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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.05.2019 Salone del Libro: no a un codice etico, il contrario dello Stato di Diritto
Commento di Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 maggio 2019
Pagina: 27
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Un codice etico? Lontano dai libri»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/05/2019 a pag.27 con il titolo "Un codice etico? Lontano dai libri" il commento di Pierluigi Battista.

Sono le dittature ad adottare un "codice etico" per decidere chi e che cosa ammettere e chi no. Nessun codice del genere può regolare l'accesso a una rassegna come il Salone del Libro di Torino. Ci auguriamo che il direttore Nicola Lagioia, a differenza degli ignoranti postulanti, rspinga la proposta, spiegandone il vero significato.

Ecco l'articolo:

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Pierluigi Battista

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Speriamo in un ripensamento, in un soprassalto di razionalità che scacci via la tentazione di un «codice etico» da applicare ai libri come criterio di discriminazione. Speriamo davvero che ci sia il tempo di non dar corso alla proposta, forse dettata dallo stress della mobilitazione sull’editore fascista da mettere al bando, di imporre la camicia di forza di un «codice etico» che dovrebbe vidimare con piglio autoritario gli ingressi di libri e persone nel «Salone del libro» di Torino: un’arena di libertà e di spirito critico che si trasforma in un mesto ufficio di passaporti culturali da distribuire con logiche del tutto arbitrarie. Il codice etico dovrebbe stare lontano dai libri, per principio innanzitutto. Ma anche perché si trasformerebbe immediatamente in uno strumento discrezionale, iniquo, capriccioso, fonte di faziosità infinita. Con quale criterio stabilirebbero la compatibilità etica di un libro o di un editore? Sarebbe poco etico un libro fascista? E uno che inneggia a Stalin o a Mao e ai massacri immani delle Guardie Rosse al suo servizio? E se si discrimina una casa editrice perché il suo proprietario si è reso responsabile di atti decisamente poco etici, in quale categoria morale potrebbe rientrare una casa editrice fondata dal capo delle Brigate Rosse? E «Lolita» di Nabokov risponde ai criteri etici arbitrariamente fissati da una commissione occhiuta, oppure via, da respingere assieme all’editore che se ne voglia fare megafono. E a Céline, incidentalmente autore di uno dei romanzi più importanti del Novecento e incidentalmente anche parecchio fascista, glielo diamo il cartellino per potere partecipare al Salone del libro o dobbiamo sottoporre i suoi discendenti al rito dell’autocritica etica? Anc he i libri considerati «blasfemi» da qualche autocrazia fondamentalista, inoltre, potrebbero essere esclusi dai commi del lugubre codice: attento Salman Rushdie. E se la Cina chiedesse di sottoporre a condanna etica qualche scritto a favore del Dalai Lama o del Tibet martoriato, come comportarci? Speriamo davvero che non se ne faccia niente, che si lasci stare l’etica e si pensi soltanto ai libri, che sono libri validi solo se sono scritti senza ipocrisie e riserve mentali dai loro autori. Che il Salone del libro resti una festa o non un luogo dell’intolleranza e dell’autocensura. Speriamo, davvero...

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