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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.07.2019 Due libri: un po'di yiddish e un po' di spionaggio
Recensiti da Alessandro Piperno, Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 luglio 2019
Pagina: 23
Autore: Alessandro Piperno-Davide Frattini
Titolo: «Cattivissima Perele sei così affascinante-Troppo ebrei per essere arabi troppo arabi per essere ebrei»

Riprendiamo da LETTURA- CORRIERE della SERA di oggi, 28/07/2019, due recensioni, di Alessandro Piperno a pag.23, di Davide Frattini a pag.35

Alessandro Piperno: "Cattivissima Perele sei così affascinante"

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Alessandro Piperno

Ah, le donne cattive! Come resistere al loro fascino? E non contentiamoci di megere di quarta categoria, mezze tacche spregevoli e triviali; sono ben altre le donne cattive di cui siamo in cerca: dignitarie votate all'intrigo, volubili manipolatrici, piccole ipocrite piene di tatto la cui grazia taciturna cela riserve inesauribili di fiele e risentimento. Eccole qui, le lunatiche dagli occhi biliosi, in preda a frequenti capogiri e ad altrettanto miracolosi rinvenimenti. Tocca a loro, dame circospette ma prive di misericordia, ossessionate dal prestigio sociale e dalla vendetta, occupare lo scranno più alto nel magico regno della narrativa borghese. A ben pensarci, non solo borghese, tenuto conto che dietro c'è sempre Lady Macbeth, la regale signora cui dobbiamo il vademecum della donna cattiva così ben sintetizzato dal celebre adagio: Look like the innocent flower, but be the serpent under 't!. Fingiti il fiore innocente, ma sii il serpente che sotto vi si nasconde. E sempre bello trovarne una, di donna cattiva, dove proprio non saresti andato a cercarla, sotto un rigoglioso cespuglio calpestato dalla furia omicida della storia. E proprio lì che l'ho scovata — nella fiorente dinamica comunità ebraico-ortodossa di Grodno/Horodne (Europa Orientale), all'inizio del secolo scorso — alle prese con beghe che dire profane è dire poco. e II suo nome è Perele ed è la contegnosa protagonista de La moglie del rabbino di Chaim Grade, tra i massimi narratori yiddish del Novecento. Con questo romanzo, pubblicato all'inizio degli anni Settanta, Grade, lituano di nascita, newyorchese d'adozione, sopravvissuto alla sua famiglia interamente sterminata dai nazisti, evoca il mondo perduto; e lo fa spietatamente, con sfacciata verve realistica e satirica, insomma per dirla con Anna Linda Callow (autrice dell'incantevole traduzione) senza alcun «romanticismo nostalgico». A offrire lo scenario storico-ideologico-dottrinario ci pensa l'atavica controversia del cassidismo orientale, con i sionisti da un lato e dall'altro i loro pugnaci avversari. Ma per l'appunto è uno sfondo — se non proprio un pretesto — su cui brilla, giganteggia e intriga lei, Perele: figlia di un famoso rabbino e fidanzata per qualche tempo (prima di essere scaricata) con Moshe Mordechai, il talmudista più geniale della sua generazione. Per mettere su famiglia, l'ambiziosa Perele ha dovuto ripiegare su Uri Zvi Kenigserg, onesto rabbino di provincia la cui vita precipita quando la volitiva consorte, espletati i doveri coniugali e materni, lo elegge a strumento della sua vendetta. e Eh sì, perché da brava donna cattiva Perele non dimentica. Per questo non ha mai smaltito, fino a farne un'ossessione, ciò che considera l'oltraggio originario: essere mollata a pochi centimetri dall'altare da un futuro grand'uomo, con l'umiliazione supplementare di doverlo cedere a una donnetta priva di tempra e ambizioni. Naturalmente non si sente in alcun modo responsabile dell'affronto subito. È tipico delle donne cattive non assumersi le proprie responsabilità e incolpare gli altri. Non ce n'è una che non sia convinta di poter contare su un credito illimitato nei confronti della sorte e della vita. Che non sia cocciutamente persuasa di meritare un risarcimento. E che, in nome di tale sacrosanto indennizzo, non si riconosca il diritto di agire nel modo più risoluto e spregevole. Perele non fa eccezione. Incline all'auto-indulgenza, ama celebrarsi: «C'erano forse altre mogli più dedite al proprio marito di lei? Aveva sempre trepidato per lui ancor più che per i figli. Lo sapeva molto bene, meglio un marito di paglia che figli d'oro». Resta comunque il fatto che per lei sono tutti colpevoli, a cominciare dal padre. «Cercò qualcuno a cui imputare la sua amarezza e alla fine decise che era tutta colpa del suo defunto padre. Fin da bambina gli aveva sentito dire che il mondo era diviso in due: da una parte il popolino e dall'altra gli studiosi. E questi ultimi erano divisi in tre categorie: gli studiosi ordinari, i dotti e i grandissimi. Niente lo entusiasmava più di quando poteva dire di qualcuno: «Un gaòn! Un genio!». E così era cresciuta nella convinzione e il desiderio di meritare come sposo un uomo del genere. Perfino ora che era nonna e Rabbi Moshe Mordechai ormai nell'altro mondo non poteva dimenticare che avrebbe dovuto essere suo marito, ma invece non lo era stato». La rabbia di Perele non si esaurisce certo in questa specie di sdegno postumo. Lei ne ha per tutti. A cominciare dal povero marito, reo di non essere ciò che non è, e quindi di essere ciò che è: un riservato studioso senza grilli per la testa, o per usare il gergo della stessa Perele: tutt'al più un dotto, niente di più. Le donne cattive sono forze della natura, come tali inarginabili, imprevedibili, spaventosamente incomprensibili. E Rabbi Kenigserg è il primo a farne le spese: la moglie, con le sue smanie, i suoi progetti, i lunghi silenzi spezzati da inconsulte reprimende, gli sfugge come un'anguilla. «Non conosceva neanche un passo dell'intero Talmud così intricato e pieno di contraddizioni come le parole e gli atti della sua valorosa consorte». Del resto, tutti provano a ribellarsi ai machiavellici piani della nostra perfida eroina: anzitutto la figlia che sin da piccola non le ha mai obbedito, peccato che Perele la consideri una massaia indolente trascurata; eppoi i due figli maschi apparentemente risolti che la madre ritiene volgari bottegai, filistei senza nerbo e rigore. Nessuno può niente contro i suoi giudizi sommari. Le donne cattive sono implacabili. Ed è proprio l'implacabilità a renderle così infelici e insoddisfatte. Sarà per questo che godono della nostra comprensione inconsulta, della nostra filiale, amorevole dedizione. Sarà per questo che non possiamo farne a meno.

Davide Frattini: " Troppo ebrei per essere arabi troppo arabi per essere ebrei"

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Davide Frattini

I baffi che portavano non erano finti, li avevano lasciati crescere come i loro nonni e i loro padri. Parlavano l'arabo senza accento, lo avevano imparato in famiglia. Le prime spie di una nazione che ancora non esisteva erano chiamate mista'arvim (quelli che diventano come gli arabi). Sono i progenitori degli agenti israeliani — kefiah a coprire il volto, la maglietta fuori dai pantaloni a nascondere la pistola — che oggi s'infiltrano nei territori palestinesi e che sono i protagonisti della serie tv Fauda. Il libro di Friedman si concentra su 20 mesi (a partire dal gennaio 1948, quando sembrava che gli eserciti dei Paesi arabi avrebbero vinto la guerra per impedire la nascita dello Stato ebraico) e su 4 uomini, i primi a formare l'unità speciale. Ebrei arrivati dalla Siria o dallo Yemen, uno di loro nato nella Palestina sotto mandato britannico, erano guardati con sospetto anche dai commilitoni, che a volte non nascondevano il razzismo: la loro squadra fu all'inizio chiamata con il termine dispregiativo la Sezione Nera (per poi cambiarlo in Alba) e a questi agenti non era permesso dormire nei kibbutz, che facevano da basi militari, perché le «donne non corressero pericoli». e Così Friedman usa la storia degli oo7 senza licenza (né diploma liceale) anche per ricordare il trattamento riservato ai mizrahim, ebrei nati nelle nazioni arabe, da parte dei pionieri arrivati dall'Europa (i «bianchi», allora il go% della popolazione), una situazione che non sarebbe migliorata neppure quando cominciarono a immigrare in massa. Gli episodi spionistici non hanno la sofisticazione dei marchingegni a disposizione di James Bond, piuttosto l'ingenuità e improvvisazione di chi l'agente segreto non l'aveva mai fatto: denominare con il termine poco criptico i Cedri — come l'albero simbolo del Libano — la cellula trasferita in segreto a Beirut o i tentativi di ammazzare con i capperi un predicatore musulmano. I messaggi venivano trasmessi a una casella postale di Haifa senza sotterfugi. Friedman affronta anche il dilemma della doppia identità sempre presente per chi deve operare sotto copertura, ancora più intricato per il gruppo: «Pretendevano davvero di essere arabi o pretendevano di essere non arabi che pretendevano di essere arabi?». Trascurati ai margini della società che si stava formando, vengono trascinati al centro degli eventi, un conflitto in cui avrebbero potuto perdere tutto, anche la possibilità di tornare, seppure in una bara: «Israele non era stata fondata, se fossero scomparsi, nessuno avrebbe potuto trovarli, forse neanche andare a cercarli»

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