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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.08.2018 La restituzione delle opere d'arte rubate agli ebrei: una brutta e sporca storia
La cronada di Elena Tebano

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 agosto 2018
Pagina: 16
Autore: Elena Tebano
Titolo: «Rubati dai nazisti, ridateli agli eredi. Duello in Germania sugli Schiele contesi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/08/2018, a pag.16 con il titolo "Rubati dai nazisti, ridateli agli eredi. Duello in Germania sugli Schiele contesi" il servizio di Elena Tebano

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Le battaglia per la restituzioni delle opere d'arte rubate dai nazisti agli ebrei è di lunga data, scoperchiando brutte e sporche storie di connivenza da parte di chi avrebbe dovuto comportarsi ben diversamente. Vengono in mente le banche svizzere che per anni si sono rifiutate di restituire ai legittimi eredi quanto era contenuto nei conti correnti. A capeggiare i banchieri svizzeri c'era il proprietario degli orologi 'Swatch', anche lui banchiere. Per non dire delle varie associazioni/fondazioni, con sedi americane,svizzere e tedesche, il cui comportamento aveva suscitato legittimi sospetti.
La storia che segue è quindi uno dei tanti esempi, con l'aggiunta della nota di colore sulla vita e morte di Fritz Grünbaum.

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Elena Tebano

Da una parte la Fondazione tedesca nata per favorire la restituzione delle opere d'arte sottratte dai nazisti alle loro vittime, dall'altra gli eredi di un cabarettista (e collezionista) austriaco ebreo ucciso a Dachau, in mezzo un giudice di New York. E polemica perla sorte di due acquerelli di Egon Schiele, ritrovati negli Stati Uniti in possesso del gallerista Richard Nagy, e dell'intera collezione a cui appartenevano. E soprattutto sui criteri usati per rintracciare le opere d'arte rubate agli ebrei perseguitati sotto il nazismo. I due dipinti di Schiele, Signora in grembiule nero del 1911 e Ragazza che si copre il viso del 1912, che insieme valgono oltre 4 milioni di euro, facevano parte della collezione dell'austriaco Fritz Grünbaum. Il suo nome oggi dice poco fuori dall'Austria, ma è stato uno dei padri del cabaret teutonico e una delle sue battute circola ancora: «Voglio andare all'inferno» cantava negli Anni 3o, perché lì «il clima è piacevole, mite e caldo» e «la gente ha carattere e fascino». Neppure nell'inferno in terra che era Dachau Grünbaum perse la sua ironia: si racconta che alla guardia che gli negava un pezzo di sapone per lavarsi abbia risposto «chi non ha i soldi per comprare sapone non dovrebbe gestire un campo di concentramento». Nel lager Grünbaum morì nel 1941, un anno dopo la stessa fine atroce toccò alla moglie Elisabeth. Erano stati internati nel 1938: subito dopo il loro appartamento era stato «arianizzato» e i nazisti avevano catalogato la collezione, 453 quadri, tra i quali opere di Dürer, Degas, Rembrandt, e oltre sessanta dipinti di Egon Schiele. Di molti si sono perse le tracce, i pezzi di Schiele sono ricomparsi nel 1956 in Svizzera a un'asta del mercante d'arte Eberhard Kornfeld, che disse di averli comprati da una «rifugiata». Solo trent'anni dopo, quando gli eredi di Grünbaum hanno chiesto di riavere le opere, il mercante sostenne che la «rifugiata» era la sorella di Elisabeth, che avrebbe nascosto i dipinti di Schiele per poi recuperarli dopo la guerra. Una versione sempre contestata dai discendenti del cabarettista. E qui entra in gioco il «Deut sche Zentrum Kulturgutverluste», la fondazione governativa per «le opere culturali perdute», fondata nel 2ois dalla Germania proprio per restituire quello che è stato preso agli ebrei e alle altre vittime del nazismo. All'inizio, a differenza dell'Austria (nei cui musei statali si trovano altre opere provenienti dalla collezione Grünbaum e che ne rivendica il «legittimo» possesso), la Fondazione aveva inserito la collezione tra le opere rubate ai perseguitati. Adesso però l'ha tolta, dando credito alla versione dei mercanti d'arte. «Non è in discussione che Fritz Grünbaum sia stato perseguito dai Nazisti — ha detto al New York Times la portavoce tedesca Freya Paschen — questo non significa che tutta la sua collezione sia stata persa per colpa della persecuzione nazista». Tutto questo quando invece ad aprile un giudice americano ha stabilito che l'attuale proprietario dei due acquerelli Nagy debba restituirli agli eredi Grünbaum. Il gallerista ora ha fatto appello, mala decisione del tribunale newyorchese ha riaperto la questione, che potrebbe riguardare anche altre opere della collezione. E soprattutto ha sollevato più di un dubbio sull'operato della Fondazione che dovrebbe aiutare a riparare almeno in parte le prevaricazioni del regime hitleriano.

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