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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.01.2019 I Fratelli Musulmani avanzano in Tunisia
Commento di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 gennaio 2019
Pagina: 13
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Via il francese dalle insegne di Tunisi: 'Vogliamo uno stile arabo classico'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/01/2019, a pag. 13, con il titolo "Via il francese dalle insegne di Tunisi: 'Vogliamo uno stile arabo classico' ", il commento di Francesco Battistini.

I fratelli musulmani avanzano in Tunisia. L'obiettivo è chiaro: cercare di trasformare il Paese, come già accaduto in Turchia con Erdogan, in un paese sempre meno libero e sempre più islamista. Non è per caso che la sindava di Tunisi appartenga al partito legato ai Fratelli Musulmani

Ecco l'articolo:

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Francesco Battistini

Si va in uno dei tanti restaurant della Medina o ci s’attovaglia al mat’am ? E se avete un appuntamento importante alla Porte de France, che fare: meglio un bel taglio dal coiffeur o scriminarsi dall’ halla ? E quando c’è da guardare lo struscio sulla Bourghiba, v’accomodate al café o vi pigliate un bel qahwa ? Tunisi ha un grande problema da affrontare, e non è il traffico. Non è nemmeno il rientro dei tremila jihadisti dalla Siria e dalla Libia. Né l’emigrazione dei barconi verso la Sicilia o la disoccupazione giovanile al 40 per cento, che ha scatenato le rivolte d’inizio gennaio. Macché: «Dobbiamo affrontare la grave questione della nostra identità araba!», ha alzato il pugno la sera di Capodanno il consigliere comunale Ahmed Bouazzi, fratello musulmano del partito Ennahda, perorando la sua proposta: «Dobbiamo eliminare ogni forma di colonialismo gollista!».

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Souad Abderrahim, sindaca diTunisi accelera la islamizzazione

E dunque, ai voti: volete voi che tutti i negozi della capitale abbiano d’ora in poi le insegne scritte in arabo, anziché in francese? Lo vogliono. All’unanimità, confidando nel fatto che il 31 dicembre i tunisini avessero altro per la testa, la sindaca e il consiglio comunale di Tunisi hanno preso la storica decisione. Via tutte quelle boucherie che macellano la carne e la lingua, basta con le pubbliche toilette messe in strada a lordare le nostre tradizioni. Che si scriva sempre e solo in arabo. E non ci si stupisca: «Il centro deve avere il suo look tunisino puro — era il programma elettorale di Souad Abderrahim, 53 anni, farmacista e islamica, amante della “libertà, sì, ma nella tradizione”, prima donna chiamata lo scorso luglio a governare la capitale —. Vogliamo uno stile arabo classico, che diventi lo specchio del Paese». Qualcuno, zelante, s’è già adeguato. Ma sono molti a protestare: «Identità, non stupidità», è una chat con migliaia di condivisioni. «Siamo una città turistica in crisi — reclamano i commercianti — e dopo gli attentati, perché crearci altri problemi?».

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Il simbolo della Fratellanza musulmana

E poi: come tradurre i nomi francesi di pasticcerie o boutique ormai storiche? E che fare dei marchi globali, tipo Mc Donald’s? Il clamore di questi giorni ha spiazzato gli islamici, molti dei quali sostengono l’arabizzazione come primo passo per allontanare la Tunisia dalla sua vocazione mediterranea, e reso cauta la sindaca: «L’applicazione dell’ordinanza non sarà immediata», minimizza ora «Souad Palin» — come l’americanizzano i detrattori, paragonandola per conservatorismo all’ultrà repubblicana Sarah Palin — e comunque «l’arabizzazione non sarà automatica, ma rifletterà l’esatto significato delle insegne. Per i marchi particolari, troveremo soluzioni diverse…». A novembre si vota ed è così che si spiega la piccola retromarcia last minute. Ma la questione è aperta e non è solo tunisina. Nella vicina Algeri, la scorsa settimana, ha fatto chiasso l’elezione d’una Miss Algeria «troppo africana»: razzismo social rovesciato su una bella ragazza scura di pelle che viene dal confine col Mali — «sembra Ronaldinho», no, «è la figlia di James Brown» —, ma pure una rivendicazione d’arabismo di tre algerini su quattro che chiedono (stando a un sondaggio) l’espulsione dal Paese di tutti i non arabi. «Non capisco le polemiche», dice la sindaca di Tunisi, che per difendersi s’appella perfino all’epoca dell’odiato Ben Ali: «Simili decisioni venivano prese già negli anni ‘90…». La storia tutto sommato è dalla sua parte: è dall’anno Mille che ai tunisini fu data un’identità araba. Anche la legislazione scolastica: l’arabo s’impara fin dall’asilo, il francese solo dalla terza elementare, il berbero mai. E pure la Rivoluzione: dopo il 2011, l’arabo è rimasto la lingua ufficiale con l’articolo 38 della nuova Costituzione che raccomanda di sostenere l’identità arabo-musulmana. «Ma di quali radici parliamo?», si chiede un editorialista, Sadok Bussaiem: «In Tunisia si usa il maghribi, un dialetto: molti giovani oggi non sanno né l’arabo classico, né il francese». E in fondo è lo scrittore algerino Boualem Sansal a chiarirlo, che «il francese va bene se devi chiacchierare, con l’arabo ordini le cose»: dai bottegai sfaccendati di Tunisi, dove nessuno ha da spendere, ordinare qualcosa è l’ultima cosa.

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