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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.03.2019 Criticare George Soros non è sintomo di antisemitismo
Una grave disinformazione nel commento di Giulio Giorello, Corrado Sinigaglia

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 marzo 2019
Pagina: 35
Autore: Giulio Giorello, Corrado Sinigaglia
Titolo: «Le differenze valgono quanto il sapere»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/03/2019, a pag. 35, con il titolo "Le differenze valgono quanto il sapere", il commento di Giulio Giorello, Corrado Sinigaglia.

Criticare la politica di George Soros (che appoggia l'immigrazione indiscriminata e finanzia numerose Ong, tra cui anche alcune contro Israele) non significa cadere nell'antisemitismo. Criticare invece Soros perché ebreo oppure farlo utilizzando stereotipi antisemiti è un gravissimo errore. E' quindi indispensabile fare questa distinzione per evitare di considerare antisemitismo anche quello che non lo è.

Ecco l'articolo:

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Giulio Giorello, Corrado Sinigaglia

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George Soros

Colpisce l’immagine di Alain Finkielkraut che guarda attonito i volti carichi d’odio dei gilet gialli mentre lo ricoprono di insulti antisemiti in nome del «popolo di Francia». Non tanto, o non soltanto, perché ci restituisce lo sguardo sconcertato di un uomo che non comprende la follia che ha di fronte. Quanto, semmai, perché rivela, con la potenza che solo le immagini sanno avere, la violenza e insieme la viltà di un attacco a un «ebreo», destinato a rimanere «errante» e, dunque, privo qualsiasi diritto di cittadinanza. Poco importa che Finkielkraut sia un volto noto e che abbia scritto questo o quel libro a difesa di questa o quell’idea. L’attacco alla sua persona e alle sue idee non è che il sintomo di un malessere diffuso e profondo che investe le ragioni stesse di una società tollerante e aperta. Non abbiamo bisogno di ricordare gli innumerevoli episodi che si sono succeduti negli ultimi mesi: uno fra tutti, il boicottaggio sistematico, da parte del premier ungherese, Viktor Orbán, della Central European University fondata guarda caso da un altro «ebreo», George Soros. In gioco è la possibilità di una convivenza civile che difenda la libera espressione delle differenze, consentendo a ciascuno di esplorare le proprie potenzialità e i propri limiti. È come nell’impresa scientifica: ognuno ha diritto di parola e di critica, a patto che rispetti le regole del gioco, prima fra tutte quella per cui la ricerca vive delle critiche altrui. Tutto questo costa fatica, e non mancano imperfezioni e insuccessi. Non conosciamo, però, un modo migliore per garantire una libera fioritura umana. Ogni volta che apertura e tolleranza sono state compromesse, ne sono seguiti disastri. Non dobbiamo dimenticarlo. Come non dobbiamo dimenticare che la libertà della tolleranza tutto è tranne che arrendevolezza o compiacenza. Chi la conosce è pronto a difenderla in ogni occasione, con una tenacia non diversa da quella profusa in campo scientifico da ogni buon ricercatore che non sopporta che la scienza venga piegata da questo o quel potere estraneo. Non ci si illuda che tutto questo sia affare di una élite, e che il «popolo», come oggi ci si compiace di dire, possa farne a meno. L’élite e il popolo non sono che maschere dietro cui si nasconde la paura della libertà.

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