendamento alla Costituzione egiziana del 1980. Il trentennio che segue sfida la laicità. Nei Paesi musulmani francofoni, il termine laïcité è ormai associato a una minaccia neocoloniale anti-islamica. Nei Paesi un tempo sotto controllo britannico, come il Sudan, prospera il revival islamico. In India si assiste alla trasformazione della laicità in strumento di un nazionalismo induista sempre più ostile ai musulmani. Dopo la fine del comunismo sovietico, l’islamizzazione dello Stato sembra il destino dei Paesi arabo-musulmani, paralizzati dal braccio di ferro tra movimenti islamisti ed establishment autoritario. Dal canto loro, le Repubbliche centrasiatiche post-sovietiche propagandano il modello di uno Stato laico capace di contenere gli islamisti radicali e di soddisfare i bisogni della maggioranza musulmana. In Occidente la laicità cambia per rispondere alle domande di una società secolarizzata e multiculturale. In quel cambiamento, il fattore islam diviene decisivo: si influenzano persone e idee, nell’interscambio crescente tra Paesi musulmani e occidentali; sperimentano sulla laicità imam e studiosi, politici e funzionari. Pesano la mobilitazione di un islam sempre più globale, e le inquietudini delle comunità nel Vecchio Continente, a cui nel 1994 dà voce il trentenne Tariq Ramadan, futura stella delle nuove generazioni di musulmani europei, con il suo volume Les musulmans dans la laïcité. La laicità è abbracciata, rigettata, reinventata, oltre la specificità dei contesti e dei concetti, oltre il rigore del linguaggio e dei contenuti. Se in Occidente essa può proteggere il velo o vietarlo, ospitare l’islam o bandirlo, imporre la parità tra le fedi o rafforzare i privilegi delle maggioranze cristiane, tutto è possibile per una comunità islamica in continuo divenire. Nei giorni scorsi, Al-Jazeera ha trasmesso un film sull’islamizzazione del Sudan. Vi si menziona l’impiccagione nel 1985 di Mahmoud Mohammed Taha, reo d’una interpretazione liberale delle fonti sacre. L’eredità dell’apostata Taha è sopravvissuta nell’allievo An-Na’im. Nei dieci anni seguiti alla prima edizione del 2008, il suo testo è stato tradotto in arabo e in indonesiano, in bengali e in farsi, in urdu, in russo e in turco. Sulle strade dell’islam globale, la partita della laicità resta aperta: tanto più dopo il dramma dello Stato islamico in Siria e Iraq, è vivo l’ideale di uno Stato laico garante della libertà dei musulmani, e dei diritti di tutti.

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