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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.10.2018 Per l'Onu il velo islamico integrale non è un problema: ecco perché è segno di sottomissione
Davide Frattini intervista Fania Oz-Salzberger, cronaca di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 ottobre 2018
Pagina: 15
Autore: Davide Frattini - Stefano Montefiori
Titolo: «'Inutile colpire le ragazze, sono gli uomini il problema' - Velo integrale vietato, l’Onu boccia la Francia»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/10/2018, a pag.15, con il titolo "Inutile colpire le ragazze, sono gli uomini il problema" l'intervista di Davide Frattini a Fania Oz-Salzberger; con il titolo "Velo integrale vietato, l’Onu boccia la Francia", la cronaca di Stefano Montefiori.

Ecco gli articoli:

Davide Frattini: 'Inutile colpire le ragazze, sono gli uomini il problema'

Bene fa Fania Oz-Salzberger a proibire in classe - insegna all'Università di Haifa, dove la presenza di ragazze musulmane è grande - il velo integrale. Tanto più se consideriamo che la sua è una voce di sinistra.

Ecco il pezzo:

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Davide Frattini

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Fania Oz-Salzberger

Ad ascoltarla nell’aula dell’università di Haifa dove insegna Filosofia politica ci sono tante ragazze musulmane, qualcuna indossa il velo sulla testa, seduta vicino a un’araba in jeans e maglietta. «Tra i musulmani le studentesse sono ormai un quarto in più dei maschi. Ed è un segnale fantastico», commenta Fania Oz-Salzberger. Figlia del romanziere Amos Oz — con lui ha scritto Gli ebrei e le parole. Alle radici dell’identità ebraica — in quella che è considerata la città della convivenza si occupa anche dei rapporti tra Israele e l’Europa. Spiega: «L’idea di laicità francese è molto diversa dal secolarismo qui in Israele, per esempio quello della famiglia in cui sono stata educata e cresciuta. La laïcité contiene anche una celebrazione dell’ateismo in quanto tale. Qui da noi un laico è in grado di provare un profondo rispetto per la religiosità ebraica perché la considera parte dello stesso mosaico che compone la sua identità. In generale c’è tolleranza e accettazione verso chi indossa il velo o si copre i capelli come indicano le norme ebraiche». Nel 2010 un gruppo di parlamentari e di attiviste aveva cercato di far passare una legge che mettesse al bando la copertura totale. In Israele il niqab resta permesso, salvo chiedere che il velo sia sollevato per i controlli di sicurezza. «Eppure è inusuale incrociare una donna — continua Oz-Salzberger — che indossi il burqa. Se una mia studentessa dovesse presentarsi a lezione con il volto nascosto, troverei difficile accettarlo: ho bisogno di vedere la faccia di una persona per poter creare il contatto umano». Lo impongono le famiglie musulmane più oltranziste ed è diffuso tra gli adepti di una setta ebraica. «Il problema sono gli uomini: i padri, i mariti, i fratelli. I bandi, le leggi, dovrebbero colpire loro. Non le ragazze che restano prese in mezzo. A loro bisogna dare la forza di rifiutare obblighi inaccettabili».

 

Stefano Montefiori: "Velo integrale vietato, l’Onu boccia la Francia"

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Stefano Montefiori

Sonia Yaker, oggi 44enne,francese musulmana, il 6 ottobre 2011 è stata fermata dalla polizia per strada a Nantes e multata di 150 euro perché portava il niqab, l’abito tradizionale islamico che copre tutto il corpo, viso compreso, lasciando scoperti solo gli occhi. Miriana Hebbadj, come lei 44enne francese musulmana, è stata controllata sempre a Nantes pochi giorni dopo, il 21 novembre, ed è stata a sua volta multata di 150 euro per la stessa ragione. L’avvocato delle due donne, Roger Kallas, ha fatto ricorso all’Onu e ieri il Comitato dei diritti umani gli ha dato ragione, dichiarando che «la Francia ha violato i diritti umani delle due donne quando le ha multate perché portavano il velo islamico integrale». Si tratta di una condanna priva di effetti vincolanti, che però riveste un valore politico non trascurabile proprio nel momento in cui la Francia, in opposizione all’America di Trump, è impegnata a rilanciare il multilateralismo e a difendere la legittimità delle organizzazioni internazionali. Il Comitato, composto da 18 giuristi indipendenti (due dimissionari) tra i quali l’italiano Mauro Politi, chiede alla Francia di inviare entro 180 giorni un rapporto, raccomanda di «compensare» le ricorrenti e di prendere misure che evitino il ripetersi di casi simili in futuro, compresa la modifica o l’abrogazione della legge incriminata. La cosiddetta legge sul burqa, voluta dall’allora presidente Nicolas Sarkozy, venne approvata nel 2010 tra molti dubbi presto accantonati. Secondo l’ultimo sondaggio del Pew Research Center, il 51% dei francesi pensa che sia giusto impedire alle donne di coprirsi il volto, e negli ultimi anni il dibattito semmai ha riguardato l’ipotesi di allargare alle università il divieto di segni religiosi visibili (per esempio il velo) già in vigore nelle scuole in seguito all’altra legge del 2004. È molto improbabile quindi che la Francia si conformi alle richieste del Comitato dei diritti dell’uomo, che è stato creato per vigilare sul patto sui diritti civili del 1976 firmato anche da Parigi. «Le nostre decisioni non contestano il principio di laicità e non cercano di promuovere un costume che molti in seno al Comitato, me compreso, considerano una forma di oppressione contro le donne», ha dichiarato il presidente del Comitato, l’israeliano Yuval Shany. Quel che viene giudicato eccessivo è il divieto assoluto, che «non permette di assicurare un equilibrio ragionevole tra l’interesse generale e le libertà individuali». Il Comitato dei diritti dell’uomo è composto da 18 esperti che si esprimono a titolo individuale, cioè non rappresentano gli Stati di appartenenza. Oltre al presidente israeliano Shany i componenti sono il francese Olivier de Frouville, l’italiano Mauro Politi e giuristi di Paraguay, Tunisia, Lettonia, Usa, Egitto, Sudafrica, Mauritania, Canada, Uganda, Grecia, Portogallo, Suriname, Germania. Il giapponese e il montenegrino si sono dimessi quest’estate e non sono stati ancora sostituiti. «La nostra analisi non è politica ma giuridica — dice la lettone Ilze Brands Kehris —. Noi pensiamo che gli Stati possano esigere dalle persone che scoprano il loro volto in circostanze specifiche, per esempio per un controllo di identità. Ma in Francia la proibizione nello spazio pubblico è generalizzata, troppo radicale. Queste donne così vengono tenute ai margini della società, confinate in casa, e viene loro negato l’accesso ai servizi pubblici». Si stima che il divieto del burqa e del niqab in Francia riguardi all’incirca 2000 donne.

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