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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.03.2018 Cyber Security: Israele Paese leader, tra start-up e investimenti
Commento di Paolo Ligammari

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 marzo 2018
Pagina: 21
Autore: Paolo Ligammari
Titolo: «Nel bunker di Tel Aviv dove si battono i pirati»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - ECONOMIA di oggi, 12/03/2018, a pag.21, con il titolo "Nel bunker di Tel Aviv dove si battono i pirati" il commento di Paolo Ligammari.

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A un'ora di macchina da Tel Aviv, nel complesso della centrale elettrica di Heftziba, i due ragazzi smanettano sui notebook all'interno di una villetta isolata, in una stanza resa gelida dall'aria condizionata. Sulle pareti, tra i volti dei cattivi di Star Wars, due maxi schermi: sul primo, scorrono veloci stringhe incomprensibili; sull'altro, strisce luminose si accendono e svaniscono su un planisfero, come scie di missili immaginari. Sono i segnali — reali — della guerra elettronica che si consuma lontano dai nostri occhi, a ogni ora del giorno e della notte. Cyber attacchi portati da misteriosi scantinati della Cina verso gli Stati Uniti, dalla Russia a Londra, dall'Iran a Israele. E viceversa. Attacco, parata e risposta. Come in un assalto di scherma all'infinito. I due giovani, con le felpe hip-hop a nascondere il capo, lavorano per CyberGym, una delle centinaia di startup partorite ogni anno nello stato ebraico, con nerd cibernetici, hacker, ingegneri, esperti di intelligence ed ex militari. La società, che ora ha dipendenti in 30 Paesi e clienti in 70, è nata per difendere dai pirati dei bit la rete elettrica, com'è facile intuire una delle infrastrutture strategiche di un Paese. Ora insegna a fronteggiare gli attacchi informatici a banche, aziende energetiche e istituzioni pubbliche in quattro continenti. Affari miliardari «Gli hacker hanno cambiato pelle, i lupi solitari sono virtualmente estinti», dice il ceo, Ofir Hason, ex militare come tanti imprenditori israeliani della cyber sicurezza. Ora, i bad guys del cyber spazio lavorano in branchi addestrati da menti geniali, foraggiati dai governi. E mirano in alto: «Alle reti telematiche che governano treni e aerei, ospedali, grandi industrie. Vogliono mettere in ginocchio un Paese intero», dice Hason.

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CyberGym è una tra le decine di società e startup che si sono presentate a investitori e venture capital al CyberTech 2018 di Tel Aviv, la più grande fiera sulla sicurezza fuori dagli Usa. Un mercato in ascesa impressionante, valutato in 105 miliardi di dollari nel 2015 e che secondo Zion Research raddoppierà il giro d'affari entro il 2021. Quando si prevede che salgano a mille miliardi di dollari i costi che le aziende nel mondo dovranno sostenere per far fronte agli attacchi informatici. Israele gioca un ruolo di primo piano: controlla il 10% del mercato e raccoglie il 15% degli investimenti, 600 milioni di dollari solo nei 2016. Militari e intelligence, università e ricerca scientifica, capitali privati e investimenti statali (il 4,3% del Pil è investito in ricerca, più di ogni altro Paese) puntano nella stessa direzione: trasformare Israele nella culla dell'hi-tech. Non stupisce che tra gli stand del CyberTech lo stesso Mossad faccia recruitment o che tra i relatori ci sia David Petraeus, ora un consulente del fondo Kkr, ma ex direttore della Cia fino al 2012, quando fu travolto dallo scandalo delle rivelazioni all'ex amante-biografa e finite in un libro (non un grande esempio come spia). «E vero, in Israele siamo ossessionati dalla sicurezza quasi quanto dal cibo», scherza il venture capitalist Rami Efrati, imprenditore ed ex ufficiale della leggendaria Unità 8200, i pionieri dello spionaggio elettronico. A loro è attribuita la decrittazione dei messaggi che indicavano l'imminenza dell'attacco egiziano nella guerra del Kippur del 1973. Gli obiettivi Tempi lontani? Non troppo, se si pensa che proprio durante CyberTech, l'ex veterano dello Shin-Bet e attuale responsabile della Cyber Technology Unit del governo israeliano, Yigal Unna, ha rivelato che il nuovo obiettivo dei pirati informatici è l'aviazione civile: «Dal lancio del Dreamliner (il gigante dei cieli, ndr.) i cyber attacchi si sono moltiplicati». Oggi, non 40 anni fa. E i nemici sono ovunque: persino Hezbollah, dal vicino Libano, sta investendo massicciamente nella cyber guerra. «Possono hackerare tutto, è solo questione di tempo e di soldi», dice Udi Mokady, ex militare anche lui e fondatore di CyberArk, che in pochi anni è diventata un colosso della cyber sicurezza e una delle quasi 7o società israeliane quotate sul Nasdaq. Perciò, a Stati e aziende conviene fare sul serio. «Quando si parla di Cyber Warfare — dice Efrati — si ha sempre l'impressione, sbagliata, che il peggio toccherà a qualcun altro». Il mondo intero, però, si è accorto che la minaccia è reale in un solo giorno. Era il 12 maggio 2017. Il malware WannaCry, diffuso sul Darkweb anche grazie alle soffiate dell'ex tecnico della Cia Edward Snowden, mise al tappeto banche, ferrovie, ospedali, scuole, cioè i servizi essenziali, in più di cento Paesi: per riattivarli bisognava pagare un riscatto in Bitcoin. n futuro non sarà meno complicato: basti pensare all'Internet of Things, i device connessi alla Rete: tv, videocamere, persino le lampadine «intelligenti». Tutti potenziali portatori di virus. Gli strateghi della Idf, le forze armate israeliane, sono già oltre: parlano già di IoE (Internet of Everything) e di 30-45 miliardi di dispositivi connessi al web nei prossimi anni. E chi non ha una strategia di difesa? «Verrà spazzato via — dice una fonte anonima —. Sarà uno tsunami tecnologico».

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