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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.07.2018 Storia del ghetto di Torino
Commento di Ada Treves

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 luglio 2018
Pagina: 11
Autore: Ada Treves
Titolo: «La vergogna del Ghetto»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - TORINO di oggi, 13/07/2018, a pag. 11, con il titolo "La vergogna del Ghetto", l'analisi di Ada Treves.

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Ada Treves

Il Ghetto, a Torino, era in via Maria Vittoria. Istituito nel 1679, ospitò gli ebrei in un isolato che oggi pare un normalissimo condominio. Un quadrilatero compreso fra via San Francesco da Paola, via Bogino, via Principe Amedeo, via Maria Vittoria, in cui avevano obbligo di residenza (...). Gli Ebrei a Torino. Le prime presenze ebraiche nei territori sabaudi sembrano risalire al 1306, anno dell’espulsione dalla Francia. Con certezza gli Ebrei compaiono in un atto legislativo del 1430, gli «Statuta Sabaudiae» di Amedeo VIII (...). Nel 1679, sotto la reggenza di Maria Giovanna Battista di Nemours (tutrice del minorenne Vittorio Amedeo II), forti pressioni del Pontefice ottennero l’istituzione del Ghetto. I confini del Ghetto. Un decreto del 2 agosto 1679 stabilì che entro un anno tutti gli Ebrei residenti in Torino si trasferissero obbligatoriamente nell’edificio dell’Ospedale dei Mendicanti, col divieto di uscirne di notte. Si trattava di un intero isolato della Contrada San Filippo: l’isola Beato Amedeo.

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L'antico ghetto di Torino

Max Pellegrini nel volume «Le aree segregate: approcci teorici e un caso storico - Il ghetto ebraico di Torino» riferisce che «l’ingresso principale del Ghetto grande era sull’attuale via Maria Vittoria e immetteva nel cosiddetto grande cortile (la Court Granda), che aveva anche un ingresso secondario da via San Francesco da Paola. Il cortile comunicava, per mezzo di un passaggio denominato portici oscuri con il cortile della vite che immetteva in via Principe Amedeo. Dal cortile della vite si passava al cortile detto dei preti (la Court di Galahim), ex chiostro dell’antico convento delle Monache Francescane, con ingresso in via Bogino». «Per un percorso tortuoso lungo scale anditi e interni di alloggi dal cortile della vite si poteva arrivare al cortile detto della terrazza («d’la Trasa») con ingresso in via Bogino. E il cortile della terrazza era collegato, a sua volta, per mezzo di un passaggio coperto, al grande cortile. Il grande cortile, dunque, rimaneva il nodo di comunicazione all’interno del ghetto ed il centro principale della vita della comunità. Difatti nel grande cortile guardavano, occupando rispettivamente il secondo ed il terzo piano, la sinagoga di rito italiano (la più importante), gli uffici dell’amministrazione ed il Talmud Torà maschile e femminile (le scuole ebraiche). Nel cortile della vite era collocato il piccolo tempio di rito spagnolo, nel sottosuolo del grande cortile vi era il bagno rituale e nel cortile della terrazza il forno per la cottura delle azzime». In tutto «l’edificio constava di tre piani, oltre a quello terreno, con ammezzati regolarmente frapposti, tutto adibito ad abitazione con il massimo sfruttamento dello spazio abitativo». I balconi fungevano da ballatoi, i cortili da piazza, e tutti gli spazi erano angusti, intricati, con le aperture che erano rivolte esclusivamente verso le corti interne. L’affollamento era impressionante. Milletrecento ammassati. Nel 1681 fu stabilito il primo canone di affitto per gli Ebrei residenti nel Ghetto (circa sei mila lire), aumentato dopo sei anni e poi ancora, nel 1693, arrivando quasi al raddoppio del canone iniziale. Al primo censimento degli ebrei di Torino, del 1702, risultavano vivere nel Ghetto 763 persone. Nel 1710 superarono quota 800. Fu realizzata una elevazione del lato sud del quadrilatero, per cercare di espandere gli spazi. Fu aperta nel Ghetto una terza sinagoga, di rito tedesco. Intanto le disposizioni emanate dai Duchi di Savoia obbligavano a concentrarsi nel Ghetto di Torino anche i nuclei ebraici residenti nelle cittadine vicine, si arrivò così presto a una popolazione che superava le 1.300 persone. Mancava lo spazio, si procedette a istituire un Ghetto Nuovo a fianco di quello vecchio: la cosiddetta Casa della Misericordia, acquistata nel 1724 tra via San Francesco da Paola, piazza Carlina e l’odierna via Des Ambrois. Nel Ghetto Vecchio l’affollamento restava impressionante, vi si trovarono a vivere più di duecento famiglie. La segregazione. «Il piano terreno era occupato da negozi, quasi tutte vendite di oggetti usati e abiti fatti per uomo, mentre negli anditi o portici interni eranvi gli spacci della carne cashèr e dei polli. Il negozio più rinomato era quello detto del ‘Numero 60’, proprietari Abramo Levi e C., una specie di emporio di abiti fatti per uomo, dai più fini ai più comuni. La clientela dei migliori negozi era costituita da alcune famiglie signorili che ricorrevano al ghetto per i vestiti dei domestici, per i rammendi (in cui erano specializzate le donne ebree che, oltre alle faccende domestiche impiegavano il loro tempo libero nei negozi) e le aggiustature di fino, per la vendita dei capi di vestiario usati (compito dei maggiordomi) e talvolta per l’acquisto da persona di fiducia di forniture varie» (...). La libertà nel 1848. L’occupazione napoleonica (1800-1824), con i principi derivati dalla Rivoluzione Francese, diede avvio a un processo di riqualificazione urbanistica nel centro di Torino e nell’area del Ghetto, intorno al quale si erano spostate a risiedere le famiglie ebraiche fuoriuscite, le più abbienti. Con il ripristino della monarchia sabauda fu evidente che il ripristino delle leggi segregazioniste era ormai fuori dalla storia. Si arrivò così nel 1848 alle Regie Patenti del Re Carlo Alberto: concessero libertà civile e politica prima ai Valdesi e poi agli Ebrei, che ancora oggi le festeggiano insieme. Ma la libertà non portò all’abbandono immediato né totale del Ghetto (...).

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