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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.04.2019 Algeria, le proteste contro il dittatore Bouteflika: 'Riprendetevi la salsiccia!'
Cronaca di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 aprile 2019
Pagina: 12
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Primavera ad Algeri»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/04/2019, a pag. 12, con il titolo "Primavera ad Algeri", il commento di Francesco Battistini.

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Francesco Battistini

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Abdelaziz Bouteflika

Riprendetevi la salsiccia. Sulle bancarelle della Didouche Morad, lo struscio tra fiori e uccellini in gabbietta, si regalano ai passanti fette di cachir. Il salsicciotto di pollo che imbottisce un panino come si deve e non può mancare in un corteo come Rivoluzione comanda: grosso quanto un manganello, insaccato di rosso-passione, il cachir è il marchio di fabbrica di questa Primavera araba last minute . Lo donavano gli uomini di Abdelaziz Bouteflika nel 2014, una bella salsiccia per convincere la gente a votare la quarta volta un presidente già ridotto a un vegetale. L’agitano ovunque i ragazzi che protestano, da quando l’82enne e semidemente Boutef ha osato ricandidarsi per il quinto mandato. Sulle bancarelle, il cachir è gratis: «È il simbolo della corruzione — affetta con furia Lotfi Bellahsene, improvvisato salumaio —. Rappresenta il consenso che ci hanno rubato. Si può comprare lo stomaco d’un popolo, non la sua anima». Animo, Algeri. È un mese e mezzo che va così, e ogni venerdì fa più impressione del precedente. Slogan inequivocabili per il vecchio presidente, «Ali Boutef e i quaranta ladroni!»: solo ieri ha finalmente annunciato che se ne andrà entro il 28 aprile, scadenza del mandato. Cartelli chiari per il generale Gaid Salah, capo dell’esercito e di molto altro, l’uomo che ancora decide e che la settimana scorsa aveva chiesto d’interdire Bouteflika per infermità totale: «Questi cortei sono il nostro Gaid Pride!».

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Cachir algerino (una salsiccia di manzo o pollo)

L’Algeria ci ha preso gusto e va in piazza sempre: il lunedì gli avvocati, il martedì gli architetti, poi gli studenti, gli artisti… Davanti al teatro e al Mausoleo dei martiri, sulla costa e nelle città del deserto. Venerdì scorso, un milione solo nella capitale: «Un canto della nostra indipendenza dice che “dalle montagne sale l’aspirazione alla libertà” — commenta la sociologa Fatma Oussedik —, ma qui è diverso: stavolta è la borghesia cittadina a muoversi». Folle che non si vedevano dalla rivolta contro i francesi. E che il presidente, al potere dal ’99, ha provato a fermare coi lacrimogeni, con gli aumenti ai poliziotti, con finte concessioni, con un governo rimpastato. Inutilmente: «Adesso che Bouteflika è finito, bisogna vedere se finisce anche il sistema», dice Omar Belhouchet, 65 anni, fondatore della più temuta voce d’opposizione, El Watan. Il suo giornale ha 200 processi, s’è visto chiudere la sede, gli han tolto la pubblicità e bruciato una rotativa: «Mi preparavo alla pensione — scherza —, non speravo più di vedere un momento così. Anche se qualche segnale c’era. L’estate scorsa, quando decine di nostri migranti sono morti sui barconi per la Spagna, lo choc è stato enorme. Ricordo le mamme che gridavano maledizioni mai sentite: i pesci mangiano i corpi dei nostri figli, noi mangiamo quei pesci, ma che cos’è diventato questo Paese che potrebbe avere tutto e ci costringe a nutrirci dei nostri cadaveri?...». Il perché proprio ora, ha molte ragioni e una su tutte: «Finché il petrolio era a 120 dollari il barile, il regime è riuscito a scansare le primavere arabe. Distribuiva soldi a pioggia, giocava sulla paura della guerra civile Anni 90: qui abbiamo dato prima di tutti, col terrorismo. L’aria però è cambiata e anche se gli islamisti, se tentano d’infilarsi nella protesta, rimangono una minoranza isolata. C’è un’occasione unica per cambiare tutto». Indietro non si torna. «Per anni — racconta Said Salhi, 46 anni, Lega per i diritti umani —, siamo stati costretti a dirci le cose sui social. Ora possiamo gridarle. È la vittoria della strada sulla Rete. Il ritorno della politica con le persone, non con gli account». Un cartello vicino alla Grande Poste dice «Boutef sei il Titanic, affonderai!»: i primi topi fiutano già aria pesante, il regime tenta il repulisti e una ventina d’ex fedelissimi è riparata in Francia, in Italia, a Dubai. Il ricco Ali Haddad, presidente di Confindustria, ha pubblicamente scaricato Boutef ed è stato arrestato a un posto di frontiera con la Tunisia, mentre tentava la fuga con passaporto britannico. «Non credo che Bouteflika andrà all’estero — dice Belhouchet — e nessuno lo tratterà come un Gheddafi. Ma il suo entourage, con lui o senza di lui, avrà dei problemi a rimanere qui»: a partire dal fratello del presidente, gran trafficone, per arrivare a sette manager indagati per corruzione e altri 150 rimasti senza passaporto. A che ora finisce la rivoluzione? Un leader, i cortei non l’hanno ancora espresso: ci sono un avvocato dei diritti civili, un’attrice di teatro, giornalisti… L’Algeria non ha una classe dirigente azzerata, com’è stato in Tunisia o in Egitto. «Ma i nomi che circolano, servono solo a essere bruciati», è sicura Fatma. Il potere petro-militare tenta la transizione morbida, fa sparire tutti i ritratti del presidente, punta su vecchi arnesi come l’ex presidente Zeroual. «Ormai sarà difficile rimettere il dentifricio nel tubetto», grida la piazza: tolto il dente Bouteflika, fin dov’è arrivata la carie del regime?

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