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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.03.2019 In un libro la storia dell'orchestra rossa antinazista
Recensione di Corrado Stajano

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 marzo 2019
Pagina: 34
Autore: Corrado Stajano
Titolo: «Senz'armi contro Hitler»

 Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/03/2019, a pag.34 con il titolo "Senz'armi contro Hitler" la recensione di Corrado Stajano al libro "Orchestra Rossa" Archinto ed.

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Libertas Schulze-Boysen

"Amo il mondo, non provo odio « contro nessuno, ho l'eterna primavera! Non tormentarti per ciò che eventualmente si sarebbe potuto fare e non è stato fatto, per questo o quell'altro — il destino ha preteso la mia morte. Io stessa l'ho desiderata. E se vuoi fare ancora qualcosa per me: porta nel cuore tutte le persone che amo. Come ultimo desiderio, ho chiesto che ti sia lasciata la mia "materia". Seppelliscila, se si può, in un bel posto, in mezzo alla natura illuminata dal sole».
È la lettera che una ragazza tedesca, bionda e bella, di 29 anni, Libertas Schulze-Boysen scrisse alla madre Il 22 dicembre 1942 poco prima di entrare nella camera della morte del carcere di Berlin-Plötzensee, condannata alla ghigliottina dalla corte marziale del Reich nazista. L'eterna primavera, le parole della sua lettera amorevole e straziante, danno Il titolo al libro pubblicato da Archinto sull'«Orchestra rossa», uomini e donne di un gruppo di resistenza al nazismo, denominazione inventata dalla Gestapo.
L'autore è Nicola Montenz, filologo, grecista e musicista. (Suoi, tra l'altro, un saggio sulla musica e la politica degli anni hitleriani, sul Parsifal wagneriano e la cura della corrispondenza tra Gustav Mahler e Richard Strauss).
Dell'«Orchestra rossa» qui da noi si conosce poco. Si sa del movimento di resistenza dei giovani della Rosa Bianca, tra il giugno 1942 e il febbraio 1943, finito nel sangue; si sa, anche nei particolari, del fallito attentato al Führer degli alti ufficiali della Wehrmacht, al quartier generale di Rastenburg, il 20 luglio 1944, cui seguì una gragnuola di impiccagioni di feldmarescialli oltre che di suicidi obbligati, Rommel, per esempio; si sa — anche dai reportage di Vasilij Grossman, Uno scrittore in guerra (Adelphi) — della fine di Hitler, con i soldati russi arrivati dentro il bunker della Cancelleria del Reich a giocare nel suo studio, nel caos di stucchi, tappeti, quadri, tra la sua sedia e il tavolo zeppo di carte, di timbri, di souvenir, di libri a lui dedicati, con un enorme globo metallico, il mondo, come nel film di Chaplin, II grande dittatore.
Ma nell'autunno del 1942, anche se l'invasione dell'Unione Sovietica era fallita e le armate naziste si ritiravano sconfitte, la Germania di Hitler appariva ancora speranzosa sulle sorti della guerra e la Gestapo e il Servizio di sicurezza di Heinrich Himmler erano ossessivamente attenti a quel che succedeva nel fronte interno.
Libertas, nata a Parigi, era figlia di un professore dell'Accademia di Berlino e della contessa Victoria (Tora) zu Eulenburg. Il nonno materno era il principe Philipp zu Eulenburg Hertefeld, diplomatico, scrittore e musicista, amico del Kaiser Guglielmo II di Hohenzollern. Cresciuta in un ambiente colto e raffinato, vissuta a lungo nel castello di famiglia di Liebenberg, in Brandeburgo, Libertas scrisse poesie, romanzi.
Ragazza libera, spiritosa, con un fascino naturale, era appassionata di teatro, di cinema, di musica, amava soprattutto la fisarmonica. Conosceva le lingue, volle lavorare presto, addetta stampa della Metro-Goldwyn-Mayer a Berlino, poi critica cinematografica.
Da giovanissima le piacevano le camicie brune, le loro sfilate a passo dell'oca. Iscritta al partito, nel 1937 restituì pubblicamente e la tessera. La sua avversione al nazismo, il suo rifiuto erano iniziati ai tempi della promulgazione delle leggi razziali, nel 1933. Aveva vent'anni. Libertas non era il capo, se ci fu, dell'«Orchestra rossa», ma il suo nome, il casato, la personalità, lo spirito di indipendenza, la simpatia fecero di lei un simbolo.
A svegliare le coscienze, non molte, nella Germania degli ultimi anni Trenta del Novecento, furono l'antisemitismo indecente, gli orrori della Notte dei cristalli — centinaia di sinagoghe incendiate nel 1938, migliaia di botteghe e di case di ebrei distrutte, assassinii, saccheggi. Quel che accadeva in quegli anni, aveva inquietato nel profondo le minoranze consapevoli. Tra gli strangolati del 22 dicembre 1942, nel gruppo in cui rifulgeva Libertas, ci furono un diplomatico, un consigliere di governo di alto grado, uno scultore, un giornalista, un ufficiale della Luftwaffe, marito della ragazza. Donne e uomini antinazisti si riunivano Il giovedì sera e anche in altri giorni in un gruppo ristretto. Che cosa facevano poi? Scrivevano testi antihitleriani, messaggi, rischiosi appelli, li distribuivano pericolosamente. Non avevano armi. Possedevano anche delle radio, spesso poco funzionanti. Cercavano continuamente di allargare la loro cerchia, con qualche errore di valutazione. Presero contatto con le ambasciate sovietiche.
Di qui l'accusa di alto tradimento. Borghesi dall'anima democratica non avevano certamente il miraggio di instaurare una dittatura staliniana: furono accusati proprio di questo: di essere spie al servizio di Stalin. Il loro progetto era semplicemente di cercare interlocutori in grado di aiutare chi ripudiava Il nazismo e il suo sistema criminale.
La presenza nel «complotto» di persone di estrazione sociale, politica, religiosa differente turbava Hitler: non poteva tollerare che il dissenso al regime si diffondesse nell'alta borghesia, nell'aristocrazia, all'interno delle strutture di governo.
E nel mondo culturale: l'attrice Marta Wolter che aveva recitato testi di Brecht, lo scultore Kurt Schumacher, la famosa danzatrice Oda Schottmüller, lo scrittore Günther Weisenborn. Libertas, imprigionata, peccò di ingenuità.  Con la sigla Gestapo, abbreviazione di Geheime Staatspolizei (Polizia segreta di Stato), era noto l'apparato repressivo creato dal governo nazista nel 1933 per colpire gli oppositori politici.
Affidata a uomini delle SS, in guerra la Gestapo estese la sua attività ai territori occupati dal Terzo Reich. Si fidò di una donna, una spia che le era stata messa accanto nella cella, fece fatalmente un nome, quello di Hans Coppi e mandò un messaggio alla madre con altri nomi. La donna, Gertrud Breiter, fu ricompensata con 5.000 marchi, una decorazione e le felicitazioni di Himmler.
Nel dopoguerra visse tranquillamente, diede anche interviste ai rotocalchi.
Fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, i superstiti dell'«Orchestra rossa» nella Germania dell'Ovest furono considerati dei traditori, segnati a dito, tormentati, angariati.
Il libro di Nicola Montenz riempie un vuoto. Non è un saggio, per la sua struttura e per il linguaggio, è piuttosto una ricerca narrata, documentata allo spasimo, ricca di un'infinità di fatti e di personaggi. Turba il cuore il contrasto tra le belle estati di tanti giovani protagonisti del libro, le loro gite in barca a vela sui fiumi e sui laghi del Brandeburgo, i picnic sull'erba e quell'urlo del direttore della prigione di Berlin-Plötzensee con al fianco i due assistenti del boia in frac e guanti bianchi: «Carnefice, compia il suo dovere».

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