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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.03.2019 Gaza: proteste contro la dittatura dei terroristi di Hamas, violenti e corrotti
Commento di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 marzo 2019
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Voglio vivere: l'urlo soffocato della gioventù contro Hamas»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/03/2019, a pag.15 con il titolo "Voglio vivere: l'urlo soffocato della gioventù contro Hamas" il commento di Davide Frattini.

Finalmente sul Corriere della Sera una analisi diffusa sulla proteste degli abitanti di Gaza, non contro Israele ma contro la dittaura di Hamas.


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Davide Frattini

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Una manifestazione contro Hamas a Gaza

«Mi chiamo Merei Abu Samra. Puoi scriverlo, tanto qui il nome è come non averlo, gli animali hanno più diritti». Deve restare a letto per un altro mese, la gamba spezzata dalle bastonate, disteso a fumare e rimuginare, a rivedere sul telefonino i video di quel pomeriggio: la gente che scende per la via principale di questo villaggio palestinese e urla slogan semplici come semplice suona la richiesta «Vogliamo vivere». È pretendere troppo, almeno secondo i fondamentalisti che spadroneggiano a Gaza da dodici anni. I miliziani sparano in aria per disperdere la folla, prendono a sprangate, entrano nei palazzi a frantumare le finestre e l’orgoglio. Succede qui a Deir El Balah, si ripete a Bureij, Jabalya, Rafah: le zone più povere, dove la disperazione supera la paura delle botte e delle torture. Le proteste cominciate a metà marzo sono andate avanti per dieci giorni, il fiume delle prime manifestazioni lentamente prosciugato dalla repressione. L’80 per cento delle famiglie nella Striscia dipende per sopravvivere dagli aiuti delle Nazioni Unite, la disoccupazione è al 53 per cento, quella giovanile raggiunge il 70. Più che l’appello lanciato su Facebook a spingere gli abitanti in strada sono stati gli aumenti dei prezzi: il pane, i pomodori, le sigarette costano il doppio e tutti sanno che è colpa anche delle tasse volute da Hamas. Gli organizzatori hanno tra i 22 e i 27 anni e continuano a provarci. Ibrahim non è più tornato a casa da due settimane, dorme da chi lo ospita e gli lascia caricare il computer per aggiornare la pagina simbolo della ribellione. «I cortei ripartiranno, ma è difficile. Appena un piccolo gruppo si forma, irrompono gli sgherri di Hamas», racconta. In totale hanno arrestato un migliaio di persone, gli ultimi sono stati rilasciati da poco, il rischio di guerra con Israele ha spostato la tensione. «Ho 29 anni, sono senza lavoro, che cosa devo fare?», chiede Merei. Restare chiuso in casa, rimanere zitto: è quello che gli ha ordinato la polizia politica dopo averlo liberato, cinque giorni in una cella con altre settanta persone. «Non mi hanno neppure dato il referto medico, devo pagarmi tutte le medicine». Per il ministero della Sanità non è successo niente, nessun documento ha registrato il passaggio dei feriti negli ospedali. I burocrati del regime aggiornano con costanza solo le liste dei loro «martiri», i 195 morti e i quasi 7 mila feriti centrati dai proiettili dei cecchini israeliani. Oggi il gruppo che controlla la Striscia celebra l’anniversario di questa sua Grande marcia. I generali dei servizi segreti egiziani hanno mediato fino all’ultimo perché il conflitto non diventi totale, dopo che lunedì scorso un razzo palestinese ha colpito una casa a nord di Tel Aviv e i jet israeliani hanno bombardato la Striscia. Il governo di Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di ammassarsi attorno a questa scatola di sabbia: chiede che i cortei restino lontani dalla barriera, che Hamas fermi i lanci di aquiloni e palloncini armati di bottiglie incendiarie, in sostanza che il confine ritorni alla calma relativa di un anno fa. Yahiya Sinwar e gli altri capi dell’organizzazione stanno cercando di alleggerire l’embargo, sanno di non poter più imputare la miseria solo al controllo sui valichi imposto da israeliani ed egiziani. Il poster appeso al muro ritrae Osama Al Kahlout che stringe le mani ai notabili di Hamas. Lo festeggiano per una foto scattata durante la Grande marcia. Osama di lavoro fa il giornalista e vive a Deir El Balah. Questa volta non lo hanno premiato: ha trasmesso le proteste in diretta su Facebook, la violenza delle brigate Ezzedin Al Qassam, qualcuno con indosso la mimetica, la maggior parte in borghese, il volto coperto dal passamontagna nero: «Poche ore dopo hanno fatto irruzione nel mio appartamento, mi hanno picchiato e trascinato giù per le scale, trattenuto per tre giorni. Il ministero degli Interni ha negato che i dimostranti fossero in carcere. In qualche modo è vero: siamo stati buttati nelle celle delle Brigate». Assieme a lui c’erano due avvocati, raccoglievano le testimonianze, cercavano di documentare gli abusi, anche loro sono stati malmenati e portati via dai soldati irregolari di Hamas. Le organizzazioni locali per la difesa dei diritti umani hanno condannato gli attacchi contro i manifestanti e smontato la teoria complottista che accusa i rivali del Fatah, la fazione del presidente Abu Mazen, di fomentare la rivolta: «Le manifestazioni erano pacifiche, bisogna garantire la libertà di espressione». L’organizzazione internazionale Human Rights Watch accusa i fondamentalisti di «repressione brutale»: «Chi osa criticare viene detenuto anche per poche ore. Picchiato, minacciato, terrorizzato: deve imparare a non infastidire il potere».

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