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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.10.2018 Shirin Ebadi: 'Dobbiamo lottare per la democrazia in Iran'
La intervista Viviana Mazza

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 ottobre 2018
Pagina: 4
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Dall’esilio semino la democrazia in Iran»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA Buone notizie di oggi, 02/10/2018, a pag.4, con il titolo "Dall’esilio semino la democrazia in Iran" l'intervista di Viviana Mazza.

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Viviana Mazza

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Shirin Ebadi

 

Io paragono la democrazia « a una pianta», ha detto Shirin Ebadi al Consiglio comunale di Milano riunito in seduta straordinaria lo scorso 21 settembre. «Va innaffiata e curata tutti i giorni. Se mettete tanta acqua e poi non la innaffiate per un mese, questa pianta morirà. La democrazia ha bisogno di essere guardata tutti i giorni. Se non tenente d'occhio la vostra democrazia, la perderete. E io spero tanto che la vostra pianta di democrazia rimanga sempre fresca e giovane». Ebadi, la prima donna musulmana ad essere insignita del premio Nobel per la pace nel 2003, è in esilio dal 2009. Si trovava fuori dall'Iran per pochi giorni durante le elezioni che segnarono la controversa riconferma del presidente Mahmoud Ahmadinejad: le proteste furono represse nel sangue, i suoi colleghi e colleghe — avvocati e attivisti come Narges Mohammadi — furono arrestati, e lei capì che non poteva più tornare. II monito agli europei A Milano Ebadi ha lanciato un monito anche a noi europei: «Il dovere di cittadini non finisce quando si va a votare. Dobbiamo sorvegliare tutti i giorni le persone che abbiamo votato e il loro comportamento. È quando manca questa supervisione, che la democrazia retrocede». Lei, dall'esilio, non smette mai di sorvegliare il suo Paese. «Non sono rimasta fuori dall'Iran perché ho paura di finire in carcere — dice a Buone Notizie —. Io sono stata in carcere e so che posso anche sopportare le condizioni. Ma devo essere in un posto dove sono più utile. Tutti i giorni sono in contatto continuo con i miei colleghi in Iran. Uso la mia libertà per diventare un megafono del popolo iraniano». Shirin ha una speranza. «La speranza sono i giovani iraniani, molto sensibili verso la situazione del loro Paese. E le donne iraniane, le donne che sanno che togliendosi il velo andranno in carcere, ma lo fanno ugualmente». A lungo in Iran le donne hanno testato la «linea rossa» del velo obbligatorio, indossando foulard striminziti che lasciano fuori ciocche di capelli e frange, ma non ne avevano fatto un simbolo esplicito delle battaglie per i loro diritti. Finché lo scorso dicembre, una trentenne è salita in piedi su una cassetta telefonica in una strada affollata di Teheran, via Enghelab. S'è tolta il velo, l'ha annodato a un bastone e ha cominciato a sventolarlo lentamente, come una bandiera bianca. Normalmente un gesto simile significherebbe una resa. In questo caso, invece, era una dichiarazione di guerra. Altre donne l'hanno imitata ma sono finite in carcere, proprio come l'avvocata Nasrin Sotoudeh che le rappresentava.

Le proteste delle «ragazze di via Rivoluzione» possono migliorare I diritti delle iraniane? E cosa si può fare dall'estero per aiutarle? «La maggior parte sono state arrestate, ma non tutte. Questo dimostra quanto resistono le donne. Però non aspettatevi che la Repubblica Islamica cambi le leggi a causa di questi eventi: è ancora presto per una cosa del genere. Nasrin Sotoudeh era una mia collega nella Ong da me fondata, il Centro per i diritti umani. Sono ormai passati due mesi da quando è stata di nuovo arrestata. Il PEN International svedese le conferirà un premio: è un segno di rispetto per le attività di una persona, per il punto al quale è arrivata. Ed è un premio per tutte le donne iraniane, per far capire loro che non sono sole nelle battaglie per acquisire i loro diritti».

Nell'ultimo anno in Iran ci sono state anche proteste contro il carovita, la corruzione dell'élite religiosa e i dispendiosi interventi militari in Siria e In Yemen. A differenza delle manifestazioni del 2009, concentrate a Teheran e guidate da politici ostili ad Ahmadinejad ma interni al sistema, stavolta non c'erano leader. Erano coinvolte le province e settori della popolazione prima alleati del regime. Cos'è cambiato? «La situazione economica è diventata una vera crisi e i motivi sono tre. Il primo è il programma economico giuridico sbagliato: i soldi spesi in Libano, Siria e Yemen anziché per costruire l'Iran. Il secondo è l'alta corruzione del regime, e il fatto che non viene mai fatta davvero giustizia in proposito. Il terzo sono le sanzioni economiche. Quindi la cattiva situazione economica iraniana non dipende solo dalle sanzioni».

Lei, Sotoudeh e altri 13 intellettuali avete firmato un testo che spiega che non è più possibile sperare di riformare la Repubblica Islamica e che serve un referendum per decidere il sistema di governo, auspicando la transizione ad una democrazia parlamentare laica. Gli attivisti dei diritti umani come voi sono i nuovi leader dell'opposizione? «Siamo difensori dei diritti umani. Nasrin Sotoudeh non è una leader politica e neanche io. Nessun difensore dei diritti umani deve essere un leader politico. Però la pace è la base su cui si costruiscono i diritti umani. Per esempio oggi in Siria parlare di libertà di espressione è una cosa fantomatica e in Iraq è un lusso parlare di libertà sindacale. Il mio lavoro è di cercare di evitare che l'Iran si allontani dalla pace. Ho proposto che sia il regime a indire un referendum monitorato dalle Nazioni Unite, prima che esploda una seconda rivoluzione. Sarebbe un modo per far sì che il potere passi al popolo senza versare sangue. Com'è accaduto in Sudafrica, o come in Polonia durante il Comunismo. Era questa la mia proposta, ma il regime finora non ha accettato. Io non voglio essere una leader politica, ma farò del mio meglio per evitare che la mia comunità vada verso una rivoluzione sanguinosa, perché allora i diritti umani non avranno nessun significato».

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