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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.06.2018 Il dialogo a volte non basta e Frattini dimentica chi è che attacca e chi si difende
Davide Frattini racconta l'esperienza virtuosa di una scuola

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 giugno 2018
Pagina: 4
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Terra Santa? La lezione dei bambini»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - Buone Notizie di oggi, 26/06/2018, a pag. 4 con il titolo "Terra Santa? La lezione dei bambini" il commento di Davide Frattini.

Ben vengano le iniziative di dialogo e di pace, anche se queste non possono cancellare la realtà dei fatti. Dalla propria origine Israele è disposta a convivere a fianco di uno Stato arabo palestinese, sempre rifiutato dalla leadership araba, che ha invece perseguito l'obiettivo della scomparsa dello Stato ebraico. Di questo aspetto fondamentale Frattini non tiene conto, preferendo mettere sullo stesso piano problemi e responsabilità.

Ecco l'articolo:

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Davide Frattini

Per dirsi buon appetito attendono la voce del muezzin che risuona dalla moschea dietro al cortile. In metà hanno digiunato tutto il giorno, come impone il mese sacro di Ramadan, gli altri stanno aspettando con loro che il sole tramonti e la fame spunti. Adesso raggiungono i tavoloni dove hanno lasciato le teglie portate da casa per la cena in comune, chiacchierano in due lingue, mangiano in due tradizioni culinarie: il makloubi (il riso a testa in giù preparato dagli arabi con carne e verdure) o i dolcetti ebraici. In questa scuola che sarebbe unica anche fuori da Israele tutto è doppio ma non sdoppiato.

 

 

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Cultura dell’«altro» La parola che gli insegnanti e i genitori ripetono di più è identità e assicurano che gli studenti lasciano le classi con la loro ancor più rafforzata: conoscere e crescere assieme all’«altro» e alla sua cultura non crea confusione. «Al contrario – spiega Gaby Goldman, direttrice della comunicazione – i nostri studi dimostrano che i bambini sono aperti alla diversità e tolleranti proprio perché hanno potuto coltivare un nucleo interiore forte». Insieme i piccoli escono dal cancello, ognuno porta una lanterna illuminata di rosso, verde o blu, i colori non hanno un significato, servono a segnalare il corteo che attraversa le vie di Jaffa. Le luci illuminano la strada che – sono convinti i fondatori del progetto Hand in Hand – anche il resto del Paese dovrebbe seguire. «Perché – continua Goldman – la convivenza s’impara con la condivisione». Degli insegnanti: due per classe, spiegano in contemporanea, ognuno nella sua lingua (arabo o ebraico). Delle fedi religiose: la scuola celebra Hannukah per gli ebrei e con tutti gli altri, Eid al Fitr per i musulmani e con tutti gli altri, il Natale per i cristiani e con tutti gli altri. Dei modelli ai quali ispirarsi: la tesi da portare alla maturità deve trattare un personaggio storico, così tra gli ebrei israeliani qualcuno sceglie Golda Meir (la prima e per ora unica donna primo ministro), gli arabi propendono per Yasser Arafat, il leader palestinese scomparso quasi quattordici anni fa. Del dolore: nel giorno i cui gli israeliani ricordano i caduti delle guerre sul palco sono invitati anche gli studenti arabi a piangere le loro perdite nelle stesse battaglie, solo combattute dall’altra parte.

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Il centro Hand in hand a Gerusalemme

Alla pari La prima scuola Hand in Hand è nata a Gerusalemme nel 1998. I venti bambini di quell’aula provvisoria sono diventati centinaia, le classi di diplomati alla fine del percorso sono ormai sei. Il modello è stato esportato: la proporzione tra ebrei e arabi israeliani deve essere 50/50, lo stesso tra maschi e femmine. Questa di Jaffa – fa parte della municipalità di Tel Aviv, è abitata in maggioranza da arabi – è una delle ultime, arriva alla terza elementare perché sono i genitori a formare il gruppo iniziale e a presentare la richiesta di adesione all’organizzazione: qui sono partiti dall’asilo e pian piano sperano di avere il loro liceo. In tutta Israele – anche a Wadi Ara, Haifa, Kfar Saba e in Galilea – gli istituti sono sei , ogni anno il numero degli studenti cresce del 15 per cento e l’ultima lista d’attesa è stata chiusa al raggiungimento della quota 800 famiglie. L’obiettivo è continuare a espandersi e arrivare ad aprire 15 scuole che diventino il punto di riferimento e di incontro per una comunità di ventimila persone. Le lezioni seguono il curriculum definito dal ministero dell’Educazione israeliano, gli insegnanti integrano con i loro interventi per permettere ai ragazzi di conoscere i differenti punti di vista. Lo studio della Storia è diviso a metà: gli eventi raccontati dal punto di vista del sionismo a confronto con gli stessi episodi secondo la narrazione palestinese. Il metodo sembra funzionare: la percentuale di quelli che hanno ricevuto voti eccellenti alla fine del percorso è quattro volte superiore alla media nazionale.

Più forti della paura Alla sera tra i banchi siedono i genitori, invitati a corsi per studiare la letteratura araba e i classici in ebraico come il poeta Hayyim Nahman Bialik o a incontri per allargare il dialogo, per confrontarsi sulla guerra che non finisce. «Sarebbe ingiusto mettere tutta la responsabilità – continua Goldman – sulle spalle dei bambini. Gli adulti non possono pretendere che siano loro da soli a portare la pace». A volte l’odio lasciato fuori ha attraversato i cancelli. La notte del 29 novembre 2014 un incendio doloso è stato appiccato a un’aula di prima elementare a Gerusalemme da ultranazionalisti ebrei che considerano gli arabi solo una minaccia: sul muro hanno lasciato scritte come «non è possibile coesistere con il cancro» e «Kahane aveva ragione», un riferimento al fondatore del partito Kach, bandito in Israele per l’ideologia razzista. «Abbiamo pensato – ricorda la preside Nadia Kinani – che l’esperimento fosse finito, che i genitori avrebbero tolto i figli per paura e saremmo stati costretti a chiudere». Invece appena si è sparsa la notizia sono arrivati tutti quanti, hanno aspettato che i pompieri spegnessero le fiamme, se ne sono andati solo quando hanno visto che la scuola era salva. La mattina dopo – come ogni mattina – sono tornati tenendo i bambini per mano.

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