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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.06.2018 Martedì 5 giugno su Arte un docu-film da non perdere
Stefano Montefiori racconta la storia del palazzo in Rue Saint-Maur

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 giugno 2018
Pagina: 19
Autore: tefano Montefiori
Titolo: «I bambini (ritrovati) del palazzo di Rue Saint-Maur»

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                                                                   Ruth Zylberman

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/06/2018, a pag.19, con il titolo "I bambini (ritrovati) del palazzo di Rue Saint-Maur", il racconto diStefano Montefiori su quanto avvenne a Parigi nel luglio 1942 nel palazzo di Rue Saint-Maur.
Il docu-film di Ruth Zylberman andrà in onda su Arte martedì 5 giugno alle ore 22,20. Poi resterà visibile per 60 giorni sul sito della rete Arte.tv

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Stefano Montefiori

Al numero 209 di rue Saint-Maur, poco lontano dal Canal Saint-Martin, c'è ancora la stessa porta azzurra che conduce al locale della custode, alla corte interna, alle scale verso gli appartamenti. All'interno, a parte l'acqua corrente, poco è cambiato rispetto agli anni Quaranta. Fuori c'è un quartiere animato, con un'agenzia di viaggi e un'estetista. La scrittrice e regista Ruth Zylberman ha deciso di raccontare in un film la storia di quel condominio, dei suoi fantasmi e delle persone che ancora vivono qui. All'inizio della Seconda guerra mondiale, al 209 di rue Saint-Maur abitavano circa 300 persone. Un centinaio erano ebrei. Attraverso quella stessa porta azzurra entrarono gli agenti della polizia francese che tra il 16 e il 17 luglio 1942 presero 17 ebrei e li portarono al velodromo d'inverno, dove altri 13 mila ebrei (un terzo bambini) vennero radunati e poi condotti nei campi di sterminio nazisti (solo un centinaio tornarono). Dopo la retata del Vél d'Hiv francesi collaborazionisti e nazisti continuarono per due anni a cercare ebrei in quel palazzo. Tornavano sempre, e riuscivano a trovare qualcuno da portare via almeno una volta al mese. Alla fine, i deportati dal 209 rue Saint-Maur furono 52, tra i quali 9 bambini.
La mappa
Ruth Zylberman ha cercato di ricostruire la storia di ognuno di loro, come dei vicini che sono rimasti nel palazzo. Ha stilato elenchi e ingrandito la mappa catastale, ha appeso al muro — come in un'inchiesta all'americana — le foto, i ritagli, i documenti di tutti gli abitanti. Al terzo piano abitava la vicina sospettata di denunciare i bambini nascosti, in fondo al quarto la famiglia che invece rischiò la vita per salvare le persone incontrate per anni sulle scale, qui stavano i Frantz, là i Delaplace, in fondo al corridoio gli Haimovici, e così via. La storia del palazzo è anche quella della signora ebrea alla quale venne confiscata la macchina per cucire, della donna che ne approfittò diventando proprietaria di quell'oggetto ormai «arianizzato», e del neonato René Goildsztajn che venne lanciato nella braccia di una vicina un istante prima che la madre venisse portate via. Microstoria
 "Mi sono ispirata alla corrente delle microstorie, nata in Italia con Carlo Ginzburg — dice Zylberman —. Ho fatto ricerche per molti anni, la mia amica storica Claire Zalc mi ha aiutato indicandomi le fonti, i documenti del censimento, i rapporti di polizia, gli archivi del commissariato e delle associazioni". Vedere "Les enfants du 209 rue de Saint-Maur, Paris Xème" è un colpo al cuore. Concetti astratti come "persecuzione" e anche "Shoah" prendono una dimensione fisica, sensibile. "Noi artisti e storici dobbiamo trovare forme che ci permettano di uscire dalle formule generiche sul "dovere della memoria". Anche Claude Lanzmann in "Shoah" è partito è partito dai luoghi, " lì era Auschwitz, l'orrore quando si è già consumato. Ma che cosa è successo prima? Persone catturate in luoghi che non solo assomigliano ai nostri, ma che esistono ancra oggi".
Il ritorno
La parte finale del film racconta il ritorno di alcuni bambini ritrovati all'autrice, nel palazzo della loro infanzia. Ormai ottantenni incontrano i compagni di giochi di oltre settant'anni fa. Qualcuno, come Henry Osman, ebreo nato a Parigi da una famiglia di origine polacca, aveva fatto la scelta di dimenticare tutto. A cinque anni i genitori con l'aiuto dei vicini lo affidarono al «comité Amelot», una organizzazione clandestina ebraica. Dopo la Liberazione, orfano, a 10 anni Henry ha lasciato la Francia per vivere con la parte americana della famiglia. Non parla più francese, la regista è andata a trovarlo in America, lui voleva e non voleva sapere. Ma alla fine ha scelto di rivedere il palazzo di rue Saint-Maur e affrontato il viaggio fino a Parigi. Esita davanti alla porta azzurra, chiede in inglese «è possibile che i miei genitori abbiano toccato questa maniglia?». Entra, fa qualche passo nella corte, chiede ancora «I miei genitori camminavano su questo pavimento?». Si fa avanti nei corridoi, gli viene spiegato che all'epoca non c'era l'acqua corrente e ci si andava a lavare nei bagni pubblici e allora torna, come una folgorazione, l'immagine dei genitori. «Ora ricordo. Ricordo mia madre che mi lavava», la prova che quell'infnzia era esistita davvero.

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