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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.04.2018 Giro d'Italia: tre tappe nel cuore di Israele
Commento di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 aprile 2018
Pagina: 49
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Nel cuore di Israele, tra mare e deserto»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/04/2018, a pag. 49, con il titolo "Nel cuore di Israele, tra mare e deserto", il commento di Lorenzo Cremonesi.

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Lorenzo Cremonesi

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Le tappe del Giro d'Italia in Israele

L’ inizio è subito storia. Memoria ricca, densa, fatta di pietre e muri centenari, testimoni per nulla muti con incisi i segni delle schegge e le pallottole di guerre antiche e moderne, assieme al protrarsi di tensioni acute, che durano tutt’ora. Era inevitabile, visto che la prima tappa del 101° Giro d’Italia, delle tre che tra un mese esatto si correranno in Israele, parte proprio dal cuore di Gerusalemme. Le abbiamo appena percorse in bici per il Corriere , ben consapevoli che il 4 maggio farà certamente più caldo, assieme all’incognita più grave per i corridori. Ha un nome: «hamsin», ripreso dagli arabi del deserto, che significa «cinquanta» riferito ai gradi del vento torrido che a periodi soffia dal profondo sud del Sahara, arriva al Negev per investire l’alta Galilea e può seccare la gola e la volontà anche del ciclista più agguerrito. L’altro giorno alla partenza di fronte alle mura della Città Vecchia presso la porta di Jaffa la temperatura era comunque non superiore ai 15 gradi, con una leggera brezza favorevole da nord. È una cronometro non semplice, fatta di strade ben asfaltate, ma ricche di curve e di saliscendi. Alla fine dei 9,7 chilometri il gps segnava circa 200 metri di dislivello. Comincia sfiorando quella che dal 1948 al 1967 fu la «terra di nessuno», quando Gerusalemme era divisa tra israeliani a ovest e giordani a est.

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L’intero percorso resta comunque nella parte occidentale. Poche centinaia di metri e si passa di fronte all’hotel King David, poi via veloci verso gli incroci delle strade che portano a Betlemme, ma per girare subito a destra in direzione di Derech Ruppin, il vialone che s’immerge nel verde del parco attorno alla Knesseth (il parlamento). Da una parte gli edifici del governo, dall’altra il Museo d’Israele, dove sono esposti anche i Rotoli del Mar Morto, e il campus alberato dell’Università di Givat Ram. Qui e subito dopo nella larga avenue Ytzhak Rabin sembra il momento migliore per accelerare al massimo. Il tratto finale è più tortuoso. L’arrivo è in Shlomo HaMelekh. La seconda tappa parte da Haifa per giungere 167 km dopo a Tel Aviv. Prima ci si dirige a nord, quindi a sud, dopo aver aggirato il collinone del Carmelo e le zone verdeggianti presso i vigneti di Zikron Yaakov voluti dai Rothschild quasi 140 anni fa e che i ciclisti israeliani chiamano «la nostra piccola Toscana», dove c’è anche l’unico «strappetto» ripido della giornata. Un percorso facile, veloce, su strade ampie, la maggioranza riasfaltate di recente. Non abbiamo potuto pedalare la cinquantina di km da Cesarea all’entrata di Tel Aviv proprio perché è parte dell’autostrada numero Due, vietata ai ciclisti. Per il Giro ovviamente il traffico verrà bloccato. Qui è il centro della realizzazione del sogno sionista dalla fine dell’Ottocento, si trovano le prime colonie agricole lungo la costa, che oggi sono sede delle nuove compagnie hitech diventate la vera ricchezza del Paese. Restano comunque immanenti le testimonianze del braccio di ferro secolare per la Terra Santa. Salterà all’occhio quando le telecamere indugeranno sulle mura ottomane di San Giovanni d’Acri, costruite sulle rovine di quelle crociate. I drammi degli ultimi anni si colgono intensi invece sul finale. A Piazza Rabin si corre di fronte al memoriale dello statista assassinato il 4 novembre 1995 da un ebreo estremista che osteggiava gli accordi di pace con Arafat. L’arrivo tappa è sul lungomare, di fronte all’abitazione di Silvan Adams, il miliardario canadese-israeliano innamorato del ciclismo: ha donato milioni di dollari per facilitare il capitolo israeliano del Giro. Proprio di fronte, dalla parte della spiaggia, sono evidentissimi una lapide con i resti abbandonati del Dolphinarium, la discoteca devastata da un kamikaze palestinese di Hamas che uccise 21 giovani, la grande maggioranza ebrei immigrati dalla Russia. Era la sera del primo giugno 2001. L’altro giorno, mentre dalla striscia di Gaza arrivavano le notizie di gravi incidenti con l’esercito israeliano e la morte di almeno 17 palestinesi impegnati nella «marcia del ritorno» organizzata da Hamas, vi siamo arrivati pedalando lungo la ciclabile da Jaffa. Diversi ciclisti di passaggio si fermavano a leggere i nomi in russo dei morti della discoteca sulla lapide. Beersheva-Eilat sono quasi 230 km. Puro deserto. Ma non piatto. In bici abbiamo calcolato un dislivello complessivo di 1.862 metri. Le strade sono sempre ottime. Si parte su lunghi tratti di falsopiano che progressivamente portano dai 361 metri sul livello del mare a Beersheva al punto più alto, gli 840 metri di Mitzpe Ramon. Il tedio del deserto sassoso si trasforma presto in scenari mozzafiato già arrivando a kibbutz Sde Boker. Qui, su una balconata di rocce bianche affacciate a una wadi profonda, è sepolto David Ben Gurion (1886-1973) con la moglie Paula, il «padre della patria», lo statista d’Israele per eccellenza che tra le altre infinite iniziative volle proprio la colonizzazione del Negev. Poi è tutto un su e giù, sino alla discesa liberatoria verso kibbutz Yotvata e la strada facile al mare. Con il vento che soffia quasi sempre a favore gli ultimo 40 km di discesa dolce verso Eilat sono un sogno da volare. A meno che non arrivi «hamsin»...

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