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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.10.2018 Turchia: ergastolo agli scrittori che si oppongono a Erdogan
Commenti di Monica Ricci Sargentini, Elisabetta Rosaspina

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 ottobre 2018
Pagina: 16
Autore: Monica Ricci Sargentini - Elisabetta Rosaspina
Titolo: «Scrittori turchi, confermato l’ergastolo - 'Ma io non sono qui, le mie parole possono attraversare i muri della cella'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/10/2018, a pag.16, con il titolo "Scrittori turchi, confermato l’ergastolo", il commento di Monica Ricci Sargentini; con il titolo 'Ma io non sono qui, le mie parole possono attraversare i muri della cella', il commento di Elisabetta Rosaspina.

Ecco gli articoli:

Monica Ricci Sargentini: "Scrittori turchi, confermato l’ergastolo"

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Monica Ricci Sargentini

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Il sultano Erdogan

«Una sentenza che allontana la Turchia dall’Europa», così il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani aveva commentato lo scorso 16 febbraio la condanna all’ergastolo senza condizionale per sei scrittori e giornalisti molto noti tra cui Ahmet Altan, 68 anni, suo fratello Mehmet, 65 anni, la veterana del giornalismo turco Nazlı Ilıcak, 74 anni, e altri tre colleghi. In molti all’estero avevano sperato nell’appello e in questi mesi erano state numerose le campagne per la loro liberazione. Ieri sera, però, la doccia fredda: i giudici della corte d’Appello di Istanbul hanno confermato la pena di primo grado per «attentato all’ordine costituzionale» durante il tentato golpe del 15 luglio 2016. Ieri gli imputati hanno proclamato ancora una volta con forza la loro innocenza. «Il pubblico ministero non ha presentato nemmeno una prova sostanziale del perché avrei dovuto sostenere Fethullah Gulen (il predicatore islamico in esilio negli Usa accusato di essere il mandante del golpe fallito ndr)» ha gridato Ilicak. «Questo processo farsa è iniziato con i “messaggi subliminali” e ha raggiunto il suo culmine con l’incredibile definizione di “minaccia intangibile”. È questa la verità che dobbiamo affrontare» ha detto amaro Ahmet Altan che, a settembre, nel libro Ritratto dell’atto di accusa come pornografia giudiziaria aveva scritto: «A parte qualche mio articolo e un’unica apparizione in tv, l’imputazione di golpismo nei nostri riguardi si basa sulla seguente asserzione: si ritiene che noi conoscessimo gli uomini accusati di conoscere gli uomini accusati di essere a capo del colpo di Stato». Due le dichiarazioni sospette. «Qualsiasi siano stati i motivi che hanno portato in passato ai colpi di Stato militari in Turchia, prendendo le stesse decisioni Erdogan sta seguendo la stessa strada» aveva detto Ahmet in tv il 14 luglio 2016 mentre Mehmet aveva parlato di «un’altra struttura» all’interno del governo pronta ad agire. Parole che i pm e i giudici hanno considerato messaggi in codice per chiamare all’azione i seguaci di Gulen. In attesa di un probabile ricorso in Cassazione, i giudici hanno stabilito che gli imputati rimangano in cella, tranne Mehmet Altan che era stato rilasciato a giugno dopo un clamoroso braccio di ferro. La sentenza prevede un regime di totale isolamento con una sola ora d’aria al giorno, senza possibilità di fare esercizio fisico e con visite limitate dei familiari. «Non vedrò mai più il cielo», il libro appena uscito di Ahmet Altan, appare oggi ancora più vero.

Elisabetta Rosaspina: 'Ma io non sono qui, le mie parole possono attraversare i muri della cella'

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Elisabetta Rosaspina

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Ahmet Altan

«Potete mettermi in carcere, ma non potete tenermi in carcere. Io faccio una magia. Passo attraverso i muri», Ahmet Altan, 68 anni, conclude con queste parole il suo ultimo libro «Non rivedrò più il mondo» (appena pubblicato da Solferino Editore). Non esagera, quando scrive: «Sono uno scrittore. Non mi trovo né dove sono, né dove non sono». Le leggi della Fisica, in questi casi, non funzionano. Ma è un’evidenza elementare che sfugge a quasi tutti i regimi autoritari: uno scrittore in galera è un clamoroso autogol per il potere. Perché le parole riescono a superare le sbarre, in un modo o nell’altro, fosse pure dentro i tubetti di dentifricio che utilizzava il poeta spagnolo Marcos Ana, detenuto per 23 anni nelle prigioni franchiste, e liberato nel 1961 grazie alla prima campagna umanitaria di Amnesty International. Le parole di Ahmet Altan, allineate sulla carta con lucidità e precisione, superano anche i confini, visto che in Turchia non saranno probabilmente stampate (almeno per ora), e fotografano l’interno di uno dei penitenziari che da oltre due anni cercano di neutralizzare migliaia e migliaia di dissidenti, accusati o anche soltanto sospettati di aver tramato contro il presidente Recep Tayyip Erdogan. Militari, docenti (professori universitari e maestri di paese), magistrati, funzionari pubblici, giornalisti, rivali politici: la retata è durata mesi all’indomani dello strano e fallimentare golpe del 15 luglio 2016. Il resto del mondo ha protestato, poi ha girato lo sguardo. A ricordarci che le celle non si sono più riaperte per quanti, come lui, erano accusati di favoreggiamento attraverso “messaggi subliminali”, il diario di Ahmet Altan inizia dai preparativi per l’atteso momento della cattura, poco prima che la polizia bussasse alle 5.45 del mattino: «Mi infilai i vestiti da irruzione e andai alla porta». Era una calma routine, per lo scrittore, già sotto processo un centinaio di volte per le sue idee politiche. Ma quella volta era diversa. Quella volta si è sentito come il defunto che, in una leggenda islamica, tenta di sollevarsi e andarsene anche lui al termine del suo funerale, perché non sa di essere morto, ma sbatte la testa contro il coperchio della bara. Sono inimmaginabili, per chiunque non l’abbia provato, i pensieri che solcano la testa di chi è rinchiuso in pochi metri quadrati, assieme a un capitano di Marina e a un maestro elementare, senza sapere esattamente di cosa saranno chiamati a rispondere: «La mia vita sarebbe trascorsa combattendo battaglie invisibili fra mura di pietra; avrei dovuto sopravvivere aggrappato ai rami della mia mente sull’orlo dell’abisso, senza cedere neanche per un istante all’ebrezza disorientante della fragilità» scrive Altan. Eppure qualcosa può fargli perdere il controllo: «Il primo libro su cui riuscivo a mettere le mani dopo mesi mi fece impazzire. Mi strinsi il volume al petto e continuai a passeggiare avanti e indietro nel cortile sentendo le idee che mi sgorgavano nella mente e si scontravano le une con le altre». La fame, il freddo, la sporcizia, la mortificazione di fare la doccia con le calze ai piedi, per tentare di proteggersi dal «viscido lerciume» che ricopre il pavimento dei bagni, sono controbilanciati dal buon livello umano e culturale dei compagni di detenzione. Per non sbagliare, dopo una soffiata, la polizia ha arrestato tutti gli ufficiali di Marina che si erano diplomati nello stesso anno. La data della promozione era già un indizio. Attorno allo scrittore, prendono forma personaggi da romanzo, storie, caratteri, avventure, esperienze di vita vissuta che scorrono come fiumi invisibili davanti agli occhi degli agenti penitenziari, dei giudici, dei pubblici ministeri, concentrati sul codice penale e sul regolamento. Ma diventano materia prima preziosa nelle mani di un narratore. Diventano i protagonisti di un libro ricco di riflessioni sulla morte, sulla fede religiosa, sulla letteratura.

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