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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.01.2019 Siria: lo Stato islamico colpisce a Manbij, almeno 24 morti (4 americani)
Cronaca di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 gennaio 2019
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Attacco agli Usa in Siria, l’Isis rivendica»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/01/2019, a pag.15 con il titolo "Attacco agli Usa in Siria, l’Isis rivendica" il commento di Davide Frattini.

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Davide Frattini

I primi cinquanta americani, tutti uomini delle forze speciali, sono stati dispiegati in Siria alla fine del 2015. Mescolati alla popolazione locale, le case dei villaggi come basi di reclutamento: per mettere insieme le forze di curdi (soprattutto) e arabi che li aiutassero a ripulire la zona dalle milizie nere dello Stato Islamico. Missione che Donald Trump ha proclamato «compiuta» per annunciare qualche settimana fa il ritiro — in totale i militari sono arrivati a 2 mila, — nel giro di 30 giorni.

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La scena dopo l'attentato

La fretta di andarsene non può che essere rallentata da una strage come quella di ieri: una pattuglia che i portavoce definiscono «di routine» è il bersaglio, i caduti sono 4 (due militari, un civile dipendente del dipartimento della Difesa e un contractor), le strade di Manbij devastate dall’esplosione, i civili ammazzati una ventina. I boss dello Stato Islamico rivendicano: il kamikaze è stato addestrato e mandato da noi. La scelta dei tempi e dell’obiettivo vuole mandare il messaggio «siamo ancora qui». È quello che i consiglieri del presidente americano — l’annuncio del ripiegamento li ha colti di sorpresa e ha spinto l’ex generale James Mattis alle dimissioni da capo del Pentagono — provano a suggerire: la smobilitazione non può avvenire troppo in fretta, si rischia il caos. Il vicepresidente Mike Pence a poche ore dall’attacco ribadisce: «Lo Stato Islamico è crollato, non permetteremo che rialzi la testa».

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L'esplosione ripresa da una telecamera

La smobilitazione Venerdì scorso è iniziato il trasloco dei materiali annunciato pubblicamente Venerdì scorso è cominciato il trasloco dei materiali ed è stato annunciato pubblicamente per dimostrare che le parole pronunciate da Trump in una telefonata con Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, erano già diventate un ordine operativo. I russi — che spadroneggiano in Siria dopo aver garantito la sopravvivenza a Bashar Assad — e gli strateghi fondamentalisti sembrano però sospettare che gli americani resteranno ancora a lungo. In effetti fonti militari statunitensi — citate dal New York Times — spiegano che per proteggere il ritiro sarà necessario far crescere il numero di soldati coinvolti nella province verso il confine con la Turchia. E lo scorso novembre — fa notare sempre il New York Times — i jet americani hanno condotto 1424 bombardamenti, il 60 per cento in più rispetto al mese precedente. La prova delle armi che il pericolo rappresentato dallo Stato Islamico continua a essere giudicato alto. Di sicuro dai curdi che si ritroverebbero a fronteggiare da soli le squadracce del Califfato e la minacciata offensiva turca. «I miliziani dello Ypg sono terroristi quanto quelli dello Stato Islamico», ha avvertito Erdogan. Che ha lasciato trapelare i dettagli dell’intesa studiata con gli americani: una fascia cuscinetto sulla frontiera, lunga 460 chilometri e profonda 32, dove garantire un ritorno protetto ai profughi della guerra siriana. Soprattutto permetterebbe ad Ankara di spezzettare il sogno curdo di un territorio unico tra Iraq, Siria, Turchia.

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