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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.01.2019 I 2.500 capolavori rubati dai nazisti agli ebrei durante la Shoah: in 20 anni restituiti solo 54
Commento di Paolo Valentino

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 gennaio 2019
Pagina: 19
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «I 2.500 capolavori rubati dai nazisti agli ebrei in mano al governo tedesco»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/01/2019, a pag.19, con il titolo "I 2.500 capolavori rubati dai nazisti agli ebrei in mano al governo tedesco" il commento di Paolo Valentino.


Risultati immagini per Vaso di Fiori» di Jan van Huysum
Una delle migliaia di opere rubate:
«Vaso di Fiori» di Jan van Huysum

Più di 70 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale il governo tedesco è ancora in possesso di migliaia di opere d’arte, quasi sicuramente rubate dai nazisti in Germania e in tutta l’Europa, in grandissima parte a famiglie ebraiche. Come ha confermato il ministero delle Finanze tedesco a Bild Zeitung, sono esattamente 2.500 i capolavori non ancora restituiti ai legittimi proprietari che attualmente si trovano in musei statali, nei ministeri o nel deposito federale delle opere d’arte di Weissensee, a Berlino. La notizia emerge sull’onda delle rinnovate polemiche suscitate dall’appello del direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Schmidt, che ha chiesto la restituzione del «Vaso di Fiori» di Jan van Huysum, un olio del Settecento trafugato al museo fiorentino dalle truppe hitleriane e attualmente in possesso di una famiglia tedesca. Ma se nel caso del dipinto olandese siamo di fronte a un privato, con tutte le difficoltà legali di una eventuale restituzione, in quello del governo tedesco c’è anche un problema di azione insufficiente e di lentezza burocratica. Non che Berlino non abbia fatto o faccia nulla per attivarsi nella ricerca dei proprietari o dei loro eredi. Nell’agosto del 2018, la Germania ha rinnovato il suo impegno a rispettare e tradurre in pratica i cosiddetti accordi Washington, firmati nel 1998, in cui 40 nazioni si impegnarono a far luce sull’arte rubata dai nazisti in guerra e a rintracciare gli eredi per restituire «in tutti i casi nei quali è possibile» le opere trafugate. «La soluzione dei furti d’arte dei nazionalsocialisti è un dovere permanente, in particolare per la Germania. Noi non abbandoneremo questa responsabilità», aveva dichiarato la ministra federale per la Cultura, Monika Gruetters. Gli accordi di Washington non comportano alcuna regola giuridicamente vincolante, ma si basano sulla volontà politica dei Paesi che vi aderiscono. Anche perché, secondo il codice civile tedesco, la restituzione non è obbligatoria essendo passati più di 35 anni. Il problema è che in venti anni, sono stati restituiti appena 54 tra dipinti e sculture. Attualmente, sempre secondo informazioni della Bild, il governo tedesco ha in corso trattative per la restituzione di una dozzina di opere. Poco rispetto alla mole del deposito. Lunedì scorso, la ministra Gruetters ha personalmente consegnato agli eredi il «Ritratto di una giovane donna seduta» del pittore francese Thomas Couture, appartenuto a un ex ministro dell’Interno francese Georges Mandel, condannato all’ergastolo dal regime collaborazionista di Vichy. L’opera faceva parte della collezione di Cornelius Gurlitt, il mercante d’arte che l’aveva ereditata dal padre, il quale grazie ai suoi rapporti con i gerarchi nazisti era riuscito ad impossessarsi, spesso pagandoli pochissimo, di centinaia di capolavori, fra cui opere di Max Liebermann, Chagall, Picasso, Otto Dix, Emil Nolde e Ernst Ludwig Kirchner. Forte di oltre 1.200 lavori, venne scoperta per caso nel 2012 durante una ispezione fiscale in un appartamento di Monaco di Baviera e in seguito sequestrata dalle autorità tedesche. Da sola, la collezione Gurlitt ha praticamente raddoppiato il numero delle opere d’arte rubate ora nella disponibilità del governo tedesco. Secondo gli storici, furono almeno 5 milioni le opere d’arte sottratte dai nazisti ai loro proprietari, soprattutto ebrei, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma per anni in Germania il tema è stato tabù. A musei e case d’asta non interessò mai la provenienza delle opere, pur di assicurarsele.

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