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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.12.2018 A 80 anni dalle leggi razziste a Torino: gli ebrei depredati, perseguitati, uccisi
Commento di Barbara Notaro Dietrich

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 dicembre 2018
Pagina: 10
Autore: Barbara Notaro Dietrich
Titolo: «Le vite depredate nell'Italia razzista»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA, ed.torinese, a pag.10 con il titolo "Le vite depredate nell'Italia razzista" il commento di Barbara Notaro Dietrich.

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Barbara Notaro Dietrich

 

E sì, la Shoa. E sì la perdita della vita e magari prima, atroci, indicibili dolori. Mala vita intesa come dignità, e anche come mera sopravvivenza, non era più tale per gli ebrei italiani dal settembre 1938. Cacciati da scuola, che la frequentassero o vi insegnassero, cacciati dalla pubblica amministrazione, spessissimo da aziende private, impedito loro di salire su un autobus, entrare in un bar, sedersi su una panchina. Costretti a disfarsi dei beni di proprietà o a venderli per mangiare o tentare di oltrepassare il confine, spesso depredato dai passeur, che in moltissimi casi li denunciavano subito dopo per riscuotere la taglia. Rarissimamente chi è tornato, o i suoi eredi, sono rientrati in possesso dei loro beni, dovendo pure pagare interessi o spese di gestione. O perché si erano volatilizzati o perché non restituiti. La prima commissione di indagine, presieduta da Tina Anselmi (che disse: «Una realtà enormemente più ampia di quanto la commissione potesse attendersi»), si è formata nel 2001. Di tutto questo ancora si sa troppo poco. Gli italiani non solo si sono girati dall'altra parte, ma primi loro, poi con i tedeschi, hanno partecipato attivamente alla grande razzia, all'enorme annichilimento e agli omicidi. Di Torino era Primo Levi, come Natalia Levi, sposata Ginzburg, come gli Ovazza e i Tedeschi, come la prima donna direttore di manicomio, nonché prima a parlare di educazione sessuale, Luisa Levi. Famiglie note di cui molto si sa. Nel libro di Fabio Isman da poco uscito per il Mulino, «1938. L'Italia razzista» sono molte però le storie di ebrei piemontesi. Come quella degli Jona, i cui beni mobili e immobili, già prima della guerra ascendenti a molti milioni, vennero saccheggiati e dispersi; il danno è forse uno dei maggiori di cui venne colpita una famiglia ebrea italiana.

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Il campo di concentramento di Fossoli

Gli Jona spariti Oggi in via Filangieri 4, alla Crocetta, cinque «pietre d'inciampo» ricordano l'intera famiglia che non c'è più. L'unico rimasto fino al 1954 era Remo. Era un avvocato assai conosciuto. Durante la guerra, tutti si erano rifugiati in Val d'Aosta, a Issime. Arrestati i17 dicembre '43: lui, la moglie Ilka Dorina Vitale, e i figli Ruggero Achille e Raimondo Luigi, dodici e sette anni. «Non fu estraneo Rudy Lerch, giovane di Gressoney che conosceva i passaggi per la vicina Svizzera, probabile responsabile della denuncia a morte della famiglia Ovazza, nella strage di Meina», dice un verbale del tribunale che lo condanna a morte: la sola sentenza del genere in Corte d'appello; Lerch sarà l'ultimo giustiziato in Val d'Aosta: fucilato 116 novembre 1945. Ma gli Jona non erano già più lì: dal carcere di Aosta, vanno a Fossoli e il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Un convoglio di 650 deportati: 489 identificati e solo 24 tornati. Anche Remo, che si ritrova senza più nessuno.

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Tre pietre d'inciampo a Torino

Nemmeno giocare in piazza Nel 1946, Eugenio Norzi, presidente della Comunità di Torino, depone nel processo contro Renato Fracchia, di Alessandria. E racconta: «La cattura degli ebrei veniva compensata, dall'ufficio delle SS all'albergo Nazionale di Torino, con il versamento di cinquemila lire per ogni arresto. Le vittime venivano poi regolarmente spogliate dei valori che portavano: denari, gioie, orologi. Su tali valori, venivano distribuiti premi proporzionali a quanti avevano proceduto al fermo. Nessun dubbio sul fatto che il Fracchia abbia tratto dalla sua attività lucri veramente considerevoli: ne venne trovata indiretta conferma nell'arredamento del suo alloggio». Ma è un'altra la testimonianza che colpisce: «Da Villa Norzi, pochi mesi prima del bombardamento di Torino, si decide di andare a Moncalvo. Giocare in piazza era abbastanza pesante, per le grida di qualcuno: "Ebreo, ebreo". Il maresciallo dei carabinieri, per ordini superiori e con molte scuse, venne a sequestrarci la radio. Il lunedì andavo in treno ad Asti, per la lezione di violino; ne avevo due: spariti nel nulla; il più bello, pagato 500 lire, e l'archetto 70

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