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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.06.2019 Lenin il dittatore: crolla un mito duro a morire
Analisi di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 giugno 2019
Pagina: 43
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «Lenin fu il vero padre del Gulag. L’anima totalitaria del bolscevismo»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/06/2019, a pag. 43, con il titolo " Lenin fu il vero padre del Gulag. L’anima totalitaria del bolscevismo", l'articolo di Antonio Carioti.

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Antonio Carioti

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Vladimir U. Lenin, degno padre di Stalin

Karl Marx sosteneva che «l’emancipazione della classe lavoratrice deve essere opera dei lavoratori stessi». Ma il russo Vladimir Uljanov, noto con lo pseudonimo di Lenin, pur proclamandosi seguace fedele del filosofo tedesco, la pensava diversamente. Costretto a lasciare il suo Paese, era disgustato dalle tendenze riformiste crescenti nel movimento operaio internazionale. E si convinse che i lavoratori di propria iniziativa non avrebbero mai maturato un’autentica visione rivoluzionaria: destinati ad abbattere il capitalismo per instaurare un nuovo ordine fondato sull’eguaglianza, secondo la profezia di Marx, non erano tuttavia consapevoli della propria missione storica. Nell’opuscolo del 1902 Che fare?, l’opera in cui Lenin pose le basi della cultura politica comunista, si legge che «la moderna coscienza socialista può essere portata all’operaio solo dall’esterno». Quindi occorre creare un partito disciplinato di quadri dediti a questo compito, i «rivoluzionari di professione», per guidare i lavoratori nella lotta di classe.

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La copertina (BUR ed.)

Su questa linea Lenin, ricorda Victor Sebestyen nella biografia in edicola da oggi con il «Corriere», non esitò a spezzare l’unità del Partito socialdemocratico russo, al Congresso in esilio del 1903, creando una propria corrente estremista (poi divenuta forza politica autonoma), i bolscevichi, contrapposta a quella moderata dei menscevichi. Lenin, il cui fratello maggiore Aleksandr era stato impiccato per aver cospirato contro lo zar, era mosso da una passione rivoluzionaria divorante, unita alla fede dogmatica nel trionfo del socialismo attraverso la soppressione della proprietà privata e del mercato. Per raggiungere tale obiettivo era disposto a tutto, anche a tentare la sorte in un Paese come la Russia, in teoria ancora troppo arretrato per collocarsi all’avanguardia sulla via del progresso. La Prima guerra mondiale gli offrì l’occasione propizia. Da una parte mandò in pezzi l’Internazionale socialista dominata dai gradualisti, poiché i partiti che ne facevano parte scelsero in genere di appoggiare i rispettivi governi nel conflitto. Dall’altra creò una generale assuefazione alla violenza e soprattutto mise alle corde l’Impero russo sotto i colpi della più moderna macchina bellica tedesca. Una situazione critica nella quale Lenin poté inserirsi con il proposito di «trasformare la guerra imperialista in guerra civile»: i proletari in divisa avrebbero dovuto volgere le armi contro i loro sfruttatori. Il crollo della monarchia all’inizio del 1917, con la Rivoluzione di febbraio, gettò la Russia nel caos. Il nuovo governo provvisorio avrebbe voluto proseguire la guerra, ma il Paese era esausto. E in quel frangente Lenin, tornato in patria con l’aiuto dei tedeschi, giocò d’azzardo con estrema abilità. Reclamò tutto il potere per i soviet, i consigli degli operai, dei contadini e dei soldati, ma in realtà la sua sfiducia nelle masse non venne mai meno: ne assecondò le pulsioni ribellistiche finché gli servirono per impadronirsi del governo con la Rivoluzione d’ottobre, poi non esitò a reprimerle. Quando i russi elessero un’Assemblea costituente in cui i bolscevichi erano in minoranza, Lenin la sciolse. E istituì subito la Ceka (futuro Kgb), organismo poliziesco incaricato di spargere il terrore fra gli oppositori. Aveva scritto che anche una cuoca avrebbe potuto dirigere lo Stato sotto il socialismo, ma nei fatti governò con il ferro e il fuoco. La «dittatura del proletariato», equivoco concetto formulato da Marx, non poteva che essere, nell’accezione di Lenin, la dittatura dei rivoluzionari di professione, cioè il potere assoluto del suo partito e della sua persona. Ne scaturì inevitabilmente un’atroce guerra civile, mentre l’espropriazione della borghesia e la messa al bando del mercato si traducevano nel disastro economico: per sfamare le città fu necessario attuare requisizioni forzate di generi alimentari nelle campagne, alle quali seguì, anche per ragioni climatiche, la terribile carestia del 1921-22. Quando Lenin venne colpito dal primo ictus, nel maggio 1922 (sarebbe morto un anno e mezzo dopo), il regime bolscevico aveva già assunto le fattezze totalitarie che il suo allievo e successore Stalin avrebbe poi accentuato. È fuorviante quindi giustificare i delitti del sistema sovietico adducendo gli ideali di giustizia a quali si richiamava verbalmente. La pretesa di possedere la verità sul corso della storia e l’idea titanica di dirigere l’intera società attraverso una pianificazione dettagliata dell’economia, annientando ogni iniziativa privata, sono vizi strutturali e congeniti del bolscevismo, che comportano una lotta spietata alla libertà umana. Il Gulag non è stato un caso o una deviazione, bensì la conseguenza logica della politica di Lenin. Tanto è vero che gli stessi effetti si sono prodotti sotto i regimi di matrice comunista a ogni latitudine. La Russia, che ne paga ancora le spese, non ha celebrato per nulla, due anni fa, il centenario della rivoluzione bolscevica. Molti lo hanno fatto invece in Occidente, al riparo di quel capitalismo liberale di cui godono i benefici, pur continuando a esecrarlo.

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