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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.03.2018 I video per addestrare al jihad contro i 'miscredenti'
Cronaca di Giovanni Bianconi

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 marzo 2018
Pagina: 10
Autore: Giovanni Bianconi
Titolo: «I video per addestrarsi al jihad e le frasi sui 'miscredenti': tagliamo la testa e i genitali»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/03/2018, a pag. 10, con il titolo "I video per addestrarsi al jihad e le frasi sui 'miscredenti': tagliamo la testa e i genitali", la cronaca di Giovanni Bianconi.

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Giovanni Bianconi

Dal telefonino di Anis Amri alla moschea di via Chiascio a Latina il percorso non è stato breve. Ma alla fine, l’incrocio dei numeri ha sfornato un elenco di nomi che gravitavano intorno al piccolo Centro di preghiera islamica e in contatto con l’attentatore di Berlino, che a dicembre 2016 venne a morire in Italia dopo aver ucciso una dozzina di persone col suo camion-killer. Tra i quattro espulsi nell’ultimo anno a causa delle loro velleità jihadiste, un paio erano in contatto con Amri e a loro volta legati a Mounir Khazri, un tunisino residente a Latina che — scrive il giudice che ha ordinato gli arresti di ieri — «si è reso protagonista di diverse condotte di inneggiamento all’ala più radicale dell’islamismo e incitamento all’azione violenta con finalità terroristiche a danni di cittadini italiani ed europei».

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Il fotogramma di un video che incita al jihad

Da qualche mese Khazri è in carcere per spaccio di stupefacenti, ma a giugno scorso è stato intercettato mentre si lamentava di essere stato chiamato in questura dopo aver tolto una telecamera dalla moschea della città pontina. E con il suo amico Abdel Salem Napulsi, arrestato ieri per autoaddestramento ad attentati terroristici, commentava che quel luogo di preghiera ormai era diventato «un posto di intercettazione», frequentato da «infami» confidenti della polizia; lui stesso si lamentava di essere considerato un terrorista nel suo Paese: «Mentre gli altri pregavano nella moschea io parlavo e dicevo la verità, e per questo mi hanno schedato». «I cani ci ascoltano» Arrivato in Italia, è finito di nuovo sotto controllo, ma — raccontava all’amico — «alla poliziotta ho detto sposami che posso sposare fino a quattro donne». Napulsi approvava: «Così dicono che sei stupido, lasciali pensare così». Invece gli investigatori hanno continuato a seguirlo e intercettarlo. «Guarda che i cani ti stanno ascoltando», avvertiva, e Napulsi insisteva: «Infedeli figli di puttana, chi ascolta e scrive è infedele». Kazhri recitava i versetti del Corano: «Quando incontrate i miscredenti colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati», e Napulsi aggiungeva: «Tagliagli la testa e i genitali», provocando le risa dell’amico. Discorsi e poco più, come gli apprezzamenti verso «il popolo afghano che si veste come noi, ed è l’unico popolo che mi rappresenta», a differenza dei tunisini «popolo di spie». Napulsi e Khazri avevano da ridire sul modo di vestire degli occidentali: «Girano con pantaloncini e costume», si lamentava il primo, e il secondo annuiva: «Queste cose mi fanno odiare di vivere in Europa». Ma l’indagine delle Digos di Latina e di Roma, coordinate dal Servizio antiterrorismo della polizia di prevenzione e dal pubblico ministero Sergio Colaiocco, non hanno registrato solo parole. Hanno anche accertato l’accesso di Napulsi a «31 video esplicativi sulle modalità di svolgimento, ideazione ed esecuzione di attentati terroristici di matrice jihadista», utilizzando «accorgimenti per sfuggire ai controlli informatici che evidentemente sospettava sarebbero stati effettuati sulle sue ricerche, attraverso l’uso del cosiddetto deep web e di parole chiave non tracciabili». Filmati su tecniche e utilizzo di «carabine e lanciarazzi del tipo Rpg-7», che insieme alle informazioni su «acquisto e locazione di mezzi di trasporto pesanti quali camion o pick up idonei a montare armi da guerra» hanno fatto scattare per Napulsi l’arresto per il reato di «addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale» e «condotte con finalità di terrorismo». I documenti falsi L’altro capitolo che lega il sottobosco «radicalizzato» di Latina e dintorni ad Anis Amri è quello dei falsi documenti d’identità, uno dei quali sarebbe finito proprio in tasca all’attentatore di Berlino. Il tunisino Montassar Yacacoubi, che lo ospitò ad Aprilia nel 2015 quando lasciò la Sicilia dopo lo sbarco a Lampedusa, ha raccontato agli investigatori che Amri, per procurarsi il documento, «si era rivolto a un tunisino di nome Akram Baazaoui», residente a Napoli, riconoscendolo in fotografia. La polizia ha cominciato a indagare sul suo conto ed è saltata fuori una rete di gestione del traffico di immigrati clandestini che arrivano in Italia e vengono smistati nel resto d’Europa. L’organizzazione, informata degli sbarchi dalla Tunisia, si occupava di far arrivare i migranti a Napoli e dintorni, per poi trasferirli irregolarmente in Francia o in Germania. In un’intercettazione «Akram spiega che c’è un uomo a Ventimiglia che per 150 euro a persona con la sua macchina prende le persone e le porta in Francia, quello è proprio il suo lavoro». Dopodiché Akram e i suoi complici riuscivano a recapitare i falsi documenti con i dati e le fotografie lasciate in Italia, direttamente oltralpe (evitando così di sottoporli a controlli più accurati durante il passaggio della frontiera), dopo aver incassato i pagamenti attraverso il circuito Western Union. Con quegli attestati d’identità i migranti ottenevano il permesso di soggiorno, diventando regolari.

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