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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.10.2018 Investimenti in ricerca e sviluppo e sicurezza del Web: Israele all'avanguardia
Analisi di Davide Frattini, Martina Pennisi intervista Menny Barzilai

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 ottobre 2018
Pagina: 45
Autore: Davide Frattini - Martina Pennisi
Titolo: «A caccia della grande idea. Così Israele alleva il futuro - Le maglie della rete»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/10/2018, a pag.45, con il titolo "A caccia della grande idea. Così Israele alleva il futuro" il commento di Davide Frattini; a pag. 44, con il titolo "Le maglie della rete", l'intervista di Martina Pennisi a Menny Barzilai, esperto israeliano di sicurezza del Web.

Ecco gli articoli:

Davide Frattini: "A caccia della grande idea. Così Israele alleva il futuro"

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Davide Frattini

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Le villette intonacate di bianco sarebbero dovute diventare un villaggio, una comunità di pionieri ebrei arrivati qui per coltivare la terra. La speranza del barone Edmond de Rothschild si è realizzata sulla collina di fronte, dove ancora oggi Zichron Yaakov è abitato: i viali alberati con i lampioni di ferro battuto a ricordare le strade europee lasciate indietro da quei primi immigrati. Le camerate di Meir Shfeya restano invece spoglie come agli inizi del ‘900. Durante l’anno scolastico ospitano gli allievi di un istituto di agronomia, tra luglio e agosto i ragazzi da tutto il mondo che partecipano in turni di 2 settimane ai seminari di Big Idea: è come aver preso il classico campeggio estivo per trasformarlo in un avviamento intensivo alla tecnologia e all’innovazione. I corsi vanno dalla creazione di videogiochi alla produzione di oggetti con stampanti 3D, allo studio dei codici di programmazione. Immersi tra gli ulivi, il mare all’orizzonte. Gli istruttori, poco più adulti degli allievi, raccontano le loro esperienze in quella che è diventata la Silicon Valley sul Mediterraneo, una fascia ad alta densità cibernetica che si sviluppa lungo la costa, con al centro Tel Aviv. Israele — calcola la rivista finanziaria Forbes — conta ormai più aziende quotate al Nasdaq (la borsa della tecnologia a New York) di qualunque altro Paese, eccetto Usa e Cina. La maggior parte sono concentrate in questi 60 chilometri, dove i surfisti inseguono le onde migliori e gli investitori «the Next Big Thing», la prossima grande invenzione. Che spesso è il risultato di teste addestrate da un’unità speciale una volta segreta e ormai tra i simboli dell’innovazione israeliana. È identificata dal numero 8.200, si occupa di cybersicurezza, guerra elettronica, spionaggio digitale: cerca nuove soluzioni a vecchi problemi militari. Sempre Forbes stima che almeno un migliaio di start-up, negli ultimi anni, siano state lanciate dai veterani della squadra: come Waze (applicazione per navigare al meglio il traffico acquistata da Google per oltre 1 miliardo di dollari) o Check Point, pioniere nei software antivirus e antintrusione. L’esercito è il primo reclutatore di genietti e cerca di scovarli fin dal liceo, il servizio militare è obbligatorio: «Non ci basta che sappiano pensare fuori dagli schemi, vogliamo giovani fuori dagli schemi», racconta la maggiore Dana Shachar, incaricata dallo Stato Maggiore di creare una cyberaccademia, il tentativo di educare alla tecnologia tutti i corpi delle forze armate. Il legame tra tecnologia militare e innovazione ha anche il suo lato oscuro. Pochi giorni fa un’inchiesta del giornale Haaretz ha rivelato che strumenti di sorveglianza sviluppati per la lotta al terrorismo sono stati venduti da società private a dittature in giro per il mondo e usati per controllare gli oppositori. «La mia azienda — si giustifica, anonimo, uno degli amministratori delegati — distribuisce software per combattere i criminali. Non sono in grado di impedire che i miei clienti ne facciano un uso improprio». In generale, la spesa israeliana — per ricerca e sviluppo, in rapporto al Pil, come stabilisce l’ultimo rapporto sulla competitività globale del World economic forum — è la più alta al mondo. Nel futuro ha sempre creduto Shimon Peres e, in suo nome viene inaugurato, questa settimana, il nuovo centro per l’innovazione: presidente fino al 2014, ha contribuito a costruire una nazione che adesso è terza su 140 per numero di aziende capaci di plasmare idee «dirompenti». Questo «ecosistema» — spiega il World economic forum — è creato anche dalla durata degli studi (13 anni in media). Dai laboratori dell’università ebraica di Gerusalemme sono usciti i professori che hanno fondato MobilEye: l’occhio elettronico che vede nel futuro dell’auto senza guidatore è stato comprato da Intel per 15 miliardi di dollari.

Martina Pennisi: "Le maglie della rete"

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Martina Pennisi

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Menny Barzilai

Online c’è un suo Ted Talk risalente al 2014. Menny Barzilay, esperto di sicurezza informatica e responsabile tecnologico del dell’Interdisciplinary Cyber Research Center dell’Università di Tel Aviv, affermava: «Aziende straordinarie stanno creando ottimi strumenti che ci aiuteranno a condividere sempre più informazioni. Lo fanno perché capiscono il valore di possederne enormi quantità su di noi». Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, società di consulenza britannica che ha sfruttato in modo improprio i dati di 87 milioni di profili Facebook, siamo tutti (più) consapevoli del significato di questa affermazione e ci siamo resi conto di quanto sia collegata alla sicurezza informatica. L’assenza di quest’ultima, secondo il rapporto Clusit 2018, ha fatto nel 2017 un miliardo di vittime nel mondo. Nei soli Stati Uniti - secondo Norton - lo scorso anno più della metà della popolazione attiva online ha subito un’offensiva in Rete. Altri due dati: tre settimane fa è stato reso noto che hacker non ancora identificati hanno rubato informazioni sensibili, come la posizione o la cronologia delle ricerche, di 29 milioni di iscritti a Facebook. Intanto Google sta per chiudere il suo social network Google+ dopo essersi reso conto di aver esposto 500 mila profili ai malintenzionati.

La sicurezza totale in Rete è ormai un’utopia... «Il cento per cento di sicurezza è impossibile da raggiungere. Nei prossimi anni dovremo anzi aspettarci attacchi a un numero sempre crescente di società. Il problema è che c’è un’asimmetria intrinseca tra l’hacking e la sicurezza. Gli hacker devono riuscire a colpire una sola volta, mentre chi si occupa di sicurezza non può mai fallire. Poi: l’hacking è molto economico e puoi rompere tutto ciò che vuoi, la sicurezza è molto costosa e deve seguire molte regole. Ecco: diciamo che la sicurezza deve proteggere un pallone a mani nude mentre l’hacker ha in mano un ago».

Chiarissimo. Stiamo anche imparando a non pensare più agli hacker come a singoli criminali informatici in felpa con il cappuccio, ma a riconoscerli come parte di strutture più organizzate. Penso alle schermaglie fra Cina e Stati Uniti, ad esempio, con l’ultimo episodio dei chip spia inseriti nelle schede di Super Micro Computer. «È lecito attendersi che Stati Uniti e Cina intensifichino i loro sforzi e diventino più aggressivi l’uno verso l’altro. Il problema è che questo ostacolerà la fiducia nella tecnologia a livello globale. E senza fiducia nella tecnologia il mondo non va avanti. Il recente caso dei chip è un buon esempio: la maggior parte delle tecnologie che usiamo oggi hanno almeno una parte fabbricata in Cina. E adesso sono numerose le persone che non si fidano».

Oltre a provare a rimanere ottimisti come dobbiamo comportarci, in concreto? «Dobbiamo ricordarci, innanzitutto, che se qualcosa è online è potenzialmente a rischio ed evitare di archiviare in Rete informazioni delicate. Poi: bisogna stare attenti a ogni singolo clic, ne basta uno sbagliato per permettere a un hacker di assumere il controllo. Inoltre: usate sempre l’identificazione a due fattori per proteggere gli account, non riutilizzate la stessa password su più siti e bloccate lo smartphone con l’impronta digitale o il Pin».

D’accordo, mentre lo facciamo sul mercato sono arrivati gli smart speaker come Amazon Echo o Google Home. «Sono strumenti fantastici perché permettono di parlare con il computer usando il linguaggio naturale, rappresentano la prossima generazione di interfacce uomo-macchina. Sono però sempre accesi e si trovano in modalità di ascolto e analisi costante. E se si considera che possono essere usati per aprire la porta di casa o disattivare l’allarme ci si rende conto della loro potenziale pericolosità. Mi aspetto consapevolezza da parte delle persone e una integrazione oculata con fonti sensibili».

Pensa che le autorità dovrebbero regolamentare di più Internet? «Penso che debbano promuovere un futuro digitale più sicuro. E ritengo sia necessario avere una rete globale alternativa con un livello più elevato di sicurezza e supervisione per attività come il commercio elettronico, l’e-learning, i social network o l’accesso ai conti bancari».

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