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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.07.2018 Da Bergen Belsen ai primi anni di Israele: il diario di Hanna Levy-Hass
Recensione di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 luglio 2018
Pagina: 35
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Un destino ebraico popolato di spettri»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/07/2018, a pag. 35, con il titolo "Un destino ebraico popolato di spettri", la recensione di Lorenzo Cremonesi.

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Lorenzo Cremonesi

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La copertina (Jaca Book ed.)

Dovrebbero leggere il Diario di Bergen-Belsen 1944-1945 di Hanna Levy-Hass i nazionalisti e la sinistra radicale, quelli che negano l’Olocausto e chi lo enfatizza a difesa del sionismo. I sovranisti che vogliono il ritorno delle frontiere chiuse. Ma anche gli innamorati della critica, chi dice che si «parla troppo di ebrei», e chi pensa che dopo la Shoah «non si può più fare poesia». Perché questo libro non è solo aspro, coinvolgente, immediato nel suo incedere di orrori infarciti di bassezze umane, terribile, capace di scatenare pietà e smarrimento come le pagine di Primo Levi. Ma è molto di più: un inno al libero pensiero. È allo stesso tempo il ritratto della generazione dei sopravvissuti allo sterminio nazista in quell’era carica di tensioni dolenti, che caratterizzò i primi anni di Israele, però anche lo scritto acuto e coinvolgente di Amira Hass, figlia di Hanna e penna di qualità del giornalismo israeliano. Amira è nata nel 1956, da decenni è inviata del quotidiano «Ha’aretz» nei territori di Cisgiordania e Gaza. Intellettuale controversa, coraggiosa all’inverosimile, coerente ma interiormente combattuta, accusata dalla destra israeliana di essere addirittura una «kapò al servizio dei nuovi nazisti arabi». Qui nella prefazione e postfazione allo scritto della madre ci tratteggia in poche pagine la storia fortissima di questi intellettuali ebrei askenaziti comunisti vittime della più grande tragedia del Novecento europeo. Realistica e viva è la figura della madre irrequieta «sempre in viaggio». Scampata alle camere a gas naziste, poi partigiana decisa a restare nella Jugoslavia di Tito, quindi emigrata in Israele, dove non si sente né arte né parte. Così settantenne, nel 1982, decide di ripartire sola per la ex Jugoslavia e poi per la Francia. Entrambi i genitori raccontano poco alla figlia dei fantasmi che li affliggono. Ma Amira li ha nel sangue, li interiorizza, e adesso, 17 anni dopo la morte della madre e pochi di più dopo quella del padre, li narra con un’umanità semplice e travolgente.

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