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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.03.2019 Un film e un libro da non perdere
Recensione di Maurizio Porro, anticipazione del nuovo romanzo di Daniel Silva

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 marzo 2019
Pagina: 49
Autore: Maurizio Porro - Daniel Silva
Titolo: «Gainsbourg: una mamma invadente - Un nuovo fiore all'occhiello di Allon»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/03/2019, a pag. 49, con il titolo "Gainsbourg: una mamma invadente", la recensione di Maurizio Porro; dal GIORNALE, a pag. 22, con il titolo "Un nuovo fiore all'occhiello di Allon", un'anticipazione del nuovo romanzo di Daniel Silva.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Maurizio Porro: "Gainsbourg: una mamma invadente"

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Maurizio Porro

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La locandina, il romanzo è uno dei più interessanti di Romain Gary, in italiano da Neri Pozza ed.

La promessa dell’alba, titolo del romanzo scritto da Romain Gary nel ‘60, è alla madre che gli prepara e controlla tutti i sogni: dovrà essere scrittore, eroe, ambasciatore e donnaiolo. Lo scrittore, suicida nel 1980, ha mantenuto la parola e il film ne mostra l’odissea dalla Polonia antisemita anni 20 (la madre era ebrea lituana) al periodo in pieno sole di Nizza, poi guerra e Inghilterra, Africa, Messico, perseguitato dal fantasma del dovere edipico. Il film di Éric Barbier circumnaviga tutti i generi stile vintage, scoppiettante nella prima parte, sparando a salve nella seconda, ma assecondando l’attenzione. Storia di un complesso che Dassin filmò con Mercouri e Dayan (1970) mentre qui è la Gainsbourg che impazza invadendo il campo del bravo Pierre Niney.

 

IL GIORNALE - Daniel Silva: "Un nuovo fiore all'occhiello di Allon"

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Daniel Silva - la copertina (HarperCollins ed.) appena uscito, da leggere tutti i precedenti

Non ci sarebbe stato nulla di tutto ciò - la ricerca disperata del traditore, le alleanze difficili o le morti inutili - se non fosse stato per il povero Heathcliff. Era la loro figura tragica, la loro promessa infranta. Alla fine, si sarebbe dimostrato l'ennesimo fiore all'occhiello di Gabriel. Detto questo, Gabriel avrebbe preferito che Heathcliff fosse ancora vivo: non capitava di incontrare tutti i giorni risorse valide quanto lui; poteva accadere una sola volta nel corso di una carriera, due volte era un'eventualità rarissima. Lo spionaggio era fatto così, si lamentava Gabriel. La vita stessa era fatta così. Heathcliff non era il suo vero nome; era stato generato a caso da un computer, o per lo meno così sostenevano i suoi superiori. Il programma aveva appositamente scelto un nome in codice che non avesse la minima somiglianza con quello vero, né con la nazionalità dell'agente o il campo in cui lavorava. E ci era riuscito. L'uomo a cui era stato attribuito il nome di Heathcliff non era un trovatello né un inguaribile romantico. E non era nemmeno acido, vendicativo o di indole violenta. In realtà, non aveva nulla in comune con l'Heathcliff della Brontë, a parte la carnagione scura, dato che la madre proveniva dall'ex repubblica sovietica della Georgia. La stessa repubblica, sottolineava lei con fierezza, del compagno Stalin, il cui ritratto era ancora appeso nel salotto del suo appartamento di Mosca. Tuttavia, Heathcliff parlava e leggeva l'inglese senza alcun problema ed era un appassionato di romanzi vittoriani. Anzi, aveva accarezzato l'idea di studiare Letteratura inglese prima di tornare in sé e di iscriversi all'Istituto di lingue straniere di Mosca, considerato la seconda università più prestigiosa dell'Unione Sovietica. Il suo consulente di facoltà era un talent scout dell'SVR, il servizio di intelligence internazionale, e, una volta ottenuta la laurea, Heathcliff era stato invitato a entrare nell'accademia dell'SVR. Sua madre, ebbra di gioia, aveva sistemato fiori e frutta fresca davanti al ritratto del compagno Stalin. «Ti sta osservando» gli aveva detto. «Un giorno, sarai un uomo con cui la gente dovrà fare i conti. Un uomo da temere.» Ai suoi occhi, quella era la massima aspirazione per chiunque. Servire all'estero in una rezidentura, una stazione dell'SVR, dove reclutare e gestire spie nemiche, era l'ambizione di quasi tutti i cadetti. Era necessario un tipo particolare di agente per svolgere quell'incarico: doveva essere sfrontato, sicuro di sé, loquace, dinamico e scaltro, un seduttore nato. Heathcliff, purtroppo, non disponeva di nessuna di tali qualità, così come non possedeva gli attributi fisici richiesti per alcuni dei compiti più sgradevoli dell'SVR. Aveva però una grande predisposizione per le lingue - parlava bene il tedesco e l'olandese, oltre che l'inglese - e una memoria che, persino per gli standard elevati dell'SVR, era ritenuta eccezionale. Gli fu data la possibilità di scegliere, una rarità nel mondo gerarchico dell'SVR. Avrebbe potuto lavorare alla Centrale di Mosca come traduttore oppure operare sul campo come corriere. Scelse la seconda opzione, firmando così la propria condanna a morte.

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